
L’estate è la stagione dei bagni, del sole, delle vacanze e…dei recuperi. Ve ne suggeriamo dieci.
Siamo la prima Scuola di Cinema e Fotografia di Napoli
Dopo la presentazione alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, la proiezione ad Astradoc – Viaggio nel cinema del reale, e il premio conferitogli dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma all’ottavo Festival di Spello, Flavioh – Trubuto a Flavio Bucci sarà proiettato nella sezione competitiva Scenari Campani della diciassettesima edizione dell’Ischia Film Festival.
La proiezione è prevista per domenica 30 giugno, alle ore 21:00 alla Terrazza degli Ulivi (programma).
Flavioh – Tributo a Flavioh Bucci, diretto da Riccardo Zinna, è un progetto al quale, come Pigrecoemme, teniamo moltissimo e col quale ho un rapporto personale molto complesso, avendolo montato in due anni di lavoro accanto al regista, Riccardo Zinna, che sapeva di essere gravemente malato. Un complesso lavoro di analisi del materiale (svolto anche grazie ad Annabella Gallo) e di vera e propria scrittura che assumeva, nel suo dispiegarsi, la forma di una tragica corsa contro il tempo.
Purtroppo Riccardo, morto lo scorso settembre, non ha potuto assistere a nessuna delle proiezioni di questo suo splendido lavoro, testimonianza del suo sguardo così appassionato sulla vita e impreziosito dalle sue splendide musiche. Lavoro che ha ricevuto ottime critiche.
Mio nonno è stato un repubblicano/mazziniano, fieramente antifascista (diede uno schiaffo a una camicia nera che aveva importunato mia nonna), ma nell’ultima parte della sua vita si lasciò affascinare dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi. Questo particolare evento, riguardante la mia famiglia, ha a che fare più di quanto potreste pensare col libro in uscita, il 25 aprile (e quando sennò?), per i tipi della DOTS edizioni: Lo specchio nero – I sovranismi sullo schermo dal 2001 a oggi. Gli autori sono Massimiliano Martiradonna e Mirco Moretti, meglio noti, soprattutto ai lettori della rivista Nocturno, coll’eteronimo Dikotomiko.
Siamo sempre contenti quando, più o meno direttamente, vengono riconosciuti i risultati raggiunti da Pigrecoemme attraverso un lavoro costante fatto di passione e sacrifici. Stavolta, tuttavia, la segnalazione, che ci è giunta inaspettata perché davvero non ne sapevamo niente, ci riempie maggiormente di orgoglio. E per più di un motivo.
Sul numero 14 di Io Donna, rivista del Corriere della sera, uscito sabato 6 aprile, in un pezzo a firma Paola Casella, c’è un box in cui vengono indicate cinque eccellenti scuole di cinema italiane. Accanto a enti formativi prestigiosi quali la scuola Zelig di Bolzano, Luchino Visconti di Milano, il CSC e la Gian Maria Volontè di Roma, figura Pigrecoemme.
Per noi è un riconoscimento autorevole e prezioso. E questa attestazione di stima e credito ci inorgoglisce ancora di più in quanto inserita all’interno di un articolo che si occupa delle donne nel cinema. Argomento sul quale ci battiamo da tempo. Pigrecoemme è un luogo in cui l’unica discriminante che viene considerata ai fini dell’inserimento lavorativo è la passione per il lavoro e la competenza. Questioni di gender, di razza e di orientamento sessuale, che pure vanno affrontate, perché nel mondo fuori esistono, alla Pigrecoemme contano quanto il colore dei capelli o l’apprezzamento delle verdure: niente.
Non ci giriamo intorno: se dovessimo calcolare quanti, tra ex allievi ed ex allieve, sono oggi impiegati stabilmente nel comparto audiovisivo, la bilancia penderebbe nettamente a favore delle seconde. E di atteggiamenti, anche inconsciamente discriminatori, ne hanno dovuti affrontare pure durante i corsi. Atteggiamenti che abbiamo stigmatizzato, corretto. Perché riteniamo che una scuola, qualsiasi scuola, prima che lavoratori competenti debba “licenziare” persone, individui, cittadini del futuro. E alla Pigrecoemme vogliamo che il futuro sia migliore di questo presente.
Nell’incipit di Tempi Moderni, diretto da Charlie Chaplin nel 1936, un famoso raccordo analogico accosta un gregge di pecore ad una folla di operai che salgono le scale della metropolitana per recarsi in fabbrica. Chaplin racconta in poco meno di dieci secondi l’alienazione del lavoro operaio. Da quella stessa metropolitana, una delle tante abbandonate in America, salgono i doppelgänger di Noi, anch’essi in tuta da operai. O da prigionieri di Guantanamo (e ci sono foto che ritraggono degli individui in tuta rossa chiusi in gabbie come quelle dei conigli nel film). E sono incazzati.