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Il signore degli anelli: Il ritorno del Re

(Usa/Nuova Zelanda 2003) di Peter Jackson con Viggo Mortensen, Elijah Wood, Sean Astin, Ian McKellen, Liv Tyler, Orlando Bloom, John Rhys-Davies

E così si conclude la grande epopea tolkeniana.
Dopo il viaggio iniziatico della Compagnia dell’anello e i percorsi incrociati e paralleli in Le due torri, dopo la discesa negli inferi di Moria e l’immersione nelle foreste incantate di Lothlorien, dopo l’incontro con la duplicità pietosa di Gollum e la sfiancante battaglia al Fosso di Helm, Jackson licenzia con Il ritorno del Re (un anno e mezzo di riprese complessive e quasi altrettanto di post-produzione, tre film girati contemporaneamente o meglio un film-fiume distribuito per motivi di agilità fruitiva in tre tempi) la sua gigantografia pantagruelica, il suo lussureggiante arazzo. Il Signore degli anelli, inteso come opera unica e indivisibile, è una illustrazione riuscita di un romanzo dalle proporzioni ingovernabili e dal respiro inimitabile. Un’opima vulgata visiva per l’attuale generazione di giovani spettatori, sempre alla ricerca del grande disegno sincretico e trans-codicale dell’epos. Ci si rammaricherà per la povertà delle soluzioni linguistico-espressive (è un profluvio di ralenti, una ipertrofia di fanfare e di inni, un bignami di posture e dizioni teatraleggianti), per le risibili spacconate acrobatiche e la greve tenuta degli episodi di amicizia virile (l’elfo Legolas che sembra uscito da un platform per la Playstation o la svenevole liaison fra Sam e Frodo), per la corrività degli accenti lirici (si veda la parentesi rosa fra Aragorn e Arwen con tanto di commozione paterna nel finale da parte di Elrond come neanche Spencer Tracy in Il Padre della Sposa) , per la prolissità e ridondanza dei raccordi (il lungo, estenuato finale).
Ma come non riconoscere alle sequenze di battaglia e d’assedio (il cuore pulsante del film, la cifra estetica della pellicola, la sezione aurea di questo terzo episodio) un afflato cavalleresco e una vigoria guerresca che rimandano direttamente al cinema fordiano e al western classico. E come non rimanere abbacinati di fronte alla rigogliosa baldanza delle plongée e delle circonvoluzioni panottiche della cinepresa. Come non farsi conquistare dalle certosine geometrie e dalle angolazioni rigorose (finalmente!) degli scontri a cavallo e all’arma bianca. Come non strabuzzare gli occhi al cospetto alla perfezione iperrealistica dei modellini e dei trucchi artigianali. Come non cedere alla sfrontatezza ingenua e frastornante delle figurazioni e delle trovate visionarie.
Certo Il Signore degli anelli è operazione puramente illustrativa e accademica. Ma è pur vero che lungi dal prenderla per qualcosa di diverso dal mero divertissement, Jackson ha confezionato uno spudorato ed esaltante racconto fumettistico, un esaustivo catalogo di baroccherie avventurose, una chanson de geste al tempo dell’home-theater, un puntiglioso atlante dell’immaginario fantasy che, siamo sicuri, si tornerà a sfogliare con gustosa fascinazione per molto tempo ancora.

Vincitore di 11 premi Oscar tra cui miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura non originale.

(Marco Rambaldi)


Peter Jackson

 

Jackson a colloquio con McKellen

Frodo

Leggi la recensione de Il signore degli anelli - la compagnia dell'anello

Leggi la recensione de Il signore degli anelli - le due torri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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