Gli 8 motivi per cui odio l’ultimo Tarantino

tarantino

Alcune premesse:

  • Non volevo scrivere sull’ultimo Tarantino. Non mi è piaciuto, pare che il mondo intero la pensi diversamente e non volevo apparire bastian contrario pretestuosamente, per creare una di quelle polemiche atte ad attirare l’attenzione su di sé. Chiaramente l’odio di cui leggete nel titolo è un’iperbole. Ed un gioco di parole.
  • Chiedo scusa anticipatamente al Professor Valerio Caprara. La mia lista non vuole essere un plagio della sua rubrica per fanpage, Five; semplicemente sia Pigrecoemme che fanpage.it adottano questa formula. Ma i miei motivi, più o meno, corrispondono ai suoi.
  • Ho deciso di trasgredire ad una delle regole principali del giornalismo, ovvero l’uso della terza persona. Questo perché ho la spiacevole sensazione che, nell’era del giornalismo 2.0., ed in particolar modo in quella parte del giornalismo che analizza prodotti artistici (non li giudica o, perlomeno, non dovrebbe limitarsi a farlo), la terza persona sia diventata la scusa per l’assertività, per la sindrome del Marchese del Grillo (“io so’ io e voi non siete un cazzo“). Insomma, in giro ho letto esponenti della “nuova critica organizzata” asserire (lo ribadisco) che se non vi piace The Hateful Eight non capite un cazzo di cinema“. Ho reagito mentalmente con un “stai parlando con me?” ed a quel punto la questione dell’uso della prima persona era cosa fatta. Perché questa “nuova critica organizzata” del webbe ha la stessa arroganza delle sue star e l’affermazione di cui avete letto sopra è figlia della stessa bolla in cui nasce la battuta dei The Pills per una stroncatura su Rolling Stone, la stessa violenza della “guerra preventiva”, in questo caso al dissenso ed ai pareri difformi, della discutibilissima famiglia Bush. E, magari, è pur vero che io “non capisco un cazzo di cinema” (provate a rivolgere questa affermazione a Valerio Caprara, però), ma, di sicuro, cari “nuovi critici organizzati” voi capite poco della vita e di come si sta al mondo. Leggete questa lista con grande tranquillità, vi renderete conto che i motivi per i quali a voi piace ed a me no sono gli stessi e questo significa aver fatto un’analisi corretta del testo filmico, ma attribuire agli elementi dedotti un segno diverso. E se non siete d’accordo con me, non vi accuserò di non capire nulla di cinema. Perché io, sul cinema, non mi sento mica Dio. Tutt’al più sono seduto alla sua destra.

Motivo n. 1

Nel gennaio 2014 Tarantino stesso si dice depresso per il furto della sceneggiatura in rete da parte di Gowker Media, dichiara di non voler più trarne un film e di volerla pubblicare come romanzo. Il 19 aprile dello stesso anno organizza una lettura pubblica cogli attori (quasi tutti confermati, salvo Amber Tamblyn che viene sostituita da Jennifer Jason LeighJames Remar cui subentra Channing Tatum Demian Bichir che prende il posto di Denis Ménochet – il Perrier LaPadite di Bastardi senza gloria – perché il personaggio del francese viene sostituito da un messicano) e poi riscrive la sceneggiatura cambiandone il finale. Sarà per la riscrittura (o forse no e, in tal caso, tutta la faccenda è solo una trovata di marketing, a suo modo geniale, per creare attesa intorno ad una storia che, per qualità intrinseche, non la creerebbe), ma lo script di The Hateful Eight mi sembra il più debole mai scritto da Tarantino. Un’idea buona per un episodio di una serie tv antologica (come quello girato dal buon Quentin per Four RoomsL’uomo di Hollywood, remake di un episodio di Alfred Hitchcock presentaL’uomo del sud con Peter Lorre e Steve McQueen) dilatata fino all’abnorme timing di 167′ (più overture ed intermission nella versione in 70 mm per il roadshow).

19/4/2014: Lettura pubblica del copione
19/4/2014: Lettura pubblica del copione

Motivo n. 2

Leggo che sarebbe il film più politico di Tarantino (lo ha detto lui e giù a far diventare, la notizia, opinione). Gli si fa torto. Ogni film di Tarantino è politico e nessuno se ne è mai accorto, perso nel turbinìo di rimandi, citazioni, gioco postmoderno. Il fatto che qui tutti abbiano avuto tempo di accorgersene mi fa tornare alla questione dell’idea stiracchiata. Piuttosto, il tema del razzismo, dell’America che si regge sulla violenza e l’odio razziale, è trattato dal regista fin dal capolavoro Jackie Brown (non fingete di non averlo mai capito). Piuttosto, The Hateful Eight è l’Intolerance di Tarantino, ovvero il film col quale risponde (come fece David Wark Griffith con Intolerance – un film monstrum, quanto lo è The Hateful Eight in fondo – per ribattere a chi lo aveva attaccato per Nascita di una nazione) alle odiose accuse di razzismo e di strumentalizzazione della schiavitù mossegli, tra gli altri, dal permaloso Spike Lee per Django Unchained.

Il tweet con cui Spike Lee liquidava Django Unchained
Il tweet con cui Spike Lee liquidava Django Unchained

E lo fa, mettendo in scena, come Lee in Fa’ la cosa giusta , il razzismo multietnico degli USA, ma anche dichiarando, in modo sfacciato e sarcastico (è l’unico racconto del film, vero o meno che sia, che viene mostrato in flashback) che stavolta (a differenza del precedente dove basterebbe il monologo di Di Caprio a smentire il moralista Spike) trattasi di un pompino ai neri.

