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La 25a ora (Usa
2002) di Spike Lee con Edward Norton, Philip Seymour Hoffman, Barry Pepper,
Rosario Dawson, Anna Paquin, Brian Cox
Ricordate R Xmas (Abel Ferrara
2000)? lì si raccontava di uno spacciatore con moglie e figlioletta
che, nonostante qualche difficoltà, riusciva a sfangarla. Il film
di Ferrara era ambientato a New York all'epoca del sindaco
di colore David Dinkins e terminava con una didascalia, "to
be continued". Ferrara pensava, credo, alla tolleranza zero
contro la criminalità del mandato di Rudolph Giuliani. Non
immaginava che proprio al termine del mandato di Rudy la tragedia dell'undici
settembre avrebbe cambiato NYC in modo ben più pesante.
Il nuovo film di Spike Lee, che narra dell'ultima giornata di libertà
di uno spacciatore che ha ormai perso tutto, bianco (Norton) e dalle
buone amicizie (ottimi Philip Seymour Hoffman e Barry Pepper,
rispettivamente nel ruolo di un professore di letteratura ebreo innamorato
di una sua studentessa e di un broker/squalo irlandese) sembra essere un
sequel dell'ultimo Ferrara, impostato com'è sul tema del rimpianto
e del "sarebbe bastato poco e sarebbe andata diversamente". Sarebbe
bastato che gli Stati Uniti avessero smesso di essere tanto ingordi
e forse nessun aereo si sarebbe abbattuto sui grattacieli, sarebbe bastato
che Monty, il protagonista del film, si fosse ritirato pochi mesi prima
e, forse, non avrebbe dovuto abbandonare il benessere, gli amici e la donna
ideale.
Purtroppo le cose, quell'undici di settembre, sono andate come sappiamo
e ora neanche importa più tanto che fine farà il protagonista
del film. Quello che importa e che NYC, simbolo degli USA, avrebbe potuto
essere un perfetto esempio di società multietnica (non a caso il
protagonista convive con un'ispanica, la meravigliosa Rosario Dawson),
mentre ora chissà...
Lee riesce a controllare perfettamente una materia divagante che include
le vicissitudini private di personaggi e il senso della Storia (con buona
pace di Fukuyama) e con la faccia pulita di Montgomery (come Clift),
benestante, simpatico e apparentemente innocuo, ma arricchitosi sulla pelle
degli altri ed ora obbligato a meditare sulla propria colpa, ci regala,
insieme al suo capolavoro, una delle migliori metafore degli USA
che il cinema americano post 9/11 abbia saputo sfornare. Certo, insieme
al cortometraggio di Sean Penn in 11
Settembre 2001.
(Giacomo Fabbrocino)
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