The Fabelmans di Steven Spielberg – La recensione

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Abbiamo solo perso la bobina del film di famiglia nel corso della vita“.
Lo dice Nancy Spielberg, sorella di Steven nel documentario HBO Spielberg di Susan Lacy. Quella bobina, dolorosa, ma anche catartica, il regista di E.T. e Schindler’s List, l’autore che maggiormente ha influenzato l’immaginario dai ’70 in poi, l’ha ricreata, a modo suo, in The Fabelmans, l’ultimo meraviglioso (o dovremmo dire fabel/favoloso) film da lui diretto.

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10 film hitchcockiani non diretti da Hitchcock

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Se cercaste hitchcockiano in un dizionario, ne ricavereste solo la stringata definizione “pertinente a Hitchcock“. In Il cinema secondo Hitchcock (Il Saggiatore, 2008), Truffaut dice a Sir Alfred: “Credo che il suo stile e le necessità del suspense la portino continuamente a giocare con il tempo, qualche volta contraendolo, ma più spesso dilatandolo”, mentre Noël Carroll individua nella dialettica morale/immorale del dilemma dei personaggi, l’origine della suspense hitchcockiana. Inutile dire che valgono entrambe le teorie (Richard Allen, in Hitchcock and Narrative Suspense – Theory and Practice, parla di dialettica tra suspense oggettiva, quella legata al tempo della narrazione manipolato dal demiurgo/regista, e soggettiva, quella legata alla psicologia del personaggio), ma basta questo per definire un film hitchcockiano? Certo che no. Anzi, a volte, si tira in ballo Hitchcock per marketing o per incasellare facilmente un film. La vulgata è quindi che hitchcockiano significhi suspence, mistero, delitti. Ci aggiungeremmo anche un certo sadismo (che, a quanto pare, il regista di Psycho dispensava a piene mani, anche fuori dal set, soprattutto alle sue interpreti), l’attenzione al meccanismo (spesso più che alla trama, pensiamo al MacGuffin) e la sfida tecnica. Il dibattito potrebbe continuare a lungo, ma facciamo parlare le nostre scelte. Dalle quali abbiamo escluso i remake. Sia perché sarebbe stato facile sia perché, fatto salvo il caso di Psycho di Gus Van Sant che è quasi un’opera d’arte concettuale, spesso i rifacimenti non sono per nulla hitchcockiani (si vedano l’orribile Delitto perfetto di Andrew Davis e l’artaudiano La finestra sul cortile diretto per la Tv da Jeff Bleckner ed interpretato da un Christopher Reeve post incidente, quasi un’exploitation paratestuale) Questa è la nostra playlist.

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Lezione di sceneggiatura alla Fnac

Corrado Morra tiene una lezione di sceneggiatura alla FnacIeri. Primo pomeriggio. Il caldo indelebile della città di questo autunno pieno di calura e polvere. Terzo appuntamento della Scuola di cinema Pigrecoemme alla Fnac di Napoli. E tocca a me: presentazione del corso di sceneggiatura. Due i temi: come funziona una storia, l’idea di partenza di una fabula e il contesto assiologico, (eh, lo so che è brutta questa parola qui, ma fa perfettamente il punto) da una parte e l’obbligo della mostrazione (eh, sì, lo so che questa è ancora più orrenda, ma – perdonatemi – il fatto è che Deleuze è così dannatamente hype!) dall’altra.
La saletta è piccola, ma decisamente carina e bene attrezzata: proiettore, lettore dvd (discorso a parte meriterebbe l’involontaria comica finale di un mio goffo tentativo di far partire Psycho), un satanico microfono che una volta impugnato mi trasforma immediatamente e terribilmente in Julio Iglesias (non si scappa: la mia generazione, con un microfono in mano, prende automaticamente ed inesorabilmente la posa languida – mano morbida appoggiata sul cuore, ecco – del pirata-signore ispanico), pubblico attento e curioso.
Prima fa caldo. Poi no. Tra le stalattiti e le slugline, m i accorgo che l’aria condizionata è perfetta per qualsiasi remake di Dersu Uzala.
Due metri più in là, mentre sono ancora sul palco, scorgo una mia vecchia amica che, fuori della saletta, sta visitando, lì alla Fnac, la bella mostra fotografica lì allestita. Non la saluto.
Il discorso va sulle due strategie di ogni sceneggiatore: la drammaturgia della messinscena e del dialogico. Una ragazza del pubblico fa le domande giuste sull’ambiguità “cinematografica” del dialogico tirando in ballo l’antica querelle tra vero e verosimile. Ma la giovane la sa lunga e azzecca subito la citazione giusta tirando in ballo il santo Graal di chiunque il cinema lo voglia capire veramente e pure fare sul serio: “Il cinema secondo Hitchcock“, famosa e mai sufficientemente celebrata intervista al maestro inglese ad opera di François Truffaut. Le do ragione su tutta la linea (e come dare torto a Truffaut su qualcosa?) e, più o meno, senza altri turning point mozzafiato, l’appuntamento volge al termine. Il pubblico mi sembra soddisfatto. Almeno io lo sono, in maniera direttamente proporzionale al mio livello di assideramento.
Ho ancora un po’ di tempo. Scendo al piano di sotto. Compro un disco di Arthur Sullivan. Il “Pineapple Poll”. Ricordo che, ad un certo punto, da qualche parte lì dentro ci dovrebbe essere un movimento perfetto per la sequenza finale del film che, son due anni ormai, sto scrivendo. Si chiama “Il nome dei fiori”. Ma questa chiaramente, come sempre, è un’altra storia.