Ex allievi di Pigrecoemme al lavoro

un fotogramma del filmVenerdì sera è stato presentato al Madre il mediometraggio “Manuale per i viaggiatori“, di Marinella Senatore: un’operazione di “arte pubblica”, secondo la definizione dell’autrice, che ha visto coinvolti più di trecento attori dilettanti e che ha offerto il proprio set ai visitatori come un laboratorio aperto. Morbidamente sospeso tra la videoarte, il cinema e, talvolta, il videoteatro, questo video (realizzato in digitale) intreccia tasselli biografici ricostruiti visivamente o raccontati da un coro ora in, ora fuori campo, per raccontare di un uomo e, apparentemente, di molti altri. Il mezzo digitale viene utliizzato in tutto il suo canone: split screen, ralenty (mi pare), suoni sovrapposti, montaggio elaborato con tendenza al balzo e alla verticalità di matrice eisensteiniana e ciò che colpisce è soprattutto la cura per la fotografia (Senatore è stata allieva di Giuseppe Rotunno).
Prodotto dal Museo Madre e dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, curato da Gigiotto Del Vecchio e dalla nostra vecchia conoscenza Stefania Palumbo, “Manuale per i viaggiatori” ha visto coinvolti, tra i “tecnici”, i due nostri ex allievi Rosanna Loffredo e Stefano Ferraro e sarà visibile al Madre fino al 3 dicembre.

Lezione di sceneggiatura alla Fnac

Corrado Morra tiene una lezione di sceneggiatura alla FnacIeri. Primo pomeriggio. Il caldo indelebile della città di questo autunno pieno di calura e polvere. Terzo appuntamento della Scuola di cinema Pigrecoemme alla Fnac di Napoli. E tocca a me: presentazione del corso di sceneggiatura. Due i temi: come funziona una storia, l’idea di partenza di una fabula e il contesto assiologico, (eh, lo so che è brutta questa parola qui, ma fa perfettamente il punto) da una parte e l’obbligo della mostrazione (eh, sì, lo so che questa è ancora più orrenda, ma – perdonatemi – il fatto è che Deleuze è così dannatamente hype!) dall’altra.
La saletta è piccola, ma decisamente carina e bene attrezzata: proiettore, lettore dvd (discorso a parte meriterebbe l’involontaria comica finale di un mio goffo tentativo di far partire Psycho), un satanico microfono che una volta impugnato mi trasforma immediatamente e terribilmente in Julio Iglesias (non si scappa: la mia generazione, con un microfono in mano, prende automaticamente ed inesorabilmente la posa languida – mano morbida appoggiata sul cuore, ecco – del pirata-signore ispanico), pubblico attento e curioso.
Prima fa caldo. Poi no. Tra le stalattiti e le slugline, m i accorgo che l’aria condizionata è perfetta per qualsiasi remake di Dersu Uzala.
Due metri più in là, mentre sono ancora sul palco, scorgo una mia vecchia amica che, fuori della saletta, sta visitando, lì alla Fnac, la bella mostra fotografica lì allestita. Non la saluto.
Il discorso va sulle due strategie di ogni sceneggiatore: la drammaturgia della messinscena e del dialogico. Una ragazza del pubblico fa le domande giuste sull’ambiguità “cinematografica” del dialogico tirando in ballo l’antica querelle tra vero e verosimile. Ma la giovane la sa lunga e azzecca subito la citazione giusta tirando in ballo il santo Graal di chiunque il cinema lo voglia capire veramente e pure fare sul serio: “Il cinema secondo Hitchcock“, famosa e mai sufficientemente celebrata intervista al maestro inglese ad opera di François Truffaut. Le do ragione su tutta la linea (e come dare torto a Truffaut su qualcosa?) e, più o meno, senza altri turning point mozzafiato, l’appuntamento volge al termine. Il pubblico mi sembra soddisfatto. Almeno io lo sono, in maniera direttamente proporzionale al mio livello di assideramento.
Ho ancora un po’ di tempo. Scendo al piano di sotto. Compro un disco di Arthur Sullivan. Il “Pineapple Poll”. Ricordo che, ad un certo punto, da qualche parte lì dentro ci dovrebbe essere un movimento perfetto per la sequenza finale del film che, son due anni ormai, sto scrivendo. Si chiama “Il nome dei fiori”. Ma questa chiaramente, come sempre, è un’altra storia.