I 10 padri più madri di cinema e tv

festa-del-papaUna volta le donne non potevano recitare. Quindi era normale che sul palco (di un teatro inglese del cinquecento o del teatro kabuki o di un teatro lirico) ci fossero attori maschi en travesti. C’è anche un  travestitismo da difesa (Katherine Hepburn in Il diavolo è femmina, la coppia Curtis/Lemmon in A qualcuno piace caldo, quella derivativa e meno glamour De Sica/Banfi in Belli freschi), ma, siamo sinceri, il più ricorrente è quello da pochade, quello che mira a suscitare la risata di pancia. Da un po’, tuttavia, pare che cinema e tv abbiano cominciato ad interessarsi ad un altro aspetto transgender ovvero quello della genitorialità. E, tra la notizia di un genitore napoletano che abusa del figlio e lo vende sul web ed un #boycottD&G, ci è sembrato il modo migliore per parlare di paternità e di genitorialità in (o fuori dal) “genere”, nel giorno consacrato alla sua celebrazione. Ancora una volta ci fa piacere che questa lista ospiti, in chiusura, un contributo di un’allieva del corso di Analisi e critica di Pigrecoemme: Alba Tarabbo.

1 – Mort/Maura in Transparent

C’è un livello metanarrativo che regge tutto il pilot. Jeffrey Tambor è stato anche l’interprete di George Bluth sr. ovvero il padre truffatore, il cui arresto, sconvolgeva la vita della famiglia ed in particolare dei figli. Cosa che accade anche nella prima serie prodotta da Amazon, salvo che qui lo scompiglio matura per un’agnizione di natura sessuale. L’intelligenza del plot di Jill Solloway sta nel fatto che la rivelazione della natura transgender del capofamiglia non genera conflitti ridotti ad una basica dicotomia omofobo/progressista, ma mette tutti di fronte alla necessità di svelarsi per quello che si è e non per quello che si è sembrati fino a quel momento.

2 – Lola in Tutto su mia madre

Tutti ricordano l’ingresso in scena di Lola che omaggia il Fedora di Billy Wilder, storia di una madre egoista che perpetua letteralmente nel corpo della figlia la propria giovinezza e bellezza. Lola è il padre di Esteban, morto ad inizio film, e lo sarà del figlio di Rosa, la suora, ma non lo ha mai fatto (il padre, o meglio il genitore) né lo farà. La dedica finale di Almodòvar recita “agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madri“. In quell’ “a tutte le persone” è racchiuso tutto il senso di una genitorialità che va oltre il gender.

3 – Daniel Hillard/Mrs. Euphegenia Doubtfire in Mrs. Doubtfire

Siamo certi che nelle intenzioni degli sceneggiatori Leslie Dixon e Randi Mayem Singer non ci fosse altro intento che quello di creare la più classica commedia degli equivoci (obiettivo pienamente raggiunto), ma consapevole o meno che sia, la vicenda di un padre che si scopre (e si fa scoprire) genitore migliore vestendo abiti femminili è un valido spunto di discussione (oltretutto veicolato da un film di successo) sulla genitorialità transgender.

4 – Sabrina “Bree” Osbourne/Stanley Schupak in Transamerica

C’è qualcosa di dissonante in Transamerica, che pure è valso un Golden Globe per l’interpretazione drammatica a Felicity Huffman e una nomination all’Oscar. E non parliamo della violenza del patrigno sul figlio Toby, facile scorciatoia narrativa per palesare, anche ai più ottusi, che essere padre non dipende dall’essere maschi. Parliamo dell’epilogo che ci mostra il ragazzo diventato attore porno-gay. Non c’è giudizio esplicito, è vero, ma ci sembra una presa di posizione stonata rispetto ad un film tutto sommato equilibrato.

5 –  Sophia Burset in Orange is  the New Black

Siamo abituati ad attori che recitano il ruolo di trans, travestendosi, o ad attrici che interpretano uomini che diventano donne (come nel caso di Felicity Huffman). Laverne Cox, che interpreta Sophia Burset nella serie creata da Jenji Kohan, è la prima transessuale dichiarata ad aver vinto un Emmy per il ruolo di una transessuale. Nella serie, il suo personaggio pretransizione è interpretato dal gemello M Lamar Cox. Laverne/Sophia è, a ragione, diventata icona (oltre che attivista) del movimento LGBT statunitense, quanto e, forse, più del ruolo interpretato in OITNB.

