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Il resto di niente (Italia 2005) di Antonietta De Lillo con Maria de Medeiros, Riccardo Zinna, Rosario Sparno, Enzo Moscato

Un percorso produttivo a dir poco travagliato, iniziato all'epoca dei festeggiamenti per il bicentenario della Rivoluzione partenopea (cose dell'altro millennio), tanto che in molti temevano che non se ne sarebbe cavato davvero "il resto di niente". Alla fine, però, il film è uscito nelle sale e si candida a diventare una delle proposte più interessanti del cinema italiano della stagione.
Partendo dall'omonimo libro di Enzo Striano sulla figura storica di Eleonora de Fonseca Pimentel, nobile di origine portoghese che sarà una delle figure carismatiche della Rivoluzione giacobina partenopea del 1799, Antonietta De Lillo, insieme allo sceneggiatore Giuseppe Rocca, costruisce una narrazione raffinata che ricorda un po' il Rossellini televisivo, costruita su una messinscena di tipo teatrale che strania ma che, grazie anche alla felice scelta della Medeiros nel ruolo di Eleonora Fonseca non risulta mai "intellettuale". Anzi, almeno nella prima parte, il film trasuda partecipazione. Il racconto inizia nei momenti che precedono l'esecuzione della Fonseca sul patibolo, recuperando con un sapiente uso del flashback le tappe salienti del percorso intellettuale e passionale che porterà la donna al centro degli eventi che segneranno l'utopia illuminista della Repubblica partenopea. La macchina da presa insiste sui primi piani, accompagnando con garbo tutto femminile la recherche intellettuale, politica e sentimentale della donna Eleonora. Ne scaturisce quasi una rappresentazione della "passione", pregnante, un dialogo interiore che richiama la scrittura tutta al femminile di Christa Wolf o anche, con il dovuto rispetto, la Giovanna d'Arco di Dryer.
La pellicola si distingue per una bella cura e un sapiente uso delle ambientazioni. Molto suggestiva in questo senso soprattuto la sequenza della parabola coniugale di Eleonora - che vede, tra l'altro, un bravo Riccardo Zinna finalmente in un ruolo importante che da tempo merita - in cui l'ambientazione diventa una sorta di "soggettiva scenografica" della protagonista.
Nella seconda parte il film diventa invece un po' scolastico. La regia si lascia tradire dalla fedeltà al libro: nella disamina del velleitairismo intellettuale che sancì la sconfitta degli ideali rivoluzionari o nella narrazione degli eventi che porterano alla capitolazione della Repubblica ad opera dei sanfedisti. Il film rincorre a questo punto gli eventi della Rivoluzione invece di restare al fianco della protagonista nella sua nobile e nobile ricerca "sentimentale". Ma così anche gli spettatori sono costretti a rincorrere fatti e personaggi affidandosi alla memoria delle pagine di Striano. Ed è un peccato, perché qui il film finisce per mostrare la sua natura di produzione comunque a basso budget: come nell'uso delle grafiche - cartoni in sovraimpressione a mo' di scenografie mobili - cui viene affidata la narrazione dei fatti d'arme della capitolazione della Repubblica, che sembrano più un espediente di ripiego che un vero cardine stilistico-narrativo dell'intreccio.
Di Enzo Moscato, infine, un cameo nella parte di Filangieri, in un dialogo immaginario con la Fonseca che, oltre ad essere un po' stucchevole e decisamente logorroico, conferma ancora una volta come la misura dello spazio dell'inquadratura filmica non si addica alla potenza del corpo-voce scenico di Moscato.
Un film forse non perfetto, insomma, ma a tratti bello, certamente colto e coraggioso, che consegna al cinema italiano una Antonietta De Lillo nella sua piena maturità.

(Giulio Arcopinto)

 

Antonietta De Lillo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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