10 Stoner Movie che sono sia fumo che arrosto

stoner movie

Se non avete mai sentito parlare degli stoner movie è perché non c’è una pubblicistica italiana sull’argomento, né on line, né su carta stampata. Da Wikipedia ricavate che trattasi di un sottogenere della commedia che ruota intorno all’uso della cannabis e, in quanto sottogenere, presenta elementi che lo contraddistinguono. Oliver Benjamin (giornalista fondatore, nel 2005, della Chiesa dell’Avvento del Drugo, o “dudeismo”,  che, ad oggi, ha ordinato quasi 200mila preti dudeisti) e Dwayne Eutsey, nel loro Il Vangelo secondo Lebowski, ne parlano come cinéma vert (gioco di parole tra il cinéma vérité ed il vert colore della marijuana) e ne elencano le caratteristiche peculiari (Il Vangelo secondo LebowskiFazi Editore 2013, pagg. 152, 153):

  • L’amicizia (specialmente tra due maschi che sono culo e camicia).
  • Il sesso occasionale (o il desiderio frustrato di trombare).
  • La comicità un po’ greve (spesso relativa a certe parti e funzioni corporali).
  • La violenza (in genere impiegata a fini comici, ma a volte anche no).
  • Le figure autoritarie e ansiose (genitori, capi, polizia ecc.) e gli amici e/o colleghi troppo nerd o troppo convinti.
  • Una complicata costruzione a climax che sfocia in una folle festa e/o avventura o chiamatela come vi pare.

Noi aggiungeremmo un’altra caratteristica non costante, ma frequente: il viaggio fisico che si accompagna al trip lisergico. Molti dei film presenti nella playlist (più altri non inclusi tipo Rolling Kansas, diretto nel 2003 da Thomas Haden Church, che racconta di una spedizione di un gruppo di amici, à la quête di una foresta di marijuana) sono classificabili, in fondo, come road movie. È vero che, oltre ai film i cui protagonisti fumano erba, c’è chi considera stoner anche quelle pellicole che puoi apprezzare solo se strafatto di erba. “Tuttavia – sostengono BenjaminEutsey – la questione è molto più complicata. Ci sono un sacco di film in cui si fumano montagne di spinelli che non entreranno mai in finale tra i film per fattoni (ad esempio Platoon). Se l’erba è buona, si riesce ad apprezzare un po’ tutti i film, eppure, d’altro canto, un mucchio di persone, pur non avendo mai fumato in vita loro, riescono ad apprezzare un buon film per fattoni“. Ed è così che abbiamo pensato di stilare la nostra playlist, includendovi stoner movie che, in qualche modo, funzionano, sono divertenti e deliranti al punto giusto, pur non essendo magari dei capolavori. Non troverete nessun esempio di drugsploitation (sottogenere exploitation che scaturì dal successo di Easy Rider, film manifesto della controcultura di quegli anni, che, dello stoner movie, manca della caratteristica principale: l’appartenenza alla commedia) né tentativi maldestri (il pessimo, nonostante una premessa da super stonerStrafumati di David Gordon Green) o pellicole in cui le caratteristiche elencate sopra, magari afferiscono ad una sottotrama (in Molto incinta di Judd Apatow, gli amici del protagonista sono perfetti personaggi da stoner, ma il film parla d’altro come, del resto, La vita è un sogno di Richard Linklater che è più un affresco generazionale in cui alcuni personaggi fanno uso reiterato di cannabis). Data la peculiarità, si tratta di film esclusivamente americani, fatta eccezione per una curiosa realizzazione bollywodiana. Avremmo potuto inserirvi il francese Paulette, data la sua somiglianza con L’erba di Grace che figura in tutte le liste rintracciabili in rete, ma, secondo noi, nessuno dei due può dirsi stoner. Per l’Italia, forse la cosa più vicina ad uno stoner movie mai prodotta (ed è emblematico) è Santa Maradona di Marco Ponti, mentre, per il resto, lo stordimento da erba è sempre episodico, connotato negativamente o motore di gag, a partire da Che fine ha fatto Totò Baby? Un Natale stupefacente passando per Benvenuto Presidente!

