E la chiamano estate

estateEstate. Spiagge, mare, sole. E divertimento. Ma siamo sicuri che sia sempre così?
Subito dopo i reality di surviving, è stato Lost, una serie TV (non a caso il termometro più sensibile della necessità di epos della nostra contemporaneità), che, dal 2004 al 2010, sotto l’illuminato showrunning di J.J. Abrams, ha fornito il disegno più chiaro dell’alea inderogabilmente ambigua della spiaggia (e la sua eco nella recente e fortunata “Trilogia dell’Area X” di Jeff VanderMeer ci dice forse di quanto il prototipo – tramite l’obbligatorio L’arte di sopravvivere di Stephen King – continui a funzionare).
Spazio liminale tra la terra e il mare, dal contorno sempre mutevole e incerto, la spiaggia è luogo concettuale per eccellenza, inabitabile e ostile, difficilmente conformabile alle esigenze antropiche, che solo l’economia della dittatura della villeggiatura ha reinventato come spazio di edenico edonismo di massa.
Ma la spiaggia, come il mare, suo alleato e nemico, resta atopos ostile e impervio che, fuori della mitologia del divertimento forzato, è perfetta metafora della caducità della condizione umana: nudo e indifeso, sulla battigia della sua finitezza, l’uomo è lì insicuro e fragile, sospeso tra la frana della sabbia e dei ciottoli e il risucchio delle onde.
Il cinema ha spesso raccontato l’ambiguità ombrosa di questo spazio, vero diorama dell’atavico confronto-scontro tra uomo e natura.
Di seguito, in occasione delle vacanze estive e prima di ripartire in autunno con i nostri nuovi corsi di cinema, ecco una lista, come sempre assolutamente parziale e migliorabile, di dieci titoli (qualcuno facile, qualcun altro meno diretto, con qualche imperdonabile assenza, almeno ne Il raggio verde di Éric Rohmer e Le due verità di Paul Schrader), in cui la spiaggia, il mare e il sole assumono, fuori della vulgata del “tunnel del divertimento”, i connotati luminosi di vere e proprie epifanie per sconcertanti (e scottanti) rivelazioni.

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