6 – Francine Fishpaw in Polyester

Anche se di uomini che recitano in vesti femminili, anche di madri, se ne son visti (dal Gigi Reder in Fracchia e la belva umana al Guillaume Gallienne di Tutto sua madre), il caso di Harris Glenn Milstead è diverso. Milstead era gay, ma non transessuale e si travestiva solo quando recitava, diventando Divine. Fu amico e musa di John Waters per il quale ha recitato spesso nei panni di donna e madre: terribilmente disgustosa in Pink Flamingos, molesta, ma buona in Hairspray ed in questo Polyester. Che, in fondo, rappresenta la transizione dell’autore Waters da un cinema underground ad uno ugualmente trasgressivo, ma dalla forma più borghese e quindi più accettata ed accettabile. Polyester fu distribuito in odorama: al pubblico, all’ingresso, venivano consegnate delle striscioline con sezioni da grattare ogni volta che veniva richiesto in corso di proiezione. Lo sfregamento rilasciava l’odore (cattivo: vomito, cacca…) corrispondente all’immagine proiettata.

https://youtu.be/fwtbY9zfOMA

7 – David/Virginia in Una nuova amica

François Ozon ci ha abituato a racconti cinematografici che riflettano sul rapporto tra realtà e messinscena (Swimming PoolAngieNella casa), ma qui questa dialettica è meno metalinguistica ed ha più a che fare con l’identità che ognuno di noi veicola e ha. David resta vedovo e si trova a dover fare da padre e madre. E lo fa vestendone letteralmente entrambi gli abiti.

8 – Rudy Donatello in Any Day Now

Quello che mette in campo Any Day Now pare un eccesso di tematiche tanto da rischiare la bulimia da dibattito: i diritti delle coppie gay, la possibilità adottare bambini, la sindrome di Down. Su tutte, una: chi può essere considerato genitore più adatto? Chi ha partorito un figlio o chi se ne prende effettivamente cura? Quali possono essere le conseguenze sulla psiche di un figlio tra il vivere in una famiglia “tradizionale” malsana e crescere con due genitori amorevoli anche se omosessuali? Travis Fine dirige bene e tiene a bada anche il rischio di sfociare in un’apoteosi del camp, tra drag queen e revival anni ’70.

9 – Mia in Hit & Miss

A volte viene davvero lo scoramento pensando ai nostri Don MatteoCarabinieri vari, al fatto che mentre si grida al miracolo per Una mamma imperfetta di Ivan Cotroneo, oltremanica c’è un tale Paul Abbot che pare voler usare il medium televisivo per mettere in discussione il concetto di famiglia tradizionale. E così, dopo Shameless, ha sfornato questa miniserie la cui protagonista è Mia, un trans/eunte, killer di professione, che scopre di essere padre e patrigno. Da vedere. Punto e basta.

10 – Albin Mougeotte/’Zaza Napoli’ in Il vizietto (contributo di Alba Tarabbo)

Dolce & Gabbana saranno contenti di sapere che figli educati da omosessuali e/o “transvestiti” ce ne sono sempre stati e che, nonostante questo, crescono bene, arrivando a sposarsi pure. L’italiano Renato, per amore di suo figlio, mette da parte portafortuna, orgoglio e fondotinta, perché, in fondo, le derisioni subite e gli anni impiegati ad acquistare consapevolezza di sé non sembrano contare molto per un padre che ama suo figlio e che per la sua felicità è pronto a negare completamente se stesso. E non contano neanche per Albin che, nonostante geneticamente estraneo a Laurent, fa di tutto per vederlo felice arrivando perfino a cercare di camminare come John Wayne. Sebbene ambientato nella mondana Saint-Tropez, l’anno è pur sempre il 1978, e un gay era e rimaneva soltanto un maricón (frocio). Per cui, tralasciando il macchiettismo di certi personaggi, quel che se ne ricava è comunque il tema di una paternità (e di una maternità) sentita ben oltre il genere e, nel caso di Albin, la genetica. Consapevoli che, come dice una fortunatissima commedia di Billy Wilder, “Nessuno è perfetto”.

https://youtu.be/f1ZOrLU2IxQ

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