Per “Cinema e storia”, Palombella rossa all’Accademia di Belle Arti

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Mercoledì 20 maggio, alle ore 10:30, presso il teatro dell’Accademia di Belle arti di Napoli, Corrado Morra, docente del corso di sceneggiatura di Pigrecoemme, introdurrà Palombella rossa di Nanni Moretti.
La proiezione, a ingresso gratuito fino a esaurimento posti, si inserisce nel programma della XVII edizione della rassegna Cinema e storia, dedicata quest’anno agli anni Ottanta.
Organizzata dall’Accademia di belle arti di Napoli e dall’Università degli studi di Napoli “Federico II” – Master di II livello in drammaturgia e cinematografia, Cinema e storia è a cura di Mario Franco, Pasquale Iaccio e Vincenzo Esposito.

La locandina con il programma della rassegna
La locandina con il programma della rassegna

Palombella rossa (1989) è tra i film più esplicitamente politici di Moretti e, tramite la metafora dello sport di squadra, si presenta anche come una sofferta analisi della situazione politica e sociale dell’Italia della fine del decennio.
Un periodo all’insegna del “riflusso” e del “disimpegno”, come un’ormai conclamata vulgata vorrebbe imporre, gli anni Ottanta sono stati, invece, un periodo ben più complesso, che anche il cinema italiano ha saputo raccontare nei suoi infiniti chiaroscuri.
Cinematograficamente, potremmo far partire il decennio dalla ridefinizione del mito del viaggio di Ricomincio da tre (1981) di Massimo Troisi (che coincideva con una revisione antiretorica dell’identità napoletana), non più rito collettivo, come nella controcultura degli anni Settanta, o necessità sociale, come nell’economia industriale dell’emigrazione, ma epica individuale, che ipotizzava una via romantica all’esplorazione esistenziale à la Bruce Chatwin, anticipando finanche la massificazione dell’esperienza turistica banalizzata via Ryanair.

Prima di "Her" di Spike Jonze, "I Love You" di Marco Ferreri.
Prima di “Her” di Spike Jonze, “I Love You” di Marco Ferreri.

È poi del 1986 un altro film epocale (e molto sottovalutato), qual è I Love You di Marco Ferreri, in cui, espressa in maniera geniale, c’è una potente intuizione sul destino cosale delle relazioni umane e sulla manifesta reificazione dell’amore, che, grazie al volto muliebre di un portachiavi elettronico, anticipava politicamente (e ben dieci anni prima dell’apparizione del Tamagotchi!), la postura definitiva della contemporaneità: ossia l’auto-autismo degli occhi abbassati sui gadget e i device mobili contemporanei, sulla cui superficie polita avviene oggi la vera mediazione, definitiva e alienante, tra individuo e realtà.

Ed è proprio con Palombella rossa che sembra chiudersi una certa idea del decennio, con una riflessione politica di Moretti (che è anche contemporaneamente una meta-riflessione sul suo cinema e sulla memoria), che ci ricorda come, oltre all’efficacia merceologica di payoff e headline dei messaggi pubblicitari della “Milano da bere”, koinè imperante di quegli anni, esista la necessità di una riflessione costante sull’importanza delle parole, ossia sulla ridefinizione del senso.

E le parole sono importanti proprio perché, come uno specchio d’acqua, dovrebbero essere sempre chiare e trasparenti. E lo specchio d’acqua è qui quello di una piscina, il campo da gioco della pallanuoto, che Moretti sceglie per mettere in campo i suoi fantasmi, spazio evidentemente simbolico, in cui ognuno di noi – nella sofferta contraddizione dell’acqua alta, che infine è la condizione umana – è costretto a galleggiare, attento a scansare il mercimonio sempre in agguato sul capitale dei sentimenti e sulla forza creatrice del verbo (oltre alle vuote espressioni del linguaggio giornalistico, nel film, i cartelloni pubblicitari con le marche dei dolci in piscina – vere sirene provocatrici del desiderio e del ricordo – ne sono il più potente equivalente narrativo). “Io odio la parola scritta”, dirà a un certo punto Michele in Palombella rossa, quella parola scritta che definisce, testimonia, cristallizza, rendendo il ricordo immutabile, e il sentimento un indizio, e forse, proprio per questo, banalizzandolo e addirittura uccidendolo. Ma sulla superficie dell’acqua, si sa, è impossibile scrivere…

Durante la breve presentazione, tempo permettendo, si parlerà del testo della canzone “Heroes” di David Bowie, dell’alibi del muro di Berlino, del costante anacronismo del sentimento amoroso in Roland Barthes, del fallimento del situazionismo punk, del tramonto delle ideologie, del Sol dell’Avvenire, di Pinocchio, di Fino all’ultimo respiro, del “Silencio” in David Lynch, della Parola in Dreyer, di sogni, di Bruce Springsteen, di “To be on fire” vs il rigurgito operaista di “To be fired”, di amnesia e anamnesi, del Dottor Živago e, inevitabilmente, dell’amore impossibile, rileggendo Palombella rossa come la cartina di tornasole delle tensioni esistenziali non sciolte tra dimensione politica e sfera del privato, che tanto profondamente hanno definito il tessuto culturale e sociale degli anni Ottanta. Ma, a ben vedere, sono proprio quelle le tensioni che delineano, altrettanto profondamente, la determinante polarità di qualsiasi sfera dell’agire umano.

Alcune di queste suggestioni del cinema di Moretti saranno poi riprese e approfondite durante il corso di sceneggiatura della Scuola di cinema Pigrecoemme, che ripartirà dal 16 giugno in forma intensiva, e che in quest’edizione, all’ormai abituale analisi del paradigma in tre atti del film La stanza del figlio, tra i numerosi spunti farà riferimento anche alla struttura in due atti dell’ultimo lavoro del regista: Mia madre.

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