1 – Up in Smoke di Lou Adler

Questo non è un film che rispetta tutte le caratteristiche sopra indicate, semplicemente è il film che le ha canonizzate (per Benjamin/Eutsey si tratta del Padrino dei film per fattoni). Da Fragola (un Tom Skerritt reduce dal Vietnam ovvero la “sala parto” di molti fattoni) al furgone fatto di erba (un’invenzione rimasta unica), Up in Smoke continua ancora oggi ad essere una visione obbligata per quanti vogliano avvicinarsi al genere. Tuttora in attività, Cheech & Chong (Cheech Marin, visto spesso nei film di Robert Rodriguez, e Tommy Chong) giunsero al film dopo il successo del loro tour comico/musicale. Seguirono Cheech and Chong’s Next MovieNice DreamsThings Are Tough All Over, la trasferta ad Amsterdam di Still Smokin e quella in Francia in piena rivoluzione di Cheech & Chong’s The Corsican BrothersUp in Smoke incassò circa 41 milioni di dollari alla sua uscita e 28 successivamente nel circuito home video. In Italia, guarda un po’, non li conosce praticamente nessuno.

2 – Il grande Lebowski di Joel Coen

Coen non rifanno i generi, li trascendono. Che si tratti del noir, del gangster movie, del western o della sophisticated comedy, il loro viaggio dentro e attraverso la storia del cinema si accompagna sempre a riflessioni filosofiche e spirituali. Questo stesso lavoro i Coen lo portano a termine in Il grande Lebowski confrontandosi con lo stoner movie, l’unico in cui si disquisisce di confronto tra nichilismo e teoria nazionalsocialista (che, “se non altro, ha alla base l’ethos“). Qui c’è tutto quello che occorre in uno stoner e di più: una Weltanschauung, una visione del mondo, anzi diverse visioni del mondo per quanti sono i personaggi, ma sicuramente quella principale, quella che ha fatto sì che il film, nonostante l’insuccesso alla sua uscita, diventasse un fenomeno di culto capace di riempire le sale anche oggi, è “tenere botta”.

3 – Half Baked di Tamra Davis

Quasi un prontuario del perfetto stoner movie (è vero, il protagonista, alla fine, rinuncia all’erba, ma solo perché le preferisce la figa che, per di più, si chiama Mary Jane) che mostra anche il dovuto rispetto a chi al genere, in qualche modo, ha dato inizio (il cameo di Tommy Chong). La trama sembra scritta dopo una canna (Kenny finisce in galera perché ammazza un cavallo diabetico della polizia ingozzandolo di dolciumi e gli amici si danno da fare per procurare i soldi della cauzione) così come le numerose gag (il siparietto del telefilm Batman con una foglia di marijuana al posto del pipistrello). Ineccepibile la casistica dei fumatori: dal fumatore scroccone (Snoopy Dog, ovvero il feticcio degli stoner movie recenti, il quale vanta una filmografia tematicamente coerente, ma qualitativamente discutibile: basti pensare a Mac & Devin Go to High School, pessimo musicarello, non per le sale, a supporto dell’omonimo album di SnoopWiz Khalifa in cui il nostro si improvvisa Cheecherone nel mondo della ganja insieme con un “cannone animato” in pessima computer grafica ed un ridicolo personaggio in costume chiamato Captain Kush) a quello “ci dovevi essere” (Willie Nelson). Decisamente è il miglior stoner scritto da un afroamericano, sebbene non classificabile come blaxtoner, visto il cast multietnico. Tra l’altro, il blaxtoner più famoso, Ci vediamo venerdì di F. Gary Gray, lo è inopinatamente in quanto pochissimo “stonato” e molto commedia edificante, quasi una variante leggera di Boyz n the Hood di John Singleton in cui esordì Ice Cube, qui sceneggiatore e protagonista nei panni di un bravo ragazzo che non fuma e, quando, convinto da un amico, lo fa, se ne pente subito perché lo ha portato ad essere un po’ più audace con una ragazza. Decisamente meglio (anche se non ai livelli di Half Baked) è Due sballati al collegeblaxtoner diretto dal figlio di Bob DylanJesse, privo di moralismi e sgangheratissimo (c’è pure il fantasma di Benjamin Franklyn che si compiace che un suo manufatto sia utilizzato come la più grande pipa ad acqua della storia) come si conviene ad una pellicola appartenente a questo filone.

