I migliori dieci film del 2022 (+1)

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Quest’anno abbiamo dedicato la copertina della consueta playlist sui migliori film del 2022 al +1, ovvero al film/non film, alla serie o film in sei puntate (come all’epoca fu definita dal suo autore, film in 18 parti, la terza stagione di Twin Peaks): Esterno notte di Marco Bellocchio. Un’opera di cui, obnubilati dalla messe di immagini che ci bombarda quotidianamente, forse non è ben stata compresa la portata epocale, se non dagli addetti ai lavori. La seduta di autocoscienza collettiva cui siamo stati chiamati tutti noi Italiani, specialmente quanti hanno vissuto la Prima Repubblica. Per il resto, ricordiamo che non si tratta di una classifica, che i film sono quelli distribuiti in Italia nell’anno solare 2022 e che quindi possono appartenere alla seconda parte della stagione cinematografica scorsa o alla prima di quella in corso. In più si tratta di una lista parziale perché chi la compila non ha visto tutti i film distribuiti e di conseguenza alcune mancanze possono essere dovute anche alla mancata visione. Infine concordiamo con Filippo Mazzarella che considera Avatar – la via dell’acqua fuori scala, per cui non lo troverete in elenco. Last but not least: è un gioco come lo sono le classifiche dei siti e delle testate più autorevoli, ma ci farebbe piacere se a questo gioco partecipassero quanti più lettori possibile, commentando, condividendo le scelte o divergendo da esse. Buona lettura.

1 – Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson

licorice pizza

«You Say Everything Twice»
«I Don’t Say Everything Twice»
Licorice Pizza sembra tornare nei territori di Ubriaco d’amore. Gary per Barry e Alana per Lena. Potete leggere la recensione lunga qui.

2 – Piccolo corpo di Laura Samani

piccolo corpo

Agata, la protagonista di Piccolo corpo, in una delle prime scene del film, è coperta da un velo bianco, un sudario, un lenzuolo simile a quello della iconografia più convenzionale dei fantasmi. Agata compie un viaggio al confine (tra realtà e magia) per evitare che la sua creatura, nata morta, possa esalare il primo e ultimo respiro sì da avere un nome ed essere sepolta in terra consacrata. Tra il realismo di Ermanno Olmi e il fantastico di Benh Zeitlin, l’esordiente Laura Samani dirige una delle opere più belle del cinema italiano contemporaneo. Ne parlo più diffusamente nel secondo episodio del podcast di Pigrecoemme, Decisione critica.

3 – RRR di S. S. Rajamouli

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La sfrontata impudenza di questa ucronia (tra le fonti di ispirazione, il regista S. S. Rajamouli, ha indicato Bastardi senza gloria) in cui due eroi della rivoluzione indiana realmente esistiti, ma mai incontratisi, Alluri Sitarama Raju e Komaram Bheem, diventano praticamente due supereroi del MCU (i fratelli Russo e James Gunn impazziscono per questo film), tra blockbuster e mockbuster della Asylum, coreografie (di danza e combattimenti) tra il wuxia e l’heroic bloodsheed di John Woo con quel tocco di costruttivismo sovietico nel numero musicale finale che si sposa coll’intento nazionalista dell’opera, non solo entusiasma, ma chiarisce perfettamente cosa si possa intendere per cinema popolare. Su Netflix.

4 – The Fabelmans di Steven Spielberg

The Fabelmans

Probabilmente l’opera mondo, l’opera vita di Steven Spielberg. In cui, più che raccontare la storia della sua famiglia, cerca di ricucirne i pezzi sparsi; più che parlare del suo cinema, fa vivere allo spettatore la grande magia che lo conquistò fin da piccolo.
Ne parlo più diffusamente qui.

5 – La donna del fiume di Lou Ye

La donna del fiume Suzhou River

La Femme defendue è del 1997, appena di tre anni precedente alla prima uscita di La donna del fiume. Debito o meno che sia, l’analogia tra i due film è evidente (la soggettiva dell’uomo che ama) e, volendo, ci si potrebbe aggiungere qualche suggestione da Guy di Michael Lindsay-Hogg (del 1996, a tutt’oggi forse il POV movie più teorico mai realizzato). Lou Ye, però, poi va oltre. La soggettiva (ovvero lo stile macchina a mano) resta anche quando narra della storia tra Mardar e Moudan. Il protagonista è un narratore (amante) affidabile o inaffidabile? Suzhou River resta, a 22 anni di distanza, una testimonianza formidabile di quella che fu la sesta generazione del cinema cinese: un movimento estremamente cinefilo (qui gli echi vanno dall’ovvio Hitchcock di Vertigo a L’Atalante di Jean Vigo) che, però, utilizzava il cinema e i generi (il mélò, il noir) per raccontare anche di una Cina ai minimi termini. E, infatti, il film fu proibito e al regista fu interdetta l’attività per due anni. Oggi, invece, che è visibile c’è da chiedersi se abbia mantenuto la sua potenza visiva. Indubbiamente sì, semmai è la censura a essersi fatta più sofisticata. Detto questo, in Italia è stato distribuito solo quest’anno.

