10 film da scoprire su Netflix

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In principio fu House of Cards e poi Daredevil. Dall’America all’Italia la strategia promozionale del colosso dell’entertainment on demand ha sempre sfruttato l’onda lunga della neoserialità immediatamente e completamente disponibile. Certo, al lancio italiano si contava anche su Beasts of No Nation, primo film prodotto da Netflix ad essere selezionato per un concorso internazionale, Venezia 2015, forte anche della regia di Cary Fukunaga reduce dal successo della prima stagione di True Detective, ma sarebbe da stupidi negare che il core business dell’azienda creata da Reed Hastings sia costituito dalle serie tv. Netflix, però, ha anche un catalogo di film, ma che tipo di film si trovano?Un po’ come scavare nei cestoni delle occasioni nel mercatino. Manco i “bancarellari” sanno cosa vendono, ma tra un Van Damme ed uno Steven Seagal, scansando l’ennesima edizione di un film di Totò, puoi trovare delle chicche non da poco. Questa playlist vuole essere una guida tra gli scaffali, vuole accompagnare la vostra mano a scegliere nel mucchio. Buona lettura e buona visione.

1 – Slow West di John Maclean

Magari è un caso, ma i migliori film western del Terzo Millennio vedono coinvolti l’Oceania e dei musicisti: The Proposition di John Hillcoat, scritto da Nick CaveL’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, prodotto in America, ma diretto dal neozelandese Andrew Dominik e questo Slow West, coproduzione britannico-neozelandese diretta da un musicista (Maclean ha militato nei gruppi The Beta Band e The Aliens). Un western dal tono crepuscolare che sta tra Arthur PennSam Peckinpah, una “Storia” che visitiamo con gli occhi di un giovane scozzese che insegue un ideale di donna e di terra (o di frontiera), finendo con l’essere, forse, deluso da entrambi.

2 – Tacchi alti di Jin Jang

Una trama che se fosse di un film di François Ozon o di Xavier Dolan probabilmente uno spazio per un uscita in sala lo avrebbe trovato. Tematiche queer, melodramma orientale, umorismo di grana grossa e coreografie di lotta spettacolari (quella sotto la pioggia con gli ombrelli è un capolavoro). Stranamente, questo film non è stato neanche proiettato al Far East di Udine mentre il precedente lavoro di Jin JangRomantic Heaven, lo fu.

3 – Mi Gran Noche di Alex De La Iglesia

Alex De La Iglesia è autore altalenante (sicuramente più in passato che nelle sue ultime regie anche se la notizia che stia lavorando al remake spagnolo di Perfetti sconosciuti lascia perplessi anche i fan più accaniti) quasi come la distribuzione italiana dei suoi film. Che, però, ha spesso trascurato proprio le sue fatiche migliori. Così dopo aver ignorato Muertos de risa (molto affine a questo) e successivamente  a Le streghe son tornate, che un po’ di vita in sala ha avuto nel nostro paese, ecco dimenticarsi quello che, se non è il suo capolavoro, poco ci manca. Vero è che lo stile perennemente sopra le righe di De La Iglesia qui trova il terreno più adatto: la registrazione di uno show di Capodanno (pensate ad un qualsiasi Anno che verrà o Tale e Quale Show o I migliori anni o Sanremo insomma ad un qualsiasi Freak Show condotto da Carlo Conti) con la star vintage Alphonso, interpretato dal vero cantante sixties Raphael (assurto alla gloria per la canzone che dà il titolo al film, Mi Gran Noche, scritta da Salvatore Adamo, quello noto in Italia per La notte) e l’idolo delle donne Adanne, una specie di Sandy Marton (palese è il riferimento quando appare con l’occhio bendato), ma il fatto è che Il regista di La Comunidad, mai come stavolta, riesce a tenere le fila di un racconto come avrebbe fatto forse solo Blake Edwards, stando perfettamente in equilibrio tra sophisticated comedy e slapstick (e quel finale in un bagno collettivo di schiuma che invade tutto lo studio, è un evidente omaggio a Hollywood Party), senza tuttavia dimenticare il sottotesto politico (fuori gli studi di registrazione è in atto un’aspra contestazione dei lavoratori licenziati dalla Tv) che ne fa quasi una versione screwball di Non si uccidono così anche i cavalli?

