Questo non è Sherlock Holmes – Vita privata di Sherlock Holmes analizzato da Pasquale Cadoni

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Questa non è una pipa, o meglio non è la pipa di Sherlock Holmes, perché questo non è Sherlock Holmes.

La classica dinamica wilderiana che si gioca nell’oscillazione tra apparenza e inganno raggiunge il parossismo in questo Sherlock Holmes, non a caso apocrifo (la sceneggiatura, infatti, è originale e non ispirata a un’opera di Conan Doyle). Qui, il Tradimento delle immagini di Magritte rimbomba nell’universo filmico, assumendo una dimensione ancora più intensa e configurandosi come un tradimento degli oggetti.

La rosa all’orecchio dell’omofobo Watson, la bibbia in mano ai falsi trappisti, l’ombrello Morse, lo stetoscopio che tradisce (appunto) il travestimento di Watson, sono tutti indizi ingannatori inseriti con gusto un po’ sadico all’interno della saga feticista per eccellenza. A posteriori, quindi, quell’esibizione iniziale di oggetti legati al celebre investigatore (berretto, pipa, lente di ingrandimento, siringa ecc.) assume un nuovo significato, un significato che ha lo scopo programmatico di negare sé stesso.
Tra quegli oggetti ce n’è uno più importante degli altri, è il classico manoscrittoritrovato (tutto attaccato) che però in Wilder rappresenta l’esatto opposto di quello che significa per Hawthorne, Ariosto, Manzoni, Eco e compagnia: non l’emersione di una presunta verità dal passato ma l’affermazione di una menzogna divertita (e in questo è probabilmente molto più simile a Cervantes, e forse in qualche misura anche a Scott). D’altronde, come ci dice esplicitamente Watson assistendo al Lago dei cigni in quella che sembra a tutti gli effetti una dichiarazione poetica, “il cigno non è un cigno” e “il castello non è un castello”.

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Colin Blakely e Robert Stephens

Questo non è Sherlock Holmes anche per un altro motivo: il personaggio di Arthur Conan Doyle simboleggia il positivismo della ragione contro l’irrazionalità del caos, l’ordine delle leggi contro il disordine della violenza. L’Holmes originale è il campione del pensiero scientista ottocentesco, quello di Wilder ne è lo specchio rovesciato: ossia un uomo novecentesco sconfitto dalle proprie passioni. D’altronde se persino gli oggetti, le realtà empiriche, sono mendaci, cosa rimane a un uomo razionale per arrivare alla verità? Nonostante Sherlock sia uno degli uomini più brillanti del proprio tempo (certo, dopo Tolstoj, Nietzsche e Tchaikovsky) basterà il corpo nudo di una donna a mandare per aria tutte le sue presunte certezze. Letteratura e cinema sono egualmente bugiardi: Watson, archetipo del narratore, descrive nei suoi racconti un Holmes, più alto, più brillante, più bravo col violino e più drogato di quanto non sia in realtà (ma, a questo punto, quale realtà?). E non è un caso che questo personaggio, pedantissimo e costantemente in errore, forse proprio grazie al suo status di narratore, sia in grado di subodorare, a differenza di Holmes (blasfemia!), la soluzione del caso.

https://www.youtube.com/watch?v=ra8ukuteU8c
Vita privata di Sherlock Holmes – Titoli di testa
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In Wilder spesso la linea narrativa principale, quella che regge l’architettura della vicenda, non è quella che contiene il tema “caldo” del film, tema che di solito viene affidato a una storyline secondaria e che molte volte non è neanche effettivamente sviluppato, bensì solamente accennato (Non per soldi… ma per denaro, Prima pagina, Frutto proibito, L’appartamento ecc.). Ma qui, come detto, siamo di fronte a una manifestazione di parossismo, e questo meccanismo è elevato al cubo: Vita privata di Sherlock Holmes, infatti, è un film metanarrativo che racconta una storia d’amore (frustrata e non consumata, vissuta tra inganno e anaffettività) nascosta in un film di spionaggio che ha i toni della commedia. Sembra di stare dentro una di quelle case di specchi e di guardare il riflesso del riflesso del riflesso…

E per una volta l’allusione all’omosessualità di Sherlock sembra più il vezzo di una firma che non un argomento reale (pensiamo a come la stessa allusione, peraltro frequentissima in Wilder, sia molto più vaga, e ciononostante molto più sviluppata, in altre opere come ad esempio Prima pagina). Holmes rifugge le donne perché il desiderio che suscitano in lui incarna la manifestazione di un mondo dove le sue regole non funzionano più. E in fondo è pure ben sciocco quel mondo di cui è il re, un mondo dove si misura l’affondamento di un gambo di sedano nel burro, dove fare astrusi esperimenti con le pipe, dove nani acrobati pilotano sommergibili, insomma, questo Holmes di Conan Doyle visto da Wilder sembra più simile a un Barone di Munchausen, o – ancora a proposito di Cervantes – a un Don Chisciotte.

E allora forse ci siamo sbagliati: questo uomo sconfitto che riceve dal fratello Mycroft – vero deus ex machina, rivelatore della soluzione – un Madeira del 1814 (un anno prima di Waterloo!) beh, in effetti, forse è questo l’unico vero Sherlock Holmes davvero possibile.

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