10 film Blumhouse per Halloween, ma non i soliti

Il padre di Jason BlumIrving, era un gallerista che una volta scrisse un film per un amico il quale gli propose o pochi soldi o percentuale sugli incassi. Blum scelse i soldi. Quell’amico era Russ Meyer, il film L’immorale Mr. Teas e incassò oltre un milione di dollari.

Ellissi.

Jason Blum lavora per la Miramax e al Sundance vede The Blair Witch Project. Non gli piace e investe su Happy, Texas. Il primo incasserà più di 140 milioni di dollari, il secondo non arriverà a due. Un trauma che il buon Jason si apprestava a rigirare a suo favore una volta aperta la sua casa di produzione: la Blumhouse. Il resto è storia. Paranormal ActivityInsidiousThe PurgeOuijaSinister, la scoperta dei talenti del new horror Mike Flanagan (Oculus) e James De Monaco (ma anche, fuori dal genere, di Damien Chazelle di cui produce Whiplash), la rigenerazione di registi in declino (M. Night Shyamalan), la consacrazione con Get Out. Tutte pellicole che già avrete visto. Questa playlist vi propone film forse meno noti (e meno di successo), ma che denotano la forte impronta di quello che, a tutti gli effetti, può essere definito il Roger Corman del Terzo Millennio. Buona lettura.

1 – The Bay (2012) di Barry Levinson

Diciamoci la verità: quando nel 2012 uscì The Bay, il mockumentary, sia nella sua variante found footage che in quella POV, aveva davvero stufato. Dopo Blair Witch e Paranormal Activity quante volte si può cascare nella trappola “storia vera” (l’ultima volta al cinefago scrivente è capitato con Il quarto tipo)? E, dato che l’illusione che si tratti di immagini reali è metà del divertimento, guardare un finto documentario, sapendo che è finto fin dall’inizio…

Assumiamo, ordunque, che quella mock/doc è solo una forma, a questo punto si può dire che è decisamente abusata specialmente dal signor Oren Peli che, dopo Paranormal Activity, sembra non fare altro, come sceneggiatore e produttore (Chernobyl Diaries) tracimando anche in tv (The River). Che alla regia ci fosse Barry Levinson non sarebbe una referenza buona, data la sua poca frequentazione del genere, ma una regola intramontabile dell’industria cinematografica è che il mestiere vale più di cento geniali copioni. Ragion per cui, The Bay, pur rimasticando immaginari noti (da Lo squalo all’ecovengeance con l’immancabile sottotesto politico), riesce a tenere alta la tensione in quanto diretto con mano sicura da un ottimo artigiano, spesso scambiato improvvidamente per autore. E poi, dato il cast di perfetti sconosciuti, non sapete mai chi muoia e chi sopravviva. Il che, per un horror, è il massimo.

2 – The Town That Dreaded Sundown (2014) di Alfonso Gomez-Rejon

Sapete chi è Alfonso Gomez-Rejon? Ha diretto  Me & Earl & the Dying Girl (Quel fantastico peggior anno della mia vita), un teen drama in cui si citano Herzog Morte a Venezia di Luchino Visconti. Ebbene, prima di questo successo del SundanceGomez-Rejon, prodotto da Ryan MurphyJason Blum, debuttava con questo film partendo da uno slasher trashissimo del 1976 (La città che aveva paura ispirato a fatti realmente accaduti) e realizzandone un remake/sequel che è mise-en-abîme e riflessione metalinguistica sulla violenza filmata (roba da Michael Powell insomma).

3 – Creep (2014) di Patrick Brice

L’incontro tra il padre putativo del mumblecore (Mark Duplass) e Jason Blum genera Creep che del primo conserva tutte le caratteristiche (pochi interpreti, canovaccio su cui improvvisare), ma poi sa sganciarsene per diventare oltre che inquietante, anche riflessione per nulla banale (ai livelli di Guy di Michael Lindsay-Hogg) sulla sovraesposizione della nostra immagine che non significa quasi mai “non avere segreti” nonché sullo statuto di autenticità di quanto vediamo (in particolare quando un’inquadratura sul protagonista che trasporta sacchi e poi comincia a scavare si rivela essere su uno schermo televisivo in cui si riproduce quella inquadratura girata precedentemente). Lo trovate su Netflix e c’è anche il seguito.

4 – The Gift – Regali da uno sconosciuto (2015) di Joel Edgerton

L’esordio alla regia dell’attore Joel Edgerton è un ottimo esempio di rilettura dell’abuse movie in cui il protagonista/regista ha l’intelligenza di scegliere Jason Bateman per un personaggio che sembra il suo solito personaggio. Ma non è così.

