10 remake d’autore

 

remake d'autore

Siamo sinceri: quante volte avete tremato di fronte all’annuncio del remake di un film da voi amato? Pur senza arrivare agli eccessi di Asia Argento (che non le ha certo mandate a dire a Luca Guadagnino, annunciato regista del rifacimento di Suspiria), in molti casi tremiamo all’idea che venga toccato qualcosa per noi sacro. Ma quando a dirigere sono degli autori conclamati? Che, per di più, noi apprezziamo? Sono davvero una garanzia? Dei 10 remake d’autore che vi proponiamo, 8 possono essere considerati a tutti gli effetti dei capolavori, indipendentemente dal titolo rifatto, due sono dei passi falsi nella carriera dei rispettivi registi. Buona lettura.

1 – Per un pugno di dollari di Sergio Leone

Ormai lo sanno tutti, ma all’epoca fu una specie di furto. Leone si rifece a La sfida del samurai di Akira Kurosawa (ed entrambi, in qualche modo, all’Arlecchino servo di due padroni di Carlo Goldoni) per quello che è a tutti gli effetti il titolo fondativo di un genere, lo spaghetti western nonché il film che ha lanciato Clint Eastwood.

https://www.youtube.com/watch?v=XDUROGk58lk

2 – I soliti ignoti made in Usa di Louis Malle

I motivi per cui Louis Malle abbia accettato di rifare nel 1984 uno dei capolavori di Mario Monicelli, film di culto anche in America, sono ignoti quanto i soliti del titolo. Sta di fatto che è forse la sua peggior regia nonostante un cast comprendente Donald SutherlandJack WardenSean PennWallace Shawn. Appena di meglio (ma appena appena) hanno fatto i fratelli Joe & Anthony Russo (che, però, non esplicitano l’ispirazione nei titoli) con Welcome to Collinwood.

https://www.youtube.com/watch?v=6wSyQvJbDtQ

3 – La mosca di David Cronenberg

L’esperimento del dottor K era un horror di culto, ma che rientrava nei ranghi della produzione di serie B. David Cronenberg ne fece un’opera in cui riversare il suo tema prediletto ovvero la mutazione del corpo. Secondo il regista, Seth Brundle, lo scienziato protagonista, «è molto più un Dr. Jekyll – Mr. Hyde che non un Dracula. È entrambi in un solo uomo».

4 – Cape Fear di Martin Scorsese

Il primo Il promontorio della paura è un solido thriller diretto da Jack Lee Thompson con un Robert Mitchum perfetto nel ruolo dello psicopatico, con uno strano sadismo per l’epoca in cui fu girato, ma il remake di Scorsese abbandona il manicheismo del prototipo e fa sì che tutti i personaggi abbiano lati oscuri (addirittura rimescola le carte assegnando al cattivo dell’originale, Mitchum appunto, un cameo nei panni del poliziotto e a Peck uno nel ruolo di avvocato dello psicopatico interpretato da De Niro), anzi Max Cady è quasi un angelo sceso sulla terra per portare alla luce le ombre di tutti, anche dell’adolescente Danielle, una sorprendente Juliette Lewis.

5 – Psycho di Gus Van Sant

Alla notizia del remake, chi scrive rabbrividì e si apprestò, successivamente, alla visione con aspettative zero. Ed invece… Van Sant ha realizzato, probabilmente, l’unico remake possibile di un capolavoro, operando in maniera warholiana su un’opera d’arte preesistente, ovvero rifacendo, una per una, le stesse inquadrature, ma a colori. Ovviamente, non è solo questo, Van Sant coglie anche l’occasione per una sorta di recupero filologico di quanto Hitchcock avrebbe voluto montare e cui rinunciò in una sorta di battaglia di nervi con la censura (la plongée in bagno sul cadavere di Marion Crane nudo fu girato con una controfigura, ma Hitchcock accettò di tagliarlo purché gli lasciassero l’inquadratura del gabinetto) o per sottolineare certe letture (il movimento di macchina che passa dall’inquadratura frontale di Norman a quella dall’alto verso il basso mentre Marion dice “se qualcuno mi avesse parlato come ho sentito parlare a lei…”).

6 – The Truth About Charlieb di Jonathan Demme

Da una perfetta commedia rosa diretta da Stanley DonenJonathan Demme trae un suo personale hommage alla Nouvelle Vague, nel linguaggio e nei camei (commovente quello di Agnès Varda che vende gli ombrelli ovvero Les parapluies de Cherbourgh dell’amato marito Jacques Demy) che non tutti hanno gradito. Demme, poi, ritornerà al remake d’autore con The Manchuriane Candidate, restando maggiormente nei ranghi.

7 – Il salario della paura di William Friedkin

Vite vendute è di per sé un capolavoro, ma William Friedkin riesce a tenere banco, sebbene si sia trattato di un clamoroso insuccesso, reduce com’era da due trionfi quali Il braccio violento della leggeL’esorcista. Curiosamente, Georges Arnaud, autore del libro Le salaire del la peur, cui Friedkin dovette chiedere i diritti, si disse lieto di un nuovo adattamento perché insoddisfatto di quello di Henri-George Clouzot. A quanto pare, un terzo remake è in fase di progettazione con Ben Wheatley alla regia.

https://www.youtube.com/watch?v=KWY77rqoBoI

8 – Solaris di Steven Soderbergh

Lesa maestà si poteva presagire e lesa maestà fu. Troppo importante, seminale il capolavoro di Tarkovskij perché un furbetto con più ingegno che talento come Soderbergh potesse trarne qualcosa di decente. Il risultato fa rivalutare finanche roba insulsa come Sfera di LevinsonPunto di non ritorno di Paul W.S. Anderson. Gli riesce meglio rifare in maniera professionale film mediocri come Colpo grosso di Lewis Milestone.

https://www.youtube.com/watch?v=R4vSPEDxGic

9 – Scarface di Brian De Palma

L’originale di Howard Hawks è uno dei più celebri gangster movie della Hollywood classica, uno di quelli in cui Hawks dimostrava di essere un regista vero e non al servizio degli attori (si pensi all’incredibile piano sequenza iniziale). De Palma ne trae un esplosivo, parossistico capolavoro postmoderno, molto prima dell’approdo di Tarantino sul grande schermo. Lo si giudichi come film e non come fonte di ispirazione architettonica per la camorra, il cinema non può avere questa responsabilità.

https://www.youtube.com/watch?v=47ntcosnWsQ

10 – Victor Victoria di Blake Edwards

Forse l’ultimo capolavoro di Blake Edwards, in cui confluiscono le sue ossessioni sull’identità e l’apparenza, ma anche il gusto per lo slapstick e quella riottosità costante a starsene buono nei binari dei generi di cui, anzi, era un “terrorista” come lo definisce Matteo Poletti nel suo Il tocco della pantera. E tutto questo a partire da un filmetto tedesco del 1933.

 

 

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