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The Aviator (USA 2004) di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio , Alan Alda, Alec Baldwin, Kate Beckinsale, Cate Blanchett, Frances Conroy, Willem Dafoe, Kelli Garner, Sam Hennings, Ian Holm, Danny Huston, John C. Reilly, Jude Law, Josie Maran, Loudon Wainwright III, Matt Ross, Rufus Wainwright, Adam Scott, Gwen Stefani, Brent Spiner

Originariamente concepito da DiCaprio come veicolo di prestigio per la sua casa di produzione Appian Way e insieme come ghiotta occasione per un tour de force attoriale d’audacia istrionesca, The Aviator ha avuto una gestazione travagliata e complessa. Spettava a Micheal Mann, allora reduce da un altro biopic monumentale come Ali (2001), e per questo timoroso di restare prigioniero di una formula ripetitiva, tradurre in immagini la vicenda del tycoon Howard Hughes produttore, regista, progettista e aviatore, figura carismatica e fin quasi antonomastica della Hollywood degli anni d’oro. Anche lo script di John Logan (esperto, come dimostra il tv movie Rko 281, 1999, di ricostruzioni metacinematografiche) è passato al vaglio di più riscritture, fino a quando si è deciso di circoscrivere la straripante e sensazionale materia biografica del potente e stravagante mogul agli anni più avventurosi della sua vita, quelli tra il 1939 e il 1947. Nonostante le plurime committenze e l’aura vagamente blockbuster del progetto non è difficile individuare gli elementi che hanno fatto poi presa su Scorsese: la descrizione di una personalità prismatica e idiosincratica (qui per la prima volta affrontata con un approccio di detection psichica che fa trapelare fin troppo facili risonanze edipiche), la stringente causalità fra desiderio di emancipazione e autodistruzione compulsiva, la sovrapposizione del motivo biografico coincidente con la parabola del rise and fall (paradigma questo desunto dal gangster-film), il lavorio di cesello sugli attori (straordinari DiCaprio per intensità espressiva e la Blanchett che rifà la Hepburn con espressionismo mimetico), la peculiare Weltanschauung del regista che vede la brutalità endemica di un milieu o di un ambiente come coercitiva ritualità tribale, l’omaggio fiammeggiante e nostalgico al cinema del passato (si vedano la certosina rievocazione del glamour hollywoodiano, il tratteggio rapido di emblematiche figure dello studio system) o l’ammicco cinefilo significante (come in certi primissimi piani in cui DiCaprio finisce per assomigliare fisionomicamente a Orson Welles, in una scoperta assimilazione fra due geniali ed estrosi demiurghi).
Ma al di là delle continuità e delle invarianti contenutistiche giova ricordare piuttosto lo scarto che quest’ultima opera gioca rispetto al resto della filmografia scorsesiana: lo dimostrano certi stilemi minimi e la diversa formulazione del découpage, impostato come una successione di rigogliosi di tableaux vivants legati da una sintassi elegante e distesa, lontana dal furore stilistico e dalla frantumazione ritmica delle ultime opere.
La critica, specialmente quella italiana, si è affrettata a etichettare The Aviator come esercizio quasi puramente illustrativo, appesantito da un eccesso di decorativismo e imbolsito da una messa in scena fredda ed indolente. È sfuggito quasi completamente il morceaux romanzesco, la libertà espressiva e la dilatazione digressiva, le vertiginose aperture da affresco epico che danno vita ad una sorta di cinema letterario o meglio di letteratura filmata (innegabili gli echi da Fitzgerald e dalla letteratura dell’età del jazz), che accomuna in un certo senso The Aviator a Gangs of New York e che conferma nell’ultimo Scorsese il piacere del racconto espanso, denso e sospeso, sfibrato da una malinconia sottile e pregno di un senso del tragico e del negativo, un cupio dissolvi tutto americano che non lascia spazio alla catarsi (basti pensare a quel terribile finale, che spezza il respiro).


Vincitore di 5 Oscar (miglior attrice non protagonista, miglior scenografia, miglior montaggio, miglior fotografia, migliori costumi)

(Marco Rambaldi)

 

Diego Luna

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