4 – Smiley Face di Gregg Araki

Che qui sia protagonista una donna parrebbe una anomalia (negli stoner i personaggi femminili spesso cercano di ricondurre almeno uno dei protagonisti sulla “retta” via come accade in Half Baked o in quel maldestro tentativo di ibridare stoner movierom com che è Oliver, Stoned la cui originalità si esaurisce nel gioco di parole del titolo), ma Jane F (una strepitosa Anna Faris) è  così “fatta”, per tutta la durata del film, che vale quanto cinque coppie di amici di uno stoner movie classico. Curioso lavoro (in concorso alla Quinzaine des réalisateurs della 60ma edizione del Festival di Cannes) anche nella filmografia di Gregg Araki (il cui primo film uscito in ItaliaDoom Generation, vedeva le droghe sintetiche quali motore dell’azione), di solito molto meno disimpegnato, pur riuscendo ad assestare un paio di colpi come il discorso agli operai (quello immaginato e quello vero) nella fabbrica di salsicce e le pagine del Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels che si spargono lungo tutti i luoghi del film. C’è anche l’ottantenne (all’epoca del film) Marion Ross, ovvero la signora Cunningham di Happy Days.

5 – Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam

<<Ho sempre avuto paura di prendere gli acidi, perfino a Los Angeles fra il ’66 e il ’67, quando lo facevano praticamente tutti. Che fottessero il cervello alla gente era chiaro fin dal primo momento, e dato che io ho avuto la fortuna di accedere di tanto in tanto a quel regno dell’immaginazione in cui avrebbe dovuto condurti l’LSD anche senza bisogno di aiuti chimici, volevo essere certo che l’itinerario di quei viaggetti rimanesse saldamente sotto il mio controllo>> (Terry GilliamGilliamesque, BigSur edizioni 2015, pag 2).

<<Avevamo due buste di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di acido superpotente, una saliera mezza piena di cocaina, un’intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti. E anche un litro di tequila, un litro di rum, una cassa di birra, mezzo litro di etere puro e due dozzine di fialette di popper. Non che per il viaggio ci servisse tutta quella roba, ma quando ti ritrovi invischiato in una seria raccolta di droghe, la tendenza è di spingerla più in là che puoi>> (Paura e delirio a Las Vegas di Terry Gilliam, 1998).

Probabilmente, viste le premesse (ovvero che lo stoner movie avrebbe per protagonisti solo consumatori di cannabis) e le dichiarazioni di Gilliam contenute nella sua autobiografia pre-postuma (sic), Paura e delirio a Las Vegas non avrebbe motivo di essere incluso in questa lista (ma il canale youtube di watchmojo.com lo inserisce al decimo posto della sua Top 10 Stoner Comedies, anche se il primo è occupato da La vita è un sogno della cui esclusione abbiamo detto nell’introduzione), neanche come variante d’autore dello stoner (che abbiamo già assegnato a Lebowski). Il fatto è che la storia di Raoul Duke (ovvero Hunter S. Thompson, l’inventore del gonzo journalism) e del suo avvocato Dottor Gonzo (in realtà Oscar Zeta Acosta), è sì un disvelamento di come l’uso di droghe abbia trasformato il sogno americano in un incubo (e, quindi, curiosamente cela un anomalo, dato l’autore dietro la mdp, moralismo), ma resta comunque il film più vicino ad un trip allucinatorio (non c’è affatto trama) che sia stato prodotto nel secolo scorso dopo Il pasto nudo di David Cronenberg. Con la differenza che Terry Gilliam è sempre stato (dai tempi dei suoi intermezzi animati per il Monty Python Flying Circus) un fattone ad honorem.

