Freaks Out di Gabriele Mainetti – La recensione

freaks out 2001 recensione del film

C’è in rete un video essay di kogonada, What is neorealism?, in cui l’autore, confrontando la versione italiana di Stazione Termini di Vittorio De Sica con quella montata a Hollywood da David O. Selznick, sottolinea quali siano le caratteristiche più evidenti di uno stile, prima che fenomeno, di così largo successo in tutto il mondo. Excessive, Distraction, Unnecessary Diversion sono le peculiarità che kogonada riconosce al neorealismo: la digressione, la dilatazione del racconto, la tendenza a eccedere. Leggendo le recensioni di Freaks Out si nota la stigmatizzazione, in quelle negative come in quelle positive, proprio di questi aspetti. Si ascrive a Mainetti l’eccesso (di stile e di racconto, ma anche di durata), la tendenza a debordare. In una delle prime scene, quella del rastrellamento cui assistono i protagonisti poco dopo essere stati abbandonati (?) da Israel, abbiamo la possibilità di vedere proprio uno di quegli episodi marginali cui allude kogonada, episodi che non fanno progredire la narrazione (fattore inaccettabile per la fabbrica dei sogni), ma definiscono un contesto, un ambiente, un’atmosfera: una giovane non ebrea finge di essere lei la madre di un neonato mentre la donna (la madre legittima) che lo ha in braccio, e che sta per essere deportata, viene fatta passare per la nutrice, la tata. Così salva il bambino da morte certa, incassando il commosso ringraziamento della sventurata.

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Suspiria di Luca Guadagnino – recensione

«Spegnete la luce pensava Ulrike / che la foresta più nera è vicina,
ma oggi la luna ha una faccia da strega / e il sole ha lasciato i suoi raggi in cantina»

Così recita una strofa di Incubo numero zero di Claudio Lolli, brano tratto dall’album Disoccupate le strade dai sogni uscito nel 1977 e dedicato a Ulrike Meinhof, la giornalista tedesca più nota come cofondatrice della RAF (Rote Armee Fraktion), gruppo terroristico conosciuto col nome di Banda Baader-Meinhof.

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I 10 peggiori serial killer della storia del cinema

In sala c’è Saw Legacy. Non se ne sentiva il bisogno, ma il fatto che si raschi il fondo del barile della saga creata da James WanLeigh Wannell dimostra quanto Jigsaw/John Kramer sia entrato nell’immaginario collettivo. Che, come dimostra il successo di Mindhunter su Netflix e l’annuncio del prossimo film di Tarantino su Charles Manson, è popolato, da molto tempo, dai nuovi baubau che sono i serial killer. Ma non tutti hanno la fortuna di radicarsi nella memoria collettiva. Ce ne sono alcuni, poveretti, protagonisti di film che nessuno ricorda. Soprattutto per colpa loro. Eccone 10.