Motivo n. 3

Ci sono volte in cui l’indiscutibile passione di Tarantino per il cinema si manifesta più verso il paratesto che verso il testo. Ed in questi casi, il (suo) testo è la parte più debole. C’è un precedente: l’idea forte del dittico Grindhouse, progettato e realizzato con Robert Rodriguez, era quella, mai realizzata, di (ri)proporre il double bill (o double feature) tipico dei drive in. In quell’occasione, il testo, Death Proof, era molto debole (ma dopo è arrivato il suo terzo capolavoro: Bastardi senza gloria). I Weinstein gli erano debitori e questa volta lo hanno accontentato: Tarantino ha organizzato il roadshow per le proiezioni in 70mm con tanto di libretto, overtureintermission. Non ho avuto modo di assistervi ed immagino che sia davvero meraviglioso per chi ama visceralmente il cinema come spettacolo. Il testo filmico, tuttavia, resta debole. E, per inciso, l’overture c’era anche in Dancer in the Dark, ma poi lì il testo manteneva le promesse di una simile meraviglia (che, a differenza del video che trovate sotto, avveniva con lo schermo completamente nero).

Motivo n. 4

La ridondanza (1): quella interna . Credo conveniate che, per quanto bulimici possano essere i precedenti testi filmici di Tarantino, mai, da spettatori, siamo stati attraversati dalla fastidiosa sensazione di ridondanza gratuita, atta, più che a ribadire, ad accumulare minutaggio in assenza di idee. La storia della lettera di Abramo Lincoln ne è il sintomo più evidente, ma c’è anche la questione della porta che va chiusa con un’asse inchiodata due volte. Angelo Angera, su zibaldoni, lo definisce “teletubbismo di The Hateful Eight“.

John Ruth e Daisy Domergue giungono alla merceria.
John Ruth e Daisy Domergue giungono alla merceria.

Motivo n. 5

La ridondanza (2): quella esterna. Sembra quasi che, in debito d’ossigeno, Tarantino riproponga alcune sue idee (non parlerei di autocitazione) per far sì che i fan ne riconoscano la firma. La suddivisione in capitoli (come in Kill Bill), la manipolazione del tempo (un suo leit motiv, ma nel modo in cui agisce qui l’abbiamo appena vista in Gone Girl – L’amore bugiardo di David Fincher), l’eccesso splatter. La differenza è che in The Hateful Eight questi elementi paiono giustapposti, non amalgamati.

Daisy Domergue ha un segreto
Daisy Domergue ha un segreto

Motivo n. 6

Il discorso. Si sa che in ogni Tarantino che si rispetti c’è un discorso che è molto più di quanto appaia nella sua forma denotativa: il significato di Like a Virgin in Le iene o quello su Superman in Kill Bill vol. 2. I discorsi di The Hateful Eight non sono altro che quello che sono: quello sulla giustizia del boia Tim Roth, scritto benissimo, ci mancherebbe, ma è uno spiegone didascalico; quello sullo stufato, piuttosto inconcludente; quello, ma non voglio ripetermi come Tarantino, sulla lettera di Lincoln.

Samuel L. Jackson
Samuel L. Jackson

Motivo n. 7

Non è che basti dire quali siano le fonti di ispirazione di Tarantino perché, tautologicamente, il risultato sia buono quanto la somma delle prime. Anzi, finora, la forza di Tarantino è stata quella di trascendere le sue ispirazioni donando ad esse, palingeneticamente, nuova mitopoiesi (la tuta da ginnastica gialla ormai è quella di Uma Thurman, non più quella di Bruce Lee). Qui abbiamo Sergio LeoneSergio Corbucci (la neve di Il grande silenzio), La cosa di Carpenter (l’unico film che Tarantino ha fatto vedere al cast), il giallo alla Agatha Christie (ma senza gli scioglimenti sorprendenti di quest’ultima) ed il kammerspiel. Tutto vero, ma non gli riesce quanto gli è riuscito in passato e come kammerspiel non vale cinque minuti di un’analoga opera di Roman Polanski (scegliete pure tra Il coltello nell’acquaLa morte e la fanciullaCarnageVenere in pelliccia).

Il grande silenzio di Sergio Corbucci
Il grande silenzio di Sergio Corbucci

Motivo n. 8

Per qualcuno il pregio di The Hateful Eight sarebbe proprio quello di disattendere le aspettative. Un modo di apprezzarlo pur condividendo le osservazioni precedenti. Magari sarà, ma io ricordo che lo stesso tipo di approccio accompagnò l’analisi delle prime pellicole deludenti di Dario Argento salvo poi far deporre le armi, anche ai più resistenti dei suoi fan, di fronte a cose come Il cartaioGiallo. Non credo sia il caso di Tarantino. Non so se vi è mai capitato di sbagliare digitando la parentesi aperta su una tastiera, non premendo in simultanea il tasto del maiusc. A me sì e quello che mi ritrovo è un 8. Ecco, spero che questo hateful eight sia una parentesi, deludente, ma una parentesi. Da chiudere col 9 (perché se sbagliate a digitare vi ritrovate il segno della parentesi chiusa9.

 

 

 

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