C’è qualcosa di più intimamente felliniano nell’ultimo film di Paolo Sorrentino, che va ben al di là della superficie cui ci ha abituato. La citazione forse meno esplicita è quella finale, quando Fabietto lascia Napoli per andare a Roma in treno come Moraldo (Franco Interlenghi) faceva in I vitelloni. E mentre lì il protagonista vedeva i suoi amici dal finestrino nelle loro stanze, con una invenzione linguistica bellissima, qui Fabietto li passa in rassegna alla stessa altezza (Marittiello) o dal basso verso l’alto (la baronessa, zia Patrizia che lo guardano da una finestra). Entrambi, però, guardano e la partenza verso Roma, verso il cinema, nasce proprio come esigenza di sublimazione di quello sguardo perenne.