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Dalla Prussia con orrore

KRIMI TEDESCO

Per introdurre l’argomento krimi dobbiamo ricorrere ad un vecchio numero della rivista Bianco & Nero (numero 3 del 1997) sull’Eurowestern. Nell’articolo di Christiane HabichIl western in Germania Occidentale, leggiamo: “Alla fine degli anni’ 50 l’industria cinematografica tedesca era entrata in un profondo stato di crisi a causa dell’avvento della televisione. Le sale lamentavano un forte calo di spettatori, che dal 1959 al 1960 fu di circa il 9,1%. Soltanto l’Ufa, una delle principali case di produzione dell’epoca, nel 1959 ebbe una perdita di 5,4 milioni di marchi. Horst Wendlandt fu il salvatore – almeno per qualche anno dell’industria cinematografica tedesca. Possedeva un vero fiuto per i temi di successo, e nel 1959 iniziò con Der Frosch mit der Maske (La maschera che uccide) una serie di riduzioni cinematografiche da Edgar Wallace che riportarono gli spettatori al cinema. A quel tempo Wendlandt lavorava ancora come direttore di produzione per la CCC-Film di Artur BraunerQuando la Rialto Film, fondata all’inizio degli anni ’60 dal danese Preben Philipsensi trasferì dalla Danimarca a Berlino, Horst Wendlandt assunse la direzione della filiale tedesca e procurò grandi introiti proprio grazie agli adattamenti da Wallace“. In altre parole, per quanto krimi in tedesco sia termine generico (diminutivo) col quale si indica il cinema, la letteratura (abbreviazione di KriminalfilmKriminalroman) e le serie tv poliziesche (quelle celebri come Derrick – che condivide coi film di cui parleremo, protagonista, Horst Tappert, e uno dei registi, Alfred Vohrer – o Tatort ed il suo spinoff Schimanski – Sul luogo del delitto, per giungere alle più commerciali come Squadra speciale Lipsia Il commissario Rex), è pur vero che nella pubblicistica sul cinema di genere, krimi viene usato esclusivamente per una serie di film prodotti dalla Rialto, gran parte dei quali tratti da romanzi di Edgar Wallace (e del figlio Bryan Edgar). Non parleremo, quindi, di Lang e di Mabuse che del krimi presenterebbe le caratteristiche (ed alcune sue apparizioni apocrife, in fondo, al krimi possono essere ascritte: vedi Scotland Yard contro Mabuse) né di alcuni thriller più recenti che hanno attinto ad altro immaginario (Tatoo di Robert Schwentke, del 2002, il quale deve più a Se7en di David Fincher che ai precedenti tedeschi ed infatti, dopo questo lavoro, al regista si sono aperte le porte di Hollywood), ma ci riferiremo solo a quel particolare periodo storico, quando il genere, da episodico, divenne un vero e proprio filone. Con influenze reciproche con il nostro spaghetti thriller, da Mario Bava e ritorno. Non a caso le due ultime pellicole che sul web ritrovate inserite in krimi list sono due coproduzioni con l’Italia (Cosa avete fatto a Solange? di Massimo DallamanoSette orchidee macchiate di rosso di Umberto Lenzi) mentre da Bryan Wallace sono tratti L’etrusco uccide ancora di Armando Crispino e parrebbe (in quanto non accreditato) addirittura Il gatto a nove code.

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La bellezza del demonio – Una guida a The Neon Demon

neon demon

La bellezza del diavolo è forse il titolo più utilizzato nelle trasposizioni del Faust gothiano. Così è intitolato un film di Renè Clair, datato 1950, con Michel SimonGérard Philipe (interprete, tre anni prima, per restare in tema sulfureo, dell’adattamento per il grande schermo, a firma Autant-Lara, di Il diavolo in corpo di Raymond Radiguet) e lo sono anche due albi a fumetti (di Demon HunterJohn Doe) mentre il numero 6 di Dylan Dog, uscito nel marzo del 1987, si intitolava, al pari di questa analisi, La bellezza del demonio. In particolare, nella sinossi di questo storico albo che si può legger sul sito della Bonelli, si dice: “Larry Varedo era il miglior killer sul mercato prima di quel lontano giorno del 1945, cinico e freddo come un orologio. Ma quando gli chiesero di uccidere Mala Behemoth, il suo ghiaccio si sciolse. Era così bella, così irraggiungibile, quasi fosse un fantasma o… un demone!“. La bellezza, quindi, è pericolosa. Ecco cosa pare volerci dire, nel suo ultimo lavoro, Nicolas Winding Refn.

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Grande Giove! 10 film del 1985

backtothefutureday

Lo confessiamo. A volte, diciamo pure spesso, ci sembra di essere finiti nel 2015 alternativo in cui Biff Tannen fa il bello ed il cattivo tempo. Non ci piace. Saremmo nostalgici, ma non ci piace. Allora abbiamo pensato di tornare al 1985 per mettere le cose a posto (al 1985, non al 1955, per noi i guai sono cominciati lì 😀 ). Come? Indicandovi una lista di film che dovreste vedere o rivedere, affinché magari questo futuro sia un po’ diverso. In meglio. Qualche film risulterà datato 1984, qualcuno 1986. Noi ci siamo attenuti alle liste che sono sul web, anche perché tra produzione e distribuzione, a volte, ci può essere una discrasìa.

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