https://www.youtube.com/watch?v=1oL2ZrmcoY0

6 – Reefer Madness di Andy Fickman

Come abbiamo detto nell’introduzione, non c’è una pubblicistica italiana sull’argomento, ma americana sì. Reefer Movie Madness: The Ultimate Stoner Film Guide, scritto da Steve Bloom e Shirley Halperin è, forse, la più completa guida allo stoner movie, in un’accezione, tuttavia, più ampia di quella di Benjamin/Eutsey. Lo stesso titolo del libro fa riferimento a quello che viene considerato, suo malgrado, il capostipite degli stoner movie, ovvero il Reefer Madness (potete vederlo per intero su youtube e vi consigliamo l’autotraduzione dei sottotitoli che rende l’esperienza ancora più lisergica) diretto nel 1936 da Louis J Gasnier con intenti propagandistici contro l’uso della marijuana, ma finito col diventare un drugsploitation ante litteram e pellicola di culto in quanto involontariamente comica. Volontariamente comica è, invece, la versione musical di questo film, datata 1998 e dapprima rappresentata nei teatri Off Broadway (libretto di Kevin Murphy e musica di Dan Studney), poi trasposta sul piccolo schermo grazie alla cable Showtime. Tra eccessi grandguignoleschi, ammiccamenti al Rocky Horror ed alla versione musical di La piccola bottega degli orrori (cui si avvicina l’intera operazione), vongole che cantano, strofe sopra le righe (“Strisciante come un comunista, Furtiva come un socialista, Mortale come i democratici” viene definita la marijuana nel brano iniziale Reefer Madness mentre in Mary Jane/Mary Lane il protagonista canta “Il mio es ha dato un party/
e tutti ci hanno partecipato
“), accennati sottotesti politici post 11 settembre (“prenderemo le impronte agli immigrati“, “segui i vicini/e denuncia i cittadini“), Gesù che appare come “Deus” ex machina quasi come Frankie Avalon in Gréase (per il brano Listen to Jesus, Jimmy) ed un Alan Cumming in splendida forma (finanche nei panni di Roosevelt), è questo Reefer Madness: The Movie Musical del 2005 il vero stoner movie (c’è la violenza, anche splatter e l’autoritarismo da sbeffeggiare solo che stavolta la coppia di amici che lo fa è extradiegetica: sono il librettista ed il musicista). D’altro canto, il musical, qualunque musical, è da sempre, data la sua natura esplicitamente artificiale, qualcosa di “altro” rispetto al cinema che persegue l’illusione di realtà: un sogno ad occhi aperti, un sogno indotto, un’esperienza stupefacente.

https://www.youtube.com/watch?v=nFZCpSVTWCs

7 – American Trip di Danny Leiner

Se il culto si misurasse dal numero di sequel allora dovremmo citare, dopo quelli di Cheech & Chong, i tre capitoli delle avventure “stonate” di Harold & Kumar. Che nel 2004 esordivano in Harold & Kumar Go to White Castle, un “helzapopstoner” esilarante dove il macguffin dei mini hamburger della catena White Castle serve solo a far cominciare un “trip” (di qui il titolo italiano che, in realtà, ammicca ad American Pie) che va inteso in ambedue i sensi. Tra gli incontri allucinati c’è anche quello con Neil Patrick Harris, nei panni di sé stesso, che, all’epoca, pochi di noi ricordavano attore bambino in Doogie Howser e che solo un anno dopo sarebbe tornato al successo vestendo i panni di Barney Stinson in How I Met Your Mother. Due seguiti: Harold & Kumar Escape from Guantanamo Bay A Very Harold & Kumar Christmas (in cui Neil Patrick Harris è uno sciupafemmine costretto a fare il gay per i media), entrambi distribuiti direttamente in home video in Italia. Il regista Danny Leiner può anche essere annoverato tra gli specialisti dello stoner in quanto autore, 4 anni prima, di un’altra perla del genere: Fatti, strafatti e strafighe (citato nella scena in cui Harold chiede a Neil Patrick Harris Dude Where’s My Car“, titolo originale della pellicola con Ashton Kutcher).

