Lezione di sceneggiatura alla Fnac

Corrado Morra tiene una lezione di sceneggiatura alla FnacIeri. Primo pomeriggio. Il caldo indelebile della città di questo autunno pieno di calura e polvere. Terzo appuntamento della Scuola di cinema Pigrecoemme alla Fnac di Napoli. E tocca a me: presentazione del corso di sceneggiatura. Due i temi: come funziona una storia, l’idea di partenza di una fabula e il contesto assiologico, (eh, lo so che è brutta questa parola qui, ma fa perfettamente il punto) da una parte e l’obbligo della mostrazione (eh, sì, lo so che questa è ancora più orrenda, ma – perdonatemi – il fatto è che Deleuze è così dannatamente hype!) dall’altra.
La saletta è piccola, ma decisamente carina e bene attrezzata: proiettore, lettore dvd (discorso a parte meriterebbe l’involontaria comica finale di un mio goffo tentativo di far partire Psycho), un satanico microfono che una volta impugnato mi trasforma immediatamente e terribilmente in Julio Iglesias (non si scappa: la mia generazione, con un microfono in mano, prende automaticamente ed inesorabilmente la posa languida – mano morbida appoggiata sul cuore, ecco – del pirata-signore ispanico), pubblico attento e curioso.
Prima fa caldo. Poi no. Tra le stalattiti e le slugline, m i accorgo che l’aria condizionata è perfetta per qualsiasi remake di Dersu Uzala.
Due metri più in là, mentre sono ancora sul palco, scorgo una mia vecchia amica che, fuori della saletta, sta visitando, lì alla Fnac, la bella mostra fotografica lì allestita. Non la saluto.
Il discorso va sulle due strategie di ogni sceneggiatore: la drammaturgia della messinscena e del dialogico. Una ragazza del pubblico fa le domande giuste sull’ambiguità “cinematografica” del dialogico tirando in ballo l’antica querelle tra vero e verosimile. Ma la giovane la sa lunga e azzecca subito la citazione giusta tirando in ballo il santo Graal di chiunque il cinema lo voglia capire veramente e pure fare sul serio: “Il cinema secondo Hitchcock“, famosa e mai sufficientemente celebrata intervista al maestro inglese ad opera di François Truffaut. Le do ragione su tutta la linea (e come dare torto a Truffaut su qualcosa?) e, più o meno, senza altri turning point mozzafiato, l’appuntamento volge al termine. Il pubblico mi sembra soddisfatto. Almeno io lo sono, in maniera direttamente proporzionale al mio livello di assideramento.
Ho ancora un po’ di tempo. Scendo al piano di sotto. Compro un disco di Arthur Sullivan. Il “Pineapple Poll”. Ricordo che, ad un certo punto, da qualche parte lì dentro ci dovrebbe essere un movimento perfetto per la sequenza finale del film che, son due anni ormai, sto scrivendo. Si chiama “Il nome dei fiori”. Ma questa chiaramente, come sempre, è un’altra storia.

11 commenti su “Lezione di sceneggiatura alla Fnac”

  1. Pur non essendo presente riesco a figurare perfettamente nella mia mente il momento tragico dell’inserimento di “psyco” nel lettore dvd da parte del buon Corrado…a parte gli scherzi, complimenti per il vostro lavoro…vedrò di esserci per il prossimo appuntamento (non oso immaginare a ciò che Rosario Gallone potrà creare nello “short” in programma con la clientela spesso snob della fnac…).

    Ziggy

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  2. Ciao a tutti, vedo che le cose vanno molto bene, mi fa un piacere immenso per voi. Io dal canto mio mi sono trasferito a Torino e sto studiando al DAMS (a proposito colgo l’occasione per ringraziarvi per i preziosi insegnamenti che ora più che mai sto ritrovando), cmq frasi nostalgiche a parte, mi sto mangiando le mani per non poter assistere alle vostre lezioni alla FNAC che a giudicare dai vostri articoli saranno quantomeno divertenti, sicuramente interessanti. Rosario, complimenti per la notevolissima citazione di Iglesias, mi ci è voluto un pò per capirla… Affettuosi saluti a tutti.

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  3. Grazie a tutti quelli che hanno raccolto con simpatia e calore la nostra iniziativa; grazie, in modo particolare, a Ziggy che, con o senza i ragni da Marte resta uno dei miei registi preferiti; e grazie ad Attilio per i suoi entusiasmi senza sosta, per il suo amore (la “follia” che tanto significa, direbbe Platone) per il cinema. E a lui, una raccomandazione: un saluto pieno di passione a Torino, cinta di Alpi e della bellezza distaccata del suo esprit.
    A tutti, ricordo che il prossimo corso di Sceneggiatura inizia il prossimo 30 ottobre ( http://www.pigrecoemme.com/corsi/corso-sceneggiatura.htm )
    E, a proposito, prima di salutarvi, vi confesso che nel corso, oltre ad analizzare gli script degli amati Lynch, Moretti, Hitchcock e Altman, mi piacerebbe parlare di un film recente: durante le lezioni, già faccio cenno alla, secondo me notevole, rilettura di Spielberg della “Guerra dei mondi”, ma, secondo voi, tra i film degli ultimi anni quali, guardando alla sceneggiatura, meriterebbe un approfondimento?