6 – Elvis di Baz Luhrmann

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Baz Luhrmann ed Elvis erano destinati a incontrarsi. Il sincretismo musicale di un bianco che mescolava il country al r&b e al gospel non poteva che collidere con colui che ha fatto implodere il meticciato stilistico del postmoderno giungendo, con Moulin Rouge, al punto di non ritorno della bulimia scopica. L’immagine e l’immaginario intorno a Elvis non necessitavano del travisamento camp cui Luhrmann ci ha abituati fin da Ballroom – Gara di ballo, perché, camp, già lo erano e lo sono. Sarebbe stato un esercizio di stile, come in parte è stato Il grande Gatsby, ma stavolta il regista di Romeo+Giulietta ha meditato un’opera più complessa che va oltre la superficie riconoscibile del suo cinema, quella che ibrida linguaggi, forme e tecniche. C’è un’inquadratura, una soggettiva del colonnello Parker che vede Elvis di spalle nel Luna Park, e che, con un cambio di fuoco, ci mostra il manifesto lontano: Geek, una delle attrazioni. Ecco che questo Elvis costeggia La fiera delle illusioni e, forse, anche The Founder. Perché, come questi ultimi, è un film che svela le illusioni e l’illusionismo dell’entertainment, ma, più in generale, di tutti gli Usa. Elvis frequenta la popolazione afroamericana, suona con loro e come loro. E come loro viene sfruttato. Da un impostore, come Stanton Carlisle e Ray Kroc, un manipolatore, imbonitore. L’America è un paese di imbonitori. Lo sono i Presidenti per primi, ragion per cui perché sorprendersi quando un imbonitore diventa Presidente? Elvis non è stato un uomo con la forza di due (quella del fratello gemello non sopravvissuto al parto), ma un uomo sempre alla ricerca di qualcosa con cui riempire il vuoto lasciato dal fratello e poi dalla madre e da un padre poco determinante. La solitudine, però, non si vince così e, presto o tardi, ci si deve fare i conti. I titoli di coda servono a capire quanto ancora la musica di Elvis sia radicata nell’immaginario. Seguiteli, cantateli e ballateli fino alla fine.

7 – Ennio di Giuseppe Tornatore

ennio

In soli due giorni Ennio ha incassato 314.436 euro. In soli due giorni di un mese in cui sembrava che nessuno credesse più nella sala. Alla fine l’incasso è arrivato alla ragguardevole somma, per un documentario e per di più della durata monstre di 150 minuti, di 2,8 milioni di euro. Il fatto è che le sale hanno bisogno di cinema, di passione. Ed Ennio Morricone è sia cinema che passione. Giuseppe Tornatore sa che, di fronte alla grandezza di Morricone, deve solo limitarsi a illustrare, a raccontare. Perché Morricone è il racconto, Morricone è la musica. Eppure qualche “sfizio” da esegeta se lo toglie, come quando ci mostra l’incipit di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto con le musiche che Petri montò sopra, con la complicità di Ruggero Mastroianni, per fargli uno scherzo. Ennio è un documentario dalla visione del quale si esce commossi perché la musica di Morricone ci ri-guarda da vicino. Fa parte del nostro immaginario visivo. Perché è musica che si vede.

8 – Spencer di Pablo Larraín

spencer pablo larrain

Come evidenzia Giulio Sangiorgio su Film Tv , “Dove cazzo sono?” è la prima battuta che Diana Spencer pronuncia in questo anomalo biopic di (come lo sono tutti quelli finora diretti da) Pablo Larraìn. Uno smarrimento che si fa τόπος gotico del disorientamento. La plongée aerea su cui si staglia il titolo avvicina quest’opera a Shining ed è solo l’inizio perché l’analogia prosegue nei corridoi, nel bagno in cui la protagonista spesso si rifugia a vomitare, nei giardini. Lo rilevava Pier Maria Bocchi nella sua recensione su Cineforum – Rivista di cinema da Venezia 2021. Che lo definisce horror. Non un horror, ma horror. E, della materia cinematografica horror, Spencer è fatto. C’è una donna (una final girl?), sola, che cerca di mettere in salvo i figli; un castello, una dimora abbandonata, una reincarnazione (di Anna Bolena?), vomito verde. Quasi una versione autoriale di Finché morte non ci separi. All’inizio leggiamo “una favola tratta da una tragedia“. E, lo sanno tutti i bambini, tra le favole e l’horror è sempre corso buon sangue.

