|
|
|
Buongiorno, notte
(Italia 2003) di Marco Bellocchio, con Luigi
Lo Cascio, Maya Sansa, Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni
Calcagno, Paolo Briguglia.
Dopo L'ora
di religione un nuovo viaggio orfico di Marco Bellocchio
nei luoghi ombrosi della coscienza collettiva; e se quello si concludeva
con una sorta di "sospensione" poco prima dell'estremo atto
iconoclasta, Buongiorno, notte affronta senza tema il pericolo-danno
di una impossibile ma necessaria elaborazione del lutto.
Partendo dal libro di Anna Laura Braghetti (una dei brigatisti
che prese parte alla carcerazione di Aldo Moro, -ndr) Il
prigioniero, Bellocchio costruisce una sorta di narrazione
visionaria e terapeutica, indifferente alle ragioni della verità
storica eppure, nella tensione del confronto con una ferita aperta della
nostra memoria e con i sogni perduti di una generazione, straordinariamente
efficace nella rappresentazione di un Paese.
Il film racconta i i 55 giorni prigionia di Moro attraverso il
punto di vista di Chiara, giovane componente del gruppo dei carcerieri
del segretario della DC. Tutto ciò che vediamo (ma sarebbe
forse meglio dire che non vediamo o che desideriamo di vedere) lo vediamo/non
vediamo attraverso il suo sguardo. E' uno sguardo strabico, per miopia
ideologica o per soffocato desiderio di strappare il cupo fondale della
disciplina rivoluzionaria (incarnata nello sguardo plutonico, spento per
eccessiva combustione, di Lo Cascio/Moretti), strabico per paura
di guardare/riconoscere o per paura di essere visti/riconosciuti. Chiara
diventa il teatro dove si consuma un po' alla volta il dissidio tra la
condizione di "rivoluzionaria" e la pulsione a conciliarsi con
una dimensione più intima ed affettiva del vivere, orizzonte allo
stesso tempo odiato e desiderato. Desiderio montante di una comunicazione
umana dove non c'è altro che la prassi ritualizzata tra ruoli e
appartenenze politiche che quel desiderio stigmatizzano come una colpa
(erano gli anni in cui Gaber cantava Scusate se vi parlo
di Maria).
Il motore della storia è tutto in questo corto circuito tra un
sogno pericolosamente collaterale a quello piccolo borghese e la condizione
della trincea. In tal senso, il film ci fornisce una chiave di lettura
fin dalla prima scena, incipit straordinario, quando Chiara e un suo compagno,
fingendosi una coppia di sposini, si fanno guidare da un agente immobiliare
attraverso le stanze dell'appartamento che servirà da covo. E'
uno scenario lucidamente straniante, dove tutto, i gesti, le parole, i
toni, rimanda a una dimensione quotidiana, ma tutto è tragicamente
fuori luogo se raffrontato all'epilogo-premessa. Quasi verrebbe da ridere
eppure si è sgomenti per tutto quanto c'è di inadeguato
in quel vitreo rituale.
E con questo corto circuito Bellocchio gioca per l'intero film,
toccando tutte le corde dell'affabulazione (talvolta esagerando) e costruendo
altri corti circuiti, stilistici, sempre in bilico tra l'ironico, il tragico,
il patetico e il grottesco: come quando una vicina, appena dopo la notizia
del rapimento affida proprio a Chiara il suo bambino per precipitarsi
a scuola a ritirare l'altra sua figlia, e ancor più quando il prete
arriva all'appartamento per la rituale benizione pasquale; o ancora, quando
sempre la stessa vicina, notando gli strani movimenti che avvengono nell'appartamento,
mette in guardia Chiara sulla fedeltà del suo presunto marito.
Probabilmente è sempre a partire da quest'idea di corto circuito
che vanno spiegati anche alcuni passaggi della sceneggiatura che onestamente
sembrano un poco oscuri: come per esempio il personaggio di Enzo
(Paolo Briguglia), giovane collega di Chiara che nella finzione
ha scritto una sceneggiatura che porta lo stesso titolo del film e per
qualche ragione imprecisata si trova tra le carte di Moro al momento
del rapimento.
Quello in cui cade Chiara è un girone allucinato da cui non si
esce se non con un arbitrario e insieme liberatorio atto di immaginazione.
Il visionario, struggente esito di questo viaggio di Chiara nel mondo
delle tenebre personali è proprio questo: Moro, sfuggito
ai terroristi, cammina libero per le strade deserte di una Roma ancora
addormentata. Come sarebbe bello - diciamo a questo punto - se le cose
fossero andate davvero così: ad essere liberato non sarebbe stato
soltanto Moro ma anche Chiara e con lei tutti noi. Ma le cose non
sono andate così: dopo quei 55 giorni c'è stato il 9 maggio,
una Renault 4 in via Caetani e tutto quanto il resto, fino ai giorni
nostri.
Quello di Chiara è uno scatto d'immaginazione tardivo, ma Buongiorno,
notte è tutt'altro che autocritica politica; né
c'è il tentativo di recuperare le ragioni di Moro - per
quello che rappresentava - (la sua umanizzazione è tutta funzionale
al percorso introspettivo di Chiara) né, infine, fare autocritica
in vece di... Il film è un doloroso viaggio nella coscienza, tutto
interno al mondo di chi è stato vinto. Chiara è Alessandro
de I pugni in tasca trentotto anni dopo; Chiara è
Alessandro che dopo la rabbia recupera le lacrime della pietà -
verso se stesso in primo luogo - per la consapevolezza che, comunque vada,
si uscirà sconfitti.
Per chi invece ha vinto Bellocchio riserva per tutto il film un'aristocratica
noncuranza, (la cronaca nera e i risvolti politici del caso sono appena
accennati) fino al finale, con le note dei Pink Floyd che fanno
da commento alle immagini di repertorio dei funerali di Moro: è
la colonna sonora di chi in generale - e non soltanto per chi ha fiancheggiato
o giustificato la lotta armata - ha giocato dalla parte di chi ha perduto.
Non si tratta di dire che carcerieri e carcerati (chi è il carceriere
e chi il carcerato è poi sempre difficile stabilirlo), vincitori
e vinti condividono alla fine la stessa memoria, gli stessi morti da piangere,
la stessa strada deserta all'alba, anzi. In questa discesa agli inferi
per recuperare il senso della storia, i vincitori di oggi sono soltanto
degli ospiti invitati a partecipare a un dolore che sta tutto da quest'altra
parte. Il lutto e la memoria è privilegio di chi perde. E allora,
"buongiorno, mezzanotte - torno a casa", finalmente libero.
(Giulio Arcopinto)
|
|
|
|
|