8 – Super High Me di Michael Blieden

Doug Benson è uno stand-up comedian. Anzi è il re degli stoned-up comedian e deve avere un conto in sospeso con Morgan Spurlock. A suo tempo, per Super Size Me, documentario in cui Spurlock registrava i suoi trenta giorni di alimentazione esclusivamente macdonaldiana, sul sito di Pigrecoemme parlammo di documikaze, un sottogenere no fiction in cui il regista si mette in gioco in prima persona. Doug Benson fa lo stesso, facendosi riprendere per 60 giorni, 30 senza fumare e 30 fumando erba continuativamente. I controlli medici costanti dimostrano che l’erba fumata non ha conseguenze sul fisico e, forse, solo un limitato abbassamento della capacità di concentrazione. Benson, però, usa l’esperimento provocatorio per raccontarci della California che ha approvato l’uso della marijuana terapeutica, di Oaksterdam, distretto di Oakland in cui è sorta la prima Università che accoglie studenti con quoziente intellettivo esaltato dall’uso di cannabis, del governo federale che, invece, non approva le droghe leggere e chiude attività legali. Alternando i suoi show agli incontri con altri comedian (tra cui Zach Gafilianakis e il Bob Odenkirk di Better Call Saul) ed alle visite mediche, Benson riesce, forse, a spiegarci molto meglio di chiunque altro il castello di demagogia costruito dal cieco proibizionismo.

https://www.youtube.com/watch?v=z08TuIKL24w

9 – Hansel e Gretel e la strega della foresta nera di Duane Journey

Evidentemente i due fratelli, protagonisti di una delle favole dei Grimm, ispirano deliri cinematografici. Come se non fosse già abbastanza assurdo vederli nei panni di cacciatori di streghe nell’opera seconda del norvegese Tommy WirkolaHansel & Gretel: Witch Hunters, qui si scontrano con una strega (la Lara Flynn Boyle di Twin Peaks) che, come nel testo originario, mangia giovani adolescenti per ringiovanire. Nella versione stoner, tuttavia, l’attrattiva non sono i dolciumi di cui è fatta la casa, ma la piantagione di erba buonissima (la “foresta nera” del titolo) giù nel sottoscala. A rappresentare la variante horror degli stoner ci sarebbero anche i tre capitoli della saga Evil Bong prodotti dalla Full Moon di Charles Band (nel primo c’è anche un cameo di Tommy Chong), più il delirante crossover Gingerdead Man vs. Evil Bong, e l’evitabilissimo straight to video Bong of the Dead che spreca un’idea di partenza geniale (la scoperta che il cervello degli zombi sia un ottimo fertilizzante costringe due “fattoni” ad improvvisarsi cacciatori di non morti per coltivare la loro super-erba, anche se un po’ debitrice di Due sballati al college) con una confezione (dalla scrittura alla recitazione passando per la regia) sciatta a dir poco.

10 – Go Goa Gone di Krishna D.K. e Raj Nidimoru

Stoner moviezom-com made in Bollywood, con la star Saif Ali Khan nei panni dell’improbabile mafioso russo Boris. I due protagonisti, quasi degli HaroldKumar hindi, si ritrovano ad un rave su un’isola al largo di Goa dove viene lanciata una nuova droga che trasforma tutti in famelici zombi. Loro, perennemente al “verde”, non possono permettersela e si salvano. Il problema è lasciare l’isola. “È colpa della globalizzazione – dichiara Hardik -, gli stranieri ci hanno portato l’HIV ed ora gli zombie“. Hanno portato anche il citazionismo (l’idea di mimetizzarsi tra i morti viventi camminando lentamente come loro, presa da Shaun of the Dead) e la metanarrazione (“voi siete gli eroi ed io sono quello che muore prima”  sostiene Bunny, protagonista poi di un twist stile #Glennvive), ci verrebbe da aggiungere. Le droghe sintetiche sono il male, ma, come recita L’erba di Baba, brano dei titoli di coda, “l’alcool è una cosa brutta, l’erba è la grazia di Dio“.

Commenta questo post

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.