5 – Auguri per la tua morte (2017) di Christopher Landon

Ma non ti vergogni di non conoscere Ricomincio da capo?“. Nella battuta del prefinale, c’è tutta la consapevole natura derivativa di Auguri per la tua morte che, costato 4,8 milioni di dollari, in America ne ha incassati 80 e anche in Italia si è difeso bene avendo raggiunto circa due milioni di euro che, per uno slasher sono tanti. Il regista, Christopher Landon (figlio di Michael ovvero il celebre papà di La casa nella prateria) sa il suo mestiere e confeziona un prodotto divertente che, a voler fare i fanatici dell’analisi, non fa altro che mettere lo spettatore nelle stesse condizioni della protagonista: entrambi vivono un déjà vu, ma ciò non impedisce né all’uno né all’altra, di andare avanti.

6 – The Jinx (2015) di Andrew Jarecki

Andrew Jarecki, documentarista autore dello sconvolgente Una storia americana (per il quale si attira le critiche degli inquirenti e delle vittime dei due pedofili, padre e figlio, su cui è incentrato il film), viene colpito dalla vicenda di Robert Durst, erede di una ricca e potente famiglia di immobiliaristi, coinvolto in un cruento omicidio e in passato colpito da due misteriose scomparse (della moglie e di un”amica) per le quali una procuratrice indaga su di lui senza risultati. Durst viene riconosciuto non colpevole per momentanea incapacità di intendere e di volere. Jarecki trae dalla storia un film, Love & Secrets, con Ryan Gosling e Kirsten Durnst, ma modifica i nomi. Dopo l’uscita, il vero Durst chiama Jarecki dicendosi disposto a farsi intervistare per raccontare la sua verità. Nasce The Jinx, miniserie HBO e che Jason Blum coproduce. Jarecki parte credendo nell’innocenza di Durst, ma man mano che procede nel lavoro si rende conto che l’uomo lo è meno di quanto si mostri. Fino al colpo di scena che manco in Hitchcock. Jarecki scopre le prove della colpevolezza e incastra Durst lasciando il microfono acceso. Non c’è niente di più interessante sul rapporto tra realtà e sua rappresentazione di questa vicenda.

7 – Le streghe di Salem (2012) di Rob Zombie

Il miglior film probabilmente diretto finora da Rob Zombie è prodotto dalla Blumhouse. Un incubo strisciante, giocato su ritmi ipnotici, che poi deflagra nella scena blasfema tra JodorowskyButtgereit.

8 – Oculus (2013) di Mike Flanagan

Oculus ha il merito di aver fatto conoscere al mondo l’indiscutibile talento di Mike Flanagan (che è riuscito, per esempio, a rinfrescare un franchise nato male come quello di Ouija). La vicenda dei due fratelli Tim Kylie, di uno specchio stregato, del loro padre e di un delitto orribile non brilla per originalità dell’insieme, ma Flanagan da subito mostra di saper maneggiare materia e macchina da presa.

9 – Dark Skies (2013) di Scott Stewart

Anche a Scott Stewart, regista dei discutibili LegionPriest, il trattamento Blumhouse ha fatto bene e, ad oggi, Dark Skies – Oscure presenze è la sua regia migliore per come rivisita in modo originale il tema dell’abduction aliena. Grande tensione e intrattenimento per nulla scontato.

10 – BlacKkKlansman (2018) di Spike Lee

Non è un film dell’orrore? Forse no, ma è l’orrore della realtà a rendere necessaria una pellicola come questa. Inutile girarci intorno: il cinema di Spike Lee ha ormai la stessa raffinatezza degli instant movie di Giuseppe Ferrara. Che se la prenda con i fratelli (Chi-Raq) o che affronti il razzismo. Da uno che ha girato Fa’ la cosa giusta ci si aspetta qualcosa di più problematico. Come spesso gli accade, Lee è didascalico fino alla pedanteria (quel dialogo sulla blaxploitation con tanto di manifesti è di rara bruttezza), ma poi, appunto, soffermiamoci sul fatto che forse il suo pubblico non siamo noi. Se occorre sbattere in faccia cose ovvie, esprimerle alla lettera, fare un montaggio alternato scontatissimo tra Black Power e White Power, non è colpa di Spike Lee, ma di un mondo cresciuto e pasciuto nell’ignoranza. Il mondo è abitato, per la maggior parte, da bifolchi bianchi (e questa cosa riguarda anche noi), ragion per cui BlacKkKlansman, che non è un film bello, è un film necessario. E che Spike Lee, regista lo sia davvero, lo si capisce nella scena in cui il protagonista viene pestato da due poliziotti mentre arresta una suprematista che ha appena piazzato un ordigno. E che non si tratti di un fatto relegato al passato ce lo dicono le terribili immagini del 12 agosto 2017 (sì, 2017) in cui perse la vita Heather Hayer sotto la cui foto Lee scrive un “Rest In Power” di grande potenza.

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