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The New World - Il nuovo mondo (USA 2005) di Terrence Malick con Colin Farrell, Q'Orianka Kilcher, Christian Bale, Christopher Plummer, John Inscoe

Nel 1607, una nave inglese, che, insieme ad un equipaggio di nobili, trasporta Il capitano John Smith, sbarca sulle coste della (futura) Virginia. Il conflitto tra gli autoctoni e gli europei, attratti da una terra che sembra loro un nuovo Eden, nascerà e si svilupperà di pari passo con l'amore tra Smith (Colin Farrell) e la figlia del re (Q'Orianka Kilcher).

Una certa tendenza della critica ha voluto vedere in The New World (il quarto film del regista, a trentadue anni dall'esordio) un Malick minore, di maniera, che riprendendo e ripercorrendo quanto già fatto nella Sottile Linea Rossa, si sarebbe limitato a ripetere il già detto e a mostrare il già mostrato.

Una certa tendenza della critica ha voluto sottolineare quanto banali fossero i dialoghi ed i pensieri di Smith e di Pocahontas, concentrandosi troppo sui discorsi, interiori o fonetici, di un soldato dabbene sicuramente poco incline alle lettere e di una nativa americana quindicenne, tralasciando il discorso filmico e filosofico che Malick sviluppa per i centocinquanta minuti del film.
Se Malick ha avuto del genio in passato, egli lo ha ancora, qui, nel mondo nuovo, in cui ogni inquadratura, benedetta dalla potenza visionaria di Emmanuel Lubezki, restituisce la meraviglia di chi vede le cose per la prima volta e le percepisce, appunto, come nuove.

Davanti a tanta meraviglia la macchina da presa non può non oscillare, barcollare in un continuo ed ebbro serpeggiare di steadicam tra i volti, i paesaggi, i dettagli. Ecco che quanto già visto di apocalittico in Coppola, di disperatamente rivolto al sole in Cimino e di angosciosamente immerso nelle tenebre di un'anima malata - che