4 – Wet Hot American Summer di David Wain

In Italia, di questo film si è parlato solo quando ne è stato annunciato il prequel seriale prodotto da Netflix, poco prima del suo lancio italiano. Non solo è uno degli spoof più divertenti prodotti nei primi anni 2000 (mentre, cioè, il genere veniva affossato dalle rozzissime parodie della coppia Friedberg & Seltzer), ma annovera anche, nel cast, alcune delle più importanti star del futuro: Amy Poehler (Parks & Recreation), Paul Rudd (Ant Man), Bradley Cooper (Una notte da leoniIl lato positivoAmerican Sniper), Elizabeth Banks (The Hunger Games). Tra le tante impagabili gag, segnaliamo quella della velocissima discesa nel tunnel della droga nel corso di una gita in città. Colpo di genio della serie tv derivata è quella di essere, narrativamente, un prequel, ma interpretata dagli stessi attori invecchiati e sempre nelle vesti di giovani e turbolenti adolescenti.

5 – Sin Nombre di Cary Fukunaga

Prima di True Detective nessuno sapeva chi fosse Cary Fukunaga. Chi scrive ne aveva visto il riuscito adattamento di Jane Eyre che usciva dalle secche di un’ennesima trasposizione per imporsi, invece, come rilettura non si sa se più fedele, ma comunque più originale rispetto alle ultime, del celebre romanzo di Charlotte Bronte. Poi Netflix lo ha scelto come regista della sua prima produzione da Festival e in quel Beasts of No Nation Fukunaga ha rivelato una grande capacità di dirigere anche in territori (geografici e narrativi) impervi e anche senza divi (fatta eccezione per Idris Elba). Rivelazione che si ridimensiona nel momento in cui si assiste alla sua opera prima, Sin Nombre, che queste caratteristiche le presenta già tutte: protagonisti sconosciuti al grande pubblico, storia cruda e crudele, poco glamour (il viaggio disperato di quanti cercano di attraversare il confine messicano nella speranza di un futuro americano), ma polso registico fermissimo e grande personalità dietro la m.d.p.

6 – Emelie di Michael Thelin

Sebbene, a un certo punto (più o meno dopo lo spiegone alternato alla favola, storpiata, di Mamma Orsa), il film si trasformi in un incrocio tra Mamma, ho perso l’aereoLa mano sulla culla, per tre quarti d’ora l’opera prima (e unica, per il momento) di Michael Thelin tiene e tiene alla grande. Comincia come se dietro la m.d.p. ci fosse il David Robert Mitchell di It Follows (il rapimento di Anna in campo lungo con lente panoramiche) e, per un bel pezzo, riesce ad essere disturbante come poche pellicole. Specialmente se state pensando di regalarvi una serata col vostro partner e lasciare, per questo, i vostri figli alle cure di una babysitter.

