Il fatto che tutti, ma proprio tutti, abbiano fatto la loro lista, ci ha fatto dubitare dell’esigenza che ce ne fosse un’altra. Poi abbiamo pensato comunque di stilarne una. Chiaramente ci saranno titoli che avrete trovato anche nelle altre liste ed altri che non abbiamo inserito perché non li abbiamo visti (Godard e Dumont, ad esempio). Altri ancora mancheranno perché secondo noi sopravvalutati (è il caso di Her e Under the Skin, ad esempio). Ci troverete un solo film con Matthew McCounaghey protagonista, perché lui è stato decisamente migliore dei film interpretati (anche quando erano dei buoni film come Dallas Buyers Club o Mud). E non ci troverete Mommy di Xavier Dolan, nonostante sia un gran film. Perché abbiamo amato di più Laurence Anyways che è inedito in Italia e perché si devono operare delle scelte. E ci sarà una sorpresa finale, fuori lista. Il film più bello del 2014, giunto in extremis. Ma non è piaciuto a tutti.
1 – The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese
È il film del ritorno di Martin Scorsese. Diciamoci la verità: quello che in questi anni ha girato film con la mano sinistra (vincendo pure l’Oscar, perché l’Academy funziona così, cioè male il più delle volte) non era lui, ma la sua ombra. Qui invece torna in gran forma e sforna un film drogato, una soggettiva di tre ore del protagonista Jordan Belfort, strafatto di ambizione e metaqualone. Un trip più che un film, che alla fine (conclusione molto simile a The Hurt Locker, anche se si tratta di droghe diverse) ti lascia inevitabilmente in astinenza.
2 – Boyhood di Richard Linklater
Se ci soffermiamo sulla storia, in fondo è il solito, logorroico film di Richard “Before Everything” Linklater, ma è indubbiamente l’operazione più meta che si sia vista di recente. Il regista ribalta l’assunto cocteauiano (“il cinema è la morte al lavoro sugli attori”) e filma la vita al lavoro, non realizza bazinianamente la mummia del cambiamento, ma il cambiamento della mummia. In fondo, pare negare, nel suo farsi, l’eterno presente narrativo della settima arte, ma poi lo conferma con la splendida battuta finale: “l’attimo è come se fosse sempre ora, no?”
3 – Ida di Paweł Pawlikowski
Un’opera di un rigore ascetico inusitato eppure piena di passione. 4:3 e b/n dreyeriano, ma poi ecco l’irruzione di Fellini (Celentano, oltre che Buscaglione nella colonna sonora) che viene citato ampiamente alla fine con quella camminata/citazione di Le notti di Cabiria della protagonista. Che è santa, ma anche un po’ “puttana” come la zia. Legittimamente vincitore dell’Oscar europeo.
4 – Locke di Steven Knight
Un cameracarspiele di un’efficacia sorprendente. A leggere la sinossi, un film che metterebbe in fuga anche lo spettatore più paziente. Ed invece, Steven Knight tiene alta una suspense che non c’è e riesce in quello in cui molti suoi colleghi falliscono: confermare che il viaggio è più importante della meta. Strepitoso Tom Hardy.
5 – Le meraviglie di Alice Rohrwacher
La Rohrwacher si conferma la più truffautiana dei registi italiani, per la sua indubbia capacità di raccontare l’adolescenza nonché di far recitare bambini e adolescenti. Una favola, in fondo, con una Gelsomina alla scoperta del mondo delle Meraviglie che potrebbe sembrare quello falso della tv, ma, grazie ad una scena bellissima (la penultima), scopriamo essere quello del mito della caverna di Platone. I personaggi sono ombre raccontate e possono sparire al termine di una panoramica a 360°, ma gli ambienti restano perché reali. Meritatissimo Gran Prix della Giuria a Cannes.
6 – Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco
Chi scrive non è un ammiratore di Ciprì e Maresco, è sempre rimasto freddo di fronte a Cinico TV che, come tutti i freak show catodici (come quelli di Chiambretti e del Gianni Ippoliti prima maniera), sembrava una discutibile operazione “bullesca” nei confronti degli “scemi del villaggio” globale. Al cinema, però, il sodalizio ha sempre funzionato, specialmente con Come inguaiammo il cinema italiano ed Il ritorno di Cagliostro. Ma il sodalizio non c’è più. Ciprì prova, invano, a fare Germi riuscendo solo a fare brutte copie di Roberta Torre ibridata con il camp almodovariano, mentre Maresco…
Maresco va in depressione, ma da questa crisi tira fuori un’opera incredibile che, come il miglior Moretti degli ultimi anni, o il Fellini di 8 e ½, dal particolare arriva all’universale. La crisi dell’uomo Berlusconi che si ripercuote su chi, contro di lui e contro quello che ha rappresentato, ha impostato la propria vita/professione. La mafia che ci pervade tutti (come avranno fatto Ficarra e Picone a convincere i due neomelodici a far pace?), regista compreso. Regista che sparisce, come è giusto che sia, forse perché consapevole che un cinema (non necessariamente il suo, ma tutto il cinema) non sia più possibile, anzi sia sparito già. Cinema come morte che ha fatto il suo (sporco) lavoro.
7 – Blue Ruin di Jeremy Saulnier
Un revenge movie particolarmente efferato e duro. Un pugno nello stomaco, ma non perché sia un film “ignorante” anni ’80. Il protagonista non è Norris né Schwarzy. Sembrerebbe più Rick Moranis (per rimanere agli anni ’80) per indole. Violenza che matura in un contesto rurale simile a quelli raccontati in Mud o Joe. Ma noi abbiamo scelto questo titolo perché in Italia non è stato distribuito. Ordinaria amministrazione.
8 – Due giorni, una notte di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Sarà perché avevano di fronte una star, ma stavolta i Dardenne non si limitano a seguire la protagonista. A volte prendono di petto découpage e situazione. Il tema (la deresponsabilizzazione del capitale che ormai fa, anche del licenziamento, una questione tra lavoratori) è di quelli da dibattito nella sezione di partito. Peccato che di proiezioni con dibattito finale non se ne facciano più.
9 – Interstellar di Christopher Nolan
È l’esperienza bigger than life dell’anno. Un film su cui si è detto tutto ed il contrario di tutto. Un’opera sulla quale già mi sono espresso qui e su cui non mi dilungo oltre. Importante ed epocale.
10 – Guardiani della galassia di James Gunn
In tanti cercano di riportare gli anni ’80 al cinema, spesso limitandosi ad un semplice lavoro di modernariato. L’unico ad averne riportato sul grande schermo l’essenza, riuscendo, contemporaneamente, a conquistare nuovi spettatori, oltre ai quarantenni nostalgici, come il sottoscritto, è James Gunn. Che è un genio, in quanto fa il suo lavoro maledettamente bene, che si tratti di copioni per la Troma, di film indipendenti, di divertissement hard (PG-Porn), di remake di cult movie (L’alba dei morti viventi), di trasposizioni live action da cartoon (Scooby-Doo) o di blockbuster della Marvel.
Fuori lista – Juventus Napoli 7-8 (Finale di Supercoppa italiana)
È stato il miglior thriller dell’anno, con twist finali a ripetere ed un epilogo continuamente procrastinato. L’unico che, pur conoscendone la conclusione, continui a vedere con piacere. Non chiunque, of course.
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