La differenza tra Gabriele Mainetti ed i Manetti Bros. non è solo in quella vocale che introduce la seconda sillaba del cognome, ma in un approccio completamente diverso al cinema di genere. Laddove i Manetti giochicchiano sì coi topoi dei generi che, però, non hanno mai capito fino in fondo (sicché, da Zora la vampira ai vari televisivi Rex e Coliandro, si avverte una superficialità simile a quella dei lavori di Robert Rodriguez: entrambi suscitano simpatia per un limitato periodo di tempo dopo di che sopraggiunge la noia), Gabriele Mainetti dimostra non solo di conoscerli, ma di averli assimilati ed introiettati. I generi, per i Manetti, sono tutti (in Zora, ad esempio, rifacevano pedissequamente, con tanto di colonna sonora, una sequenza in split di Superfly), mentre Mainetti, checché ne dicano uffici stampa (per motivi di lancio promozionale) e giornalisti con la memoria corta, guarda soprattutto ai generi rivisitati dagli italiani: il cinema bis nella sua estrinsecazione migliore, perché, se è vero che questa definizione designa il cinema che rifà il cinema mainstream con mezzi ridotti (e non include solo la serie B, ma si estende a tutti i tentativi, anche quelli di serie Z), possiamo anche azzardare che il bis rifà sì, ma, come avviene nei concerti in cui viene richiesto, rifà il meglio.