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  4. Ciao a tutti! Ho seguito i vostri primi due incontri alla Fnac ed anche l’intervento di Renato Carpentieri al Pan ma, per fortuna/purtroppo, da due settimane ho cominciato un nuovo lavoro che mi impegna tutto il giorno proprio il lunedì ed il martedì. Non è il lavoro della mia vita ma non me la sono sentita di rifiutare…! Quindi mi sono persa tutto ciò che è accaduto nelle ultime due settimane così come l’ultimo incontro di lunedì prossimo ed è un vero peccato perché questa vostra iniziativa mi piaceva molto.
    Spero ci saranno altre occasioni di incontrarci, io intanto cerco di realizzare il mio sogno nel cassetto, quello di diventare una fotografa di scena.
    Ciao e a presto.
    Elisabetta

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  5. Questi i film recenti che a me piacerebbe tu analizzassi nel corso:

    1 – Old Boy
    2- The Departed
    3 – L’amico di famiglia
    4 – Se mi lasci ti cancello
    5 – Zodiac
    6 – Io non sono qui
    7 – A history of violence
    8 – Million dollar baby
    9 – Le vite degli altri

    “Fuori concorso”

    in un corso di regia (uno dei tanti oramai…) il buon Valerio Jalongo mi fece notare tante similitudini tra “I Vitelloni” e “Trainspotting”…cosi lontani e cosi vicini…

    Magari qualche buono spunto potresti coglierlo…

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  6. Valerio Jalongo venne una volta al nostro studio, ma la cosa bella fu che lo fece in compagnia di Donatella Finocchiaro. C’erano anche Ivan Franeck e Riccardo Zinna: erano a Napoli a presentare “Sulla mia pelle”. Quando riconobbi Donatella Finocchiaro, solo dopo qualche minuto di conversazione, quasi mi commossi. E’ un’attrice strepitosa. Peccato che da allora non sia stata ben impiegata. Sorte che sembra condividere con Sandra Ceccarelli.

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  7. Grazie da Marte, dovunque tu sia, Ziggy. Della tua lista farei miei Se mi lasci ti cancello di Gondry (ma sicuramente di più, e ci sto pensando davvero, L’arte dei sogni), scritto però da Charlie Kaufman di cui, in vero, preferirei, a questo punto, analizzare il sempre suo Essere John Malkovich. Ma sarebbe interessante anche A history of violence, sebbene avrei anche un altro titolo da suggerire qualora l’intento fosse quello di analizzare, per esempio, la transcodifica da fumetto a film ed è, per le parti più precisamente in debito con le avventure di Stan Lee, Spider-Man 2.
    The Departed continua a sembrarmi meno interessante dell’originale mentre una seppur buona pellicola come Old Boy (che, a dirla tutta, ho recuperato tardi) è molto lontana dai miei interessi attuali. Interessante L’amico di famiglia, ma, in un corso di sceneggiatura, seppure fallace e meccanico in certi sviluppi, preferirei parlare di Le conseguenze dell’amore e, forse, con maggiore partecipazione, de L’uomo in più: il meno scolastico e il più intrigante dell’autore napoletano.
    Però, tra i film italiani degli ultimi anni, gli preferirei uno dei titoli di Capuano o Il resto di niente della De Lillo tratto, com’è noto, dal romanzo di Striano da Guseppe Rocca.
    Grave sarà, ma non ho visto Zodiac e nemmeno Le vite degli altri; mentre Io non sono qui, che voglio vedere, mi sfugge come nemmeno fosse Dylan “in person”. Million dollar baby, invece, sarebbe perfetto per descrivere lo sviluppo della struttura classica dello script in tre atti nel cinema contemporaneo.
    Aggiungo, non nella tua lista, il magnificamente scritto Munich di Spielberg; il sempre necessario Lynch di Mulholland Drive e, sopra tutti, quel Lost in Traslation che ci ha regalato uno dei più bei finali di amore tragico degli ultimi anni, un campo lunghissimo da piangerci più o meno due notti, e a me una delle ragioni per cui continuo ad amare il cinema. E non solo quello.
    Ma chiudo con l’ipotesi di un altro lavoro. L’analisi cioè di Rosso sangue, scritto e diretto, nel cuore degli anni Ottanta (e ne è un po’ la versione definitivamente colta e selvaggia di quel decennio incompreso) da Leos Carax (e non pensate a lui come l’autore di Les Amants du Pont-Neuf. E’ già un castigo averlo girato, quel coso lì, quindi, non ricordiamoglielo).
    Film a me caro per ragioni extrafilmiche e non certo recentissimo, ma che resta un capolavoro di scrittura sottile e profonda. Un racconto vibrante come solo le cose migliori di Métal hurlant. Una storia d’amore che, come ogni storia d’amore vera, è un grumo pieno di ironia e di dolore.

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  8. Ciao a tutti, vedo che la discussione si anima e la carne al fuoco aumenta ogni giorno di più.
    I film da voi citati sarebbero ottime occasioni per approfondimenti di ogni genere, su tutti c’è Munich che reputo forse il miglior film della passata stagione, grazie ad una commistione di generi quasi inedita ed una ricostruzione che non perde l’occasione di mandare un messaggio a chiare lettere ad entrambe le popolazioni, pur non trascurando il realismo. Propongo in modo insistente A History of Violence che in comune con Munich ha il fatto di essere l’opera ultima, quella della rinascita ed al contempo forse quella più matura del regista. Infine non può mancare nella mia selezione il solito Lynch del quale proporrei però più che Mullholland Drive (senza dubbio uno dei suoi migliori lavori), Strade perdute dove forse sono possibili spunti narrativi e chiavi di lettura ancora più numerosi. Tra gli italiani sono tra quelli che ha amato L’amico di famiglia perché lo considero sicuramente più “imperfetto” rispetto a Le conseguenze dell’amore, ma allo stesso tempo di respiro molto più ampio, un film in cui Sorrentino ha rischiato molto di più (vuoi per le tematiche, vuoi per la mancata presenza della sicurezza Servillo), ma dal quale ha tirato fuori un’opera molto più “grande”.

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