https://www.youtube.com/watch?v=8jCRQiocdVc

7 – Lui è tornato di David Wnendt

Parafrasando quanto detto da Giorgio Gaber a proposito di Berlusconi: “io non temo Hitler in sé, ma Hitler in me“. Lui è tornato, tratto dal best-seller di Timur Vermes e gran successo in patria (trecentomila spettatori in quattro giorni), è opera cinematografica inquietante, prima che divertente, perché a latere della fiction è innestato un lato mocku, alla Borat, in cui, sia pur consapevoli di essere accanto ad un sosia (e di essere ripresi, ma l’impressione è che pensino di essere attanti di una provocazione stile Iene) alcuni cittadini esprimono opinioni che fanno rabbrividire. In tal senso, la pellicola di David Wnendt è un ottimo esempio anche di adattamento perché riesce a trasporre il libro nell’unica forma possibile in cui il medium audiovisivo poteva veicolare, lasciandolo intatto, il suo messaggio/tesi riflettendo  sulle conseguenze preoccupanti del corto circuito ignoranza storica/iconografia (per il Che come per Hitler) e sulla preoccupante diffusione di idee (magari le chiamano antieuropeiste oggi) decisamente analoghe a quelle che portarono al Nazionalsocialismo. Laddove nel romanzo è, fisiologicamente, tutta fiction, il film ha la forza di dimostrare che la tesi di Vermes è vera.

8 – Talvar di Meghna Gulzar

Qualche mese fa sono stati caricati su Netflix una manciata di film indiani, un po’ Bollywood (c’è anche un gangster movie “fantastico” in cui il protagonista si reincarna in una mosca, Makkhi) ed un po’ no. Talvar, ad esempio, sembra ispirarsi ai procedurali televisivi americani (CSI) per raccontare un controverso fatto di cronaca accaduto nel 2008 a Noida. Protagonista è la star Irrfan Khan (visto anche in blockbuster hollywoodiani come Vita di Pi, Jurassic World) nei panni di un agente che cerca di mettere ordine in un’indagine pasticciata dalla polizia locale (un po’ come è accaduto per il delitto Kercher in Italia: scena del delitto compromessa e raccolta delle prove superficiale). Il film porta avanti una tesi, ha una resa spettacolare ineccepibile (anche se un po’ derivativa), ma non si spinge oltre e non accenna all’acceso dibattito, che è conseguito al delitto, tra comunità musulmana, indù e laici.

9 – Belgica di Felix van Groeningen

Dovremmo aprire un bar! DOVREMMO APRIRE UN BAR!”. Era l’episodio 13 della settima stagione di How I Met Your MotherBarney Ted inauguravano il Puzzles nell’appartamento di Ted. In fondo JoFrank fanno così: si ritrovano, il primo ha un piccolo caffè ed insieme col fratello ed un gruppo di amici decidono di puntare più in alto. In breve il Belgica (questo il nome del locale oltre che del film) diventa un punto di riferimento per la movida belga. Dopo Alabama Monroe, ancora una volta Felix van Groenigen mette insieme musica e drammi familiari e, se nel primo, candidato anche all’Oscar, il connubio gli riusciva bene, qui è un po’ più scontato, ma la colonna sonora è ineccepibile. Netflix, comunque, colma una lacuna della distribuzione che, nonostante abbia mandato in sala in Italia il precedente, ha completamente dimenticato questo.

10 – Tre tocchi di Marco Risi

Presentato al Festival del Cinema di Roma nel 2014, l’ultima regia di Marco Risi è stata massacrata dall’intera comunità critica. L’impressione è che, al netto delle imperfezioni che, inutile negarlo, ci sono, a Risi non si perdonino mai i periodici allontanamenti dal cinema di impegno civile di cui è stato l’afiere negli anni ’90. Tre mogliL’ultimo capodannoCha Cha Cha sono opere che hanno in comune il rifiuto da parte del pubblico e, in parte, anche da parte della critica. Eppure l’ispirazione di Marco Risi è sempre sincera e, soprattutto, è sempre cinematografica. Anche in questo lavoro zoppicante in cui gli attori, forse, sono troppo sopra le righe e qualche passaggio è un po’ convenzionale (ma l’episodio napoletano con Leandro Amato che recita Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello – ma in quanti film italiani si parla di Ruccello? – non è per nulla scontato) potete trovare momenti di cinema (il montaggio alternato finale ad esempio) che difficilmente riscontrerete nella commedia paratelevisiva che ormai invade le nostre sale, ma anche in certa paccottiglia arty di registi pataccari molto apprezzati.

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