Quest’anno abbiamo dedicato la copertina della consueta playlist sui migliori film del 2022 al +1, ovvero al film/non film, alla serie o film in sei puntate (come all’epoca fu definita dal suo autore, film in 18 parti, la terza stagione di Twin Peaks): Esterno notte di Marco Bellocchio. Un’opera di cui, obnubilati dalla messe di immagini che ci bombarda quotidianamente, forse non è ben stata compresa la portata epocale, se non dagli addetti ai lavori. La seduta di autocoscienza collettiva cui siamo stati chiamati tutti noi Italiani, specialmente quanti hanno vissuto la Prima Repubblica. Per il resto, ricordiamo che non si tratta di una classifica, che i film sono quelli distribuiti in Italia nell’anno solare 2022 e che quindi possono appartenere alla seconda parte della stagione cinematografica scorsa o alla prima di quella in corso. In più si tratta di una lista parziale perché chi la compila non ha visto tutti i film distribuiti e di conseguenza alcune mancanze possono essere dovute anche alla mancata visione. Infine concordiamo con Filippo Mazzarella che considera Avatar – la via dell’acqua fuori scala, per cui non lo troverete in elenco. Last but not least: è un gioco come lo sono le classifiche dei siti e delle testate più autorevoli, ma ci farebbe piacere se a questo gioco partecipassero quanti più lettori possibile, commentando, condividendo le scelte o divergendo da esse. Buona lettura.
Un anno anomalo, il 2021. Ancor più del 2020, perché diviso in due tronconi: la prima parte con gli strascichi delle visioni domestiche e su piattaforma e la seconda col ritorno al cinema tra nuovi film e approdi in sala di pellicole postergate. Un anno in cui la polarizzazione tra opposte fazioni si è fatta ancor più esacerbata. Anche sul cinema. Il 2021 è stato un anno di poche opere dal consenso unanime e di molte che hanno spaccato in due le platee, sia quelle degli spettatori che quelle dei critici. Lungi dal voler scendere in questo feroce agone, noi cerchiamo, come sempre, di analizzare i motivi per i quali ci sembra che in questa playlist (parziale come lo sono tutte) confluiscano le visioni più interessanti dell’anno che sta per scadere.
I migliori film del 2020, un anno difficile. Ma facile, forse, per chi ha l’abitudine di stilare questi elenchi a fine anno. Non che gli altri anni, nonostante il maggior numero di film distribuiti, ne presentassero tanti da meritare l’inserimento in queste classifiche/non classifiche (questa di Pigrecoemme, ricordiamolo, non lo è), ma sicuramente la visione domestica, forse, ha ridimensionato alcuni titoli che in sala avrebbero colpito di più e ridotto l’elenco a opere potenti in modo transmediale. Buona lettura.
Sono trascorsi 5 anni dalla prima playlist sulla blaxploitation (probabilmente in rete una tra le cose più complete in italiano sull’argomento) e i tempi sembravano maturi per un’appendice. Nel frattempo Moonlight ha vinto un Oscar come miglior film, come Spike Lee per la sceneggiatura di BlackKklansman (nella quale non manca di stigmatizzare proprio il filone/genere di cui parliamo) e Jordan Peele per quella di Scappa – Get Out. Ma non c’è ruffianeria nella scelta di redigere il primo sequel della storia (breve) del blog di Pigrecoemme, né maldestro tentativo di accodarsi al Black Lives Matter. Chi scrive è stato molto critico sia nei confronti di Moonlight sia di Black Panther. Anzi, proprio quest’ultimo ha suffragato l’idea che dalla blaxploitation non si sia mai venuti fuori solo che ora la si fa coi soldi della Disney. Perché è di quello che si tratta, se anche Anthony Mackie (che nel MCU interpreta Falcon) ha dichiarato: “Mi dà fastidio aver interpretato sette film Marvel in cui ogni produttore, ogni regista, ogni stuntman, ogni costumista, ogni singola persona sul set era bianca. Ma poi hanno fatto Black Panther con un regista nero, un produttore nero, una costumista nera, un coreografo degli stunt nero. Questo fatto è più razzista di ogni altra cosa perché trasmetti l’idea che puoi ingaggiare persone nere solo per un film su neri. Stai dicendo che non sono abbastanza bravi quando hai un cast per lo più bianco?”. La blaxploitation di cui parliamo noi è quella classica, quella seventies, e ci siamo sforzati di recuperare titoli trascurati nella prima playlist e perle indiscutibili. Buona lettura.
