Il poliziotto è marcio

polziotto è marcio

Servi e proteggi. Ma chi? A volte, il motto della polizia assume, semanticamente, il senso di un imperativo di autoconservazione. Servire sé stessi, approfittando del potere che la legge dà e dei contatti con malavitosi dal guadagno facile. C’è poi la questione, delicata, degli infiltrati che, spesso, subiscono il fascino delle persone che devono, per dovere, tradire. Il cinema ha chiaramente raccontato frequentemente il lato oscuro dei servitori della legge perché, è inutile dirlo, narrativamente, il dilemma tra bene e male in un solo individuo, è l’uovo di Colombo. Nella playlist che segue, come da tradizione, troverete indicati dieci film, quelli che riteniamo più rappresentativi, ma nell’introduzione vogliamo perlomeno citare due lavori di natura diversa: il televisivo The Shield, serie creata da Shawn Ryan, e che, forse, per prima ha dipinto un distretto come un focolaio di psicopatici (non solo il protagonista, Vic Mackey, un vero e proprio criminale in divisa fin dall’inizio, ma anche il mite ed onesto Holland che, in chiusura di un episodio, cede al suo lato oscuro uccidendo un indifeso gatto, sulla soglia della sua casa) ed un documentario, tutto italiano, È stato morto un ragazzo (visibile per intero nel link sottostante) di Filippo Vendemmiati che ricostruisce la brutta vicenda della morte di Federico Aldovrandi, un fatto di cronaca in cui, al di là di ogni finzione, la polizia (anche negli sviluppi processuali) non esce bene.

1 – Codice 999 di John Hillcoat

È l’ultimo arrivato, il film di John Hillcoat, e dipinge un gruppo di tutori della legge che tutelano principalmente sé stessi, ma qualcosa, nel plot, non funziona. L’episodio chiave, che dà il titolo alla pellicola, è poco più di un macguffin troppo aleatorio per essere credibile.

2 – Il poliziotto è marcio di Fernando Di Leo

Il poliziottesco italiano, spesso, dipingeva un mondo in cui la collusione delle alte sfere con la criminalità coinvolgeva anche la polizia, ma i vari commissari Betti, poliziotti Mark e compagnia sparante, avevano un senso della giustizia privo di ombre. Fernando Di Leo devia, come suo solito, è realizza un ritratto di un poliziotto che alle 400mila lire al mese aggiunge i 50 milioni all’anno che gli elargisce un’organizzazione criminale per fiancheggiarlo senza dare nell’occhio.

3 – Brooklyn’s Finest di Antoine Fuqua

Antoine Fuqua viene celebrato, soprattutto, per Training Day, veicolo per l’Oscar a Denzel Washington, ma, forse, è Brooklyn’s Finest la sua miglior regia. Corale, nichilista (fin dall’inizio in cui viene pronunciata la battuta emblematica: “non si tratta di decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma cosa è più giusto e cosa più sbagliato“) , senza speranza e con un cast che comprende Richard Gere al suo secondo ruolo da poliziotto non irreprensibile, dopo Affari sporchi di Mike Figgis. Nonostante il cast, il film non ha avuto distribuzione in Italia, ma è stato trasmesso direttamente in tv (su Rai 4).

4 – Serpico di Sidney Lumet

Frank Serpico è realmente esistito ed ha fatto quel che racconta il film. A differenza di Bob Leuci (anche questo raccontato da Sidney Lumet in Il principe della città) che denunciò i suoi colleghi, ma solo per sfuggire alla pena in quanto egli stesso corrotto (ed oggi, come denuncia lo stesso Serpico, prende una pensione ed insegna all’Accademia di polizia perché è un sistema che si preserva da solo), Serpico non è mai stato indagato per corruzione o bustarelle, ma è sempre stato visto come un traditore (funziona così). Fuori dalla polizia, grazie anche ad Al Pacino (e a David Birney che lo interpretò in una serie televisiva), è un eroe.

5 – I ragazzi del coro di Robert Aldrich

Stavolta, la sporca dozzina (approssimativamente) raccontata da Robert Aldrich, presta servizio a Los Angeles e, più che alla repressione del crimine, è intenta a nascondere le proprie, di repressioni (sessuali, personali, psicologiche). Nonostante le riunioni nel parco a fine servizio per allentare la tensione, questa salirà e le conseguenze saranno nefaste. Solo il coraggio di un veterano prossimo alla pensione impedirà l’insabbiamento.

6 – Bronx 41° Distretto di Daniel Petrie

L’agente Murphy ha più problemi a combattere la amoralità e la corruzione dei suoi colleghi che il crimine vero e proprio. Come nel precedente di Aldrich Lumet , un barlume di speranza c’è in un contesto marcio e siamo, pertanto, lontani dal nichilismo disperato degli anni a venire, ma la rappresentazione realistica, con luci e ombre, del lavoro del poliziotto era allora (il 1981 è anche l’anno di esordio del telefilm Hill Street – Giorno e notte) agli inizi.

7 – Filth di John S.Baird

Magari non dovreste vederlo per la regia (che cerca, inutilmente, di barcamenarsi tra Guy Ritchie e il Danny Boyle fortunato adattatore del primo Welsh cinematografico ovvero Trainspotting), ma per l’incredibile performance di James McAvoy sì. Perché la scelta di puntare su un “bello” come il protagonista di EspiazioneL’ultimo re di Scozia per vestire i panni del detective forse più sgradevole che pagina scritta ricordi è una trovata degna di nota. E McAvoy è bravissimo.

8 – Violent Cop di Takeshi Kitano

Takeshi Kitano, componente del duo comico Two Beats ed ideatore del Giochi senza frontiere demenziale Takeshi’s Castle, debuttò alla regia sorprendendo tutti. In realtà, il film avrebbe dovuto essere una commedia diretta da Kinji Fukasaku e per la quale Beat Takeshi era stato ingaggiato solo come interprete. Passata a lui la regia, ne modificò anche la sceneggiatura facendolo diventare il capolavoro (violento e senza speranza) che conosciamo.

9 – Il cattivo tenente di Abel Ferrara

Nonostante il ruolo preponderante ricoperto dalla religione nella risalita dagli inferi della droga e della corruzione del protagonista (senza nome), il film non fu scritto da Ferrara col sodale di allora (e cattolicissimo) Nicholas St. John, ma con l’attrice Zoe Lund (protagonista di L’angelo della vendetta in cui uccideva i suoi stupratori vestita da suora). Il remake sequel diretto, inopinatamente, da Werner Herzog, è da dimenticare.

https://www.youtube.com/watch?v=E6DvDDd03iE

10 – 36 Quai des Orfèvres di Olivier Marchal

Olivier Marchal studiava teatro mentre militava nella Brigade Criminelle di Versailles e poi nella sezione antiterrorismo. Gli esordi nello spettacolo furono, quindi, da attore e nelle vesti, spesso, di poliziotto. Dopo l’esordio da regista (con Gangsters) realizza la sua opera migliore che ad un certo gusto per il racconto classico (polar, ma anche Il conte di Montecristo) abbina l’ovvia conoscenza del milieu raccontato e che non è fatto di integerrimi difensori della legge.

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