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Quando l'amore brucia l'anima (Usa 2005) di James Mangold con Joaquin Phoenix, Reese Whiterspoon, Ginnifer Goodwin, Robert Patrick

Per fortuna che ci sono gli U2. Che ormai nel lontano ’93, con la canzone The Wanderer, in un colpo solo, strapparono, con buona pace dei Nomadi, alla retorica da festa e piadina il mito trovatore del “vagabondo”, e riportarono letteralmente in vita un’icona oscura del country - quel Johnny Cash, allora in ombra, cui affidarono, appunto, il pezzo con cui si chiudeva il loro Zooropa - ma, soprattutto, uno dei giganti assoluti della musica popolare americana.
Lo ripresero dall’inferno (e come ogni gatto randagio non era affatto la prima volta che ritornava nuovo di zecca dall’Ade) e lo piazzarono di nuovo al centro del mondo. Dove doveva stare. Da lì in poi, fino alla recente scomparsa, un pugno di dischi ispiratissimi rinvigorirà la fama di man in black, come viene chiamato da sempre, riscrivendone la leggenda non più relegata nel seppur nero contorno di una certa (troppo soddisfatta) Country Music.
Quando l’amore brucia l’anima, biopic che ne ripercorre fama (dall’infanzia nella piccola Dyess fino all’incontro determinante con la Sun Records di Sam Phillip) e caduta (il carcere, l’oblio), stringe la storia intorno alla sagoma eroica del musicista, nella misura in cui è la consapevolezza costante della dimensione tragica dell’esistenza che qui ne supporta le gesta (e che ne conformerebbe l’arte).
Storia di amore e di sofferenza vista attraverso la bruciante passione del cantante per June Carter Cash, dove Joaquin Phoenix è un corpo nervoso e tagliente di terribile efficacia e con pure una gran bella voce (sue le cover di Cash, ed è meglio, sì meglio, del pur gigantesco lynchiano Nicolas Cage alle prese con Love me tender!).
Il regista James Mangold - che tanto per chiudere il cerchio con la cultura country sta preparando un western - ha finora scritto e diretto un cinema sì mainstream, ma dai lividi contorni sociologici (tra gli altri, lo spigoloso Copland e il disturbante Ragazze interrotte). E' sua una qual capacità nel tratteggio antropologico e politico che, a dispetto delle apparenze, è anche qui ben presente. Forse, in tal senso, cuore del film, è la sequenza del famoso concerto che Johnny Cash tenne nella prigione di Folsom (a proposito, del disco, è da poco disponibile una bella ristampa), in cui la tensione tra la spinta dionisiaca del rock’n’roll e i coatti codici di sorveglianza e punizione che la Società predispone, diventano lì patenti nella loro potenziale e costante carica eversiva. Era il 1968 e fuori delle carceri, fuori dallo stesso rigido quattro quarti della pop music, andava disegnandosi una rivoluzionaria ipotesi dei rapporti tra le persone: scenario futuro, però, che l’apollineo ritorno all’ordine della Reazione avrebbe, da lì a poco, bruciato per sempre. Facendo evaporare, così per sempre, l’alba dell’Acquario. In un’orrida ara al napalm.

(Corrado Morra)

 

June & Johnny

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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