9 – All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras

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Commentando Dopesick, la serie che ricostruisce lo scandalo dell’Ossicodone e della famiglia Sackler, scrissi che era emblematico di una società, quella americana, abituata a risolvere i problemi con un colpo di spugna. Il dolore non va trattato, ma eliminato: risiede qui la diffusione di un farmaco pericoloso come l’Oxy. Il documentario di Laura Poitras, vincitore del Leone d’Oro a Venezia, visto dal sottoscritto durante la manifestazione Venezia a Napoli – Il cinema esteso , dice la stessa cosa viaggiando attraverso i ricordi di Nan Goldin. Che ha lottato e lotta affinché i Sackler paghino per il dolore e la morte causati. Finora un sistema asservito al potere economico ha impedito che venissero puniti come avrebbero meritato, ma la tenacia di Nan Goldin ha perlomeno innescato un processo di damnatio memoriae che, ironicamente, appare il giusto contrappasso per chi ha lucrato sul desiderio di cancellare e ora si ritrova col suo nome eliminato da un gran numero di musei che pure hanno finanziato allo scopo di mostrarsi munifici e sensibili mecenati.
La vita della Goldin, però, è stata una continua lotta contro l’idea vigliacca di cancellazione. La fotografia ferma l’attimo, soprattutto quello che si vorrebbe dimenticare. La Poitras ci mostra la sorella morta suicida (perché la sua omosessualità andava negata, cancellata, ragion per cui i genitori la fecero rinchiudere in diverse case di cura), il suo volto tumefatto dopo i ripetuti pugni del compagno (proprio all’occhio ovvero l’organo che permette alla Goldin di essere testimone). Tutto perché non si dimentichi. All the Beauty and the Bloodshed è davvero un gran film e ogni polemica sul documentario che non sarebbe cinema appare anacronistica e forse anche simile a quella cultura della negazione che il film della Poitras e la Goldin stessa cercano di combattere.

10 – Parigi, 13Arr. di Jacques Audiard

les olympiades

Non può essere un caso se due film d’autore, usciti a due settimane di distanza nel mese di febbraio, finissero con un “Ti amo” senza essere rom com di routine. È un antidoto: la risposta di chi, in fondo, vuole bene al mondo e all’umanità, a una società che ormai nasconde, dietro il nichilismo e il cinismo social, una profonda sofferenza e ferite difficili da rimarginare. Se Paul Thomas Anderson e Jacques Audiard parlano d’amore è perché sentono che è a quello che occorre tornare. Fate l’amore, non fate la guerra. È evidente, proprio oggi, che di amore ce n’è poco. E in questa ronde amoureuse, Audiard si fa aiutare da Céline Sciamma e Léa Mysius con cui adatta tre graphic novel di Adrian Tomine. Abbandona i toni cupi del suo genere prediletto per darci un barlume di speranza così come lo dà ai suoi personaggi di cui filma i corpi come Kechiche e i sentimenti come, forse, proprio la Sciamma.

+1 – Esterno notte di Marco Bellocchio

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Ho sempre pensato che l’affaire Moro fosse per l’Italia quello che l’assassinio Kennedy è stato per gli Stati Uniti. Forse Bellocchio la vede allo stesso modo se nell’incipit di Esterno notte, nella scena della manifestazione sotto la sede della DC che l’onorevole segue dal balcone, irrompono immagini in 8 mm come riprese da uno Zapruder nostrano. Anche Alberto Libera in una puntata del podcast Salotto Monogatari parla di “rimosso collettivo” e di come, in qualche modo, Esterno notte rappresenti il controcampo di Marx può aspettare. Vero, ma in fondo il titolo che rimanda all’indicazione tipica delle slug line delle sceneggiature, può anche permettere di inquadrarlo come il fuori campo di Buongiorno, notte. Dal “realismo irrealistico” dell’opera del 2003, come lo definiva Massimiliano Studer su Mimesis, all’onirismo verosimile di Esterno notte. Come se fosse un Esterno (di Buongiorno,)notte. Tanto era ripiegato sull’interno della prigione quello, quanto questo, invece, ci parla delle conseguenze, degli effetti sull’esterno. Scegliendo di seguire alcuni personaggi emblematici come Cossiga, Paolo VI, Eleonora Moro, Valerio Morucci e Adriana Faranda. Il senso di colpa loro diventa il senso di colpa di una nazione che ha preferito cancellare la (prima) Repubblica invece che farci i conti (come, in fondo, veniva fuori anche da Hammamet di Gianni Amelio). Che ha scelto il confortante obnubilamento del mistero irrisolto alla lacerante verità.

2 commenti su “I migliori dieci film del 2022 (+1)”

  1. mi aspettavo di vedere Crimes Of The Future in qualche posizione, se non proprio in cima. Che Non è esattamente qualcosa di nuovo sul fronte Cronenberg, però…

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  2. Invece è proprio quel non essere esattamente qualcosa di nuovo. Dieci titoli sono sempre pochi e ci si fissa dei parametri per le scelte. Tra questi quello di aver in qualche modo sorpreso me spettatore, non confermato nelle mie certezze.

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