L’heist movie (noto anche come caper movie con un’origine da un etimo latino che lascia piuttosto perplessi) è un sottofilone del thriller incentrato sul “colpo grosso”. Ovviamente i titoli più importanti arrivano da oltreoceano: Ocean’s Eleven, Il genio della rapina, La pietra che scotta e più di recente Inside Man. Tuttavia negli anni ’50 il film di maggior successo appartenente al sottofilone fu Rififi di Jules Dassin di cui I soliti ignoti doveva rappresentare la parodia, finendo, data la bravura degli sceneggiatori, col diventare a sua volta un prototipo ricalcato e rifatto. In Italia il “colpo grosso”, grazie all’originale monicelliano, si incrociò spesso con la commedia all’italiana: basti pensare a Operazione San Gennaro di Dino Risi o a Il furto è l’anima del commercio? di Bruno Corbucci entrambi ambientati a Napoli (come Colpo grosso alla napoletana, produzione americana di Ken Annakin che, comunque, si inseriva nella scia del successo di Risi). Ma grazie a Marco Vicario e al suo Sette uomini d’oro, l’heist movie all’italiana trovò anche una sua fisionomia internazionale tanto che se ne può tranquillamente tracciare una playlist perché di titoli non ne mancano. Di recente, Vincenzo Alfieri ha cercato di dare nuova linfa al filone con il suo Gli uomini d’oro (ma tu guarda!), ispirandosi a un fatto di cronaca che già era alla base di Qui non è il Paradiso di Gianluca Maria Tavarelli, ma forse quell’atmosfera scanzonata e ironica di gran parte delle pellicole appartenenti al filone ce l’ha la trilogia di Sidney SibiliaSmetto quando voglio, sebbene declini in maniera diversa il “colpo grosso“. Noi cercheremo di concentrarci sul periodo più prolifico della variante nostrana dell’heist movie: dalla metà degli anni ’60 alla prima metà dei ’70.
Cosa significa il prefisso “oz”? Si tratta della forma contratta della pronuncia sonora australiana (o neozelandese) della parola aussie (ɒzi con la sonora /z/ al posto della sorda /s/) con la quale si indica il cittadino australiano per distinguerlo da quello inglese colonizzatore. La cultural cringe (sudditanza culturale) che per secoli ha caratterizzato gli Australiani ha fatto in modo che aussie fosse connotato e utilizzato spregiativamente. Spesso dagli stessi Australiani.
Ozploitation risulta quindi dalla fusione tra oz ed exploitation con cui si indica un tipo di film che punta ai bassi istinti dello spettatore schiacciando il pedale del sesso e della violenza senza lesinare in dettagli espliciti sia dell’uno che dell’altra. L’autore di questo neologismo parrebbe essere Mark Hartley, regista del documentario Not Quite Hollywood: The Wild, Untold Story of Ozploitation!, il quale avrebbe raccolto il suggerimento di Quentin Tarantino (abbondantemente chiamato in causa nel film in qualità di esperto) ovvero definire aussieploitation le innumerevoli pellicole di genere (dalla commedia ocker sul tipico aussie rozzo e con un problematico rapporto con le donne, di cui Mr Crocodile Dundee rappresenterà la versione edulcorata ed esportabile, all’horror passando per il thriller e la fantascienza distopica) girate in Australia tra i ’70 e gli ’80. Il motivo di questa proliferazione di cinema in un paese nel quale negli anni ’50 si erano girati solo tredici lungometraggi e nel triennio 1963-1966 neanche uno, è di matrice politica.
Dalla fondazione dell’Australian Council of the Arts a opera del primo ministro Harold Holt nel 1967 si arriverà, nel 1975, alla creazione dell’Australian Film Commission passando per l’inaugurazione dell’AFTS, la prima scuola di cinema australiana guidata da Jerzy Toepliz. Film d’autore e film di genere invadono le sale, vengono promossi all’estero (Patrick, un horror seminale di Richard Franklinsarà presente a Cannes nella Quinzaine des realisateurs) e favoriscono le carriere di registi e attori che emigreranno a Hollywood (Peter Weir, Bruce Beresford, Phillip Noyce, George Miller, Mel Gibson e più di recente Nicole Kidman, Russell Crowe, Hugo Weaving).
La copertina del numero 84 di Nocturno
Ovviamente l’ozploitation si ritrova anche in pellicole più recenti (da Animal Kingdom e The Rover di David Michôd al dittico Wolf Creek di Greg McLean che trasforma in villain il protagonista dell’ocker movie con tanto di quiz alla Scream sulla cultura aussie nel secondo capitolo e questo senza tirare in ballo i remake: Patrick firmato, nel 2013 dal Mark Hartley che ha coniato il termine ozploitation; Long Weekend, Turkey Shoot), ma noi prenderemo in considerazione i primi due decenni, quelli in cui il filone si è sviluppato senza consapevolezza di esserlo. In Italia non c’è una pubblicistica sul tema (e molti dei film ozploitation non sono mai stati distribuiti), fatta esclusione per un dossier di quella riserva indiana che è Nocturno (numero 84). Pigrecoemme arriva seconda. Buona lettura.