Avatar – La via dell’acqua. La recensione

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Ecco un film cui il trailer non rende merito (alzi la mano chi, vedendolo, non ha pensato che avrebbe visto un film di animazione e neanche tra i migliori), oltre a dirci poco del plot. A suo modo, anche questa può essere considerata una scelta rivoluzionaria. Signore e signori: Avatar – La via dell’acqua di James Cameron.

Una rivoluzione che potrebbe avere il gusto della restaurazione, visto che il suo obiettivo principale è riportare il pubblico in sala, nella tanto vituperata sala, quella che difendono i nostalgici, i vecchi (come il sottoscritto), quella in cui, per esempio, la Disney pare non credere più (e questo, che è un film Fox, lo avrà distribuito obtorto collo? in quanto non ha nulla a che vedere nemmeno con le pataccate Marvel). Perché, è bene saperlo, Avatar – La via dell’acqua non può essere visto se non nell’obsoleto cinema: non c’è piattaforma o dimensioni dello schermo domestico che tengano. Per questa sua rivolu(restaura)zione Cameron si affida alla “Grande Madre” di tutte le narrazioni audiovisive: Hollywood. In Avatar – La via dell’acqua ritroverete il western (l’attacco al treno), John Ford, Howard Hawks (Il fiume rosso), William Wyler (La legge del signore), il suo Titanic, il vietnam movie, Balla coi lupi. Ma non citati, bensì ricombinati come lo è Jack Sully che diventa Na’vi.

balla coi lupi

Bella forza, si dirà: è il cinema postmoderno. Saremmo più cauti perché la ricombinazione che genera un nuovo mondo e non un semplice pastiche di vecchi, è cosa che riesce a pochi: a Quentin Tarantino sicuramente. E a James Cameron. Non è un caso che il primo capitolo di Avatar venisse accostato (quasi in senso negativo) a Pocahontas: Cameron, in fondo, già nel 2009 cercava The New World e lo creava attraverso la tecnologia, dentro e fuori dalla diegesi. Un mondo “immaginario” che è davvero nuovo e non rimasticato come quelli del MCU mai in grado di suscitare il sense of wonder generato dalla visione di Pandora. Rispetto a Tarantino che ha nostalgia dei tempi e del cinema che fu, Cameron ha grande fiducia nel futuro, nella tecnologia, meno nell’uomo. L’iperconnessione stigmatizzata dalla gerontocrazia, rappresenta per Cameron la speranza: l’acqua è il cloud nel quale si naviga e nel quale navigano anche le nostre memorie (le nostre immagini permangono nella rete oltre la nostra dipartita) cui possiamo accedere connettendoci. Connettersi con la (nuova) natura è la via per la salvezza, ma l’umanità che non si arrende al cambiamento cerca di colonizzare anche questa. Per questo non parleremmo dei soliti cattivi (e neanche della solita famiglia) come fa Simona Santoni su Panorama: il colonnello Miles Quaritch non è lo stesso del prototipo, è ricombinato, ma resta un villain. Insomma, è come se Cameron volesse avvisarci che fin quando sopravivranno vecchie logiche capitalistiche di conquista e di “civilizzazione” proterva, non ci sarà mondo migliore. Un dilemma? Certo: infatti i personaggi più emblematici del film sono Kiri e Spider. La prima è figlia della Dr.ssa Grace Augustine (e la creazione digitale è figlia di Sigourney Weaver) e di padre ignoto, il secondo figlio di Quaritch, ma cresciuto su Pandora come un “nativo” che, come Tarzan, viene chiamato “ragazzo scimmia”. Sono loro, individui dalla doppia “natura” e identità, a essere combattuti. Avatar – La via dell’acqua è un film in cui i figli salvano i padri (in una sequenza alternata, Kiri porta in salvo Neytiri, Spider Quaritch e Lo’ak Jake) e dovrà pur significare qualcosa: il passato ha fallito, il futuro può essere migliore. Ma i “padri” devono abdicare.

Loak e Tulkun

La rivelazione, la conoscenza, nella neonatura è data dalle immagini: ed è un figlio, Lo’ak, che, come Pinocchio, entra nel ventre della balena dove non trova Geppetto, perché qui è quasi una caverna di Platone nella quale, ancora una volta attraverso la connessione, “vede” e “vive” il ricordo. E “capisce” l’altro. Non tutti lo fanno. Gli adulti, a dispetto dell’ “io ti vedo”, spesso non vedono (e infatti l’ “io ti vedo” pronunciato alla fine da Sully a Lo’ak è sincero e non formale come i precedenti) o non vogliono vedere. Non vedere è un po’ come non affrontare. E i padri frequentemente non affrontano.

kiri 1

In Avatar – La via dell’acqua (ma diremmo in tutto Cameron da Terminator in poi) sono le madri a (voler) combattere: Neytiri e Ronal. Perché le madri sanno cosa significa la connessione, il cavo primigenio è il cordone ombelicale che nutre il figlio nel liquido amniotico (acqua) ed è per questo che il “pulvis es et in pulverem reverteris” della Genesi 3,19 nel mondo di Avatar non può che essere immaginato e visualizzato attraverso un ritorno in posizione fetale alla “Grande Madre” (come il feto nello spazio di 2001). Eywa è l’origine di tutto e a lei tutto tornerà, è la “grande” matrice (quella delle Wachowski? forse). Kiri è direttamente connessa ad essa, probabilmente diventerà il centro della narrazione del terzo capitolo. Nel quale, forse, sarà rivelata anche l’identità del padre. Anche se, volendo, possiamo già immaginare una risposta: James Cameron.

  • sceneggiatura
  • regia
  • interpretazioni
  • emozioni
4.1

Dove eravamo rimasti?

James Cameron rialza l’asticella del cinema digitale 13 anni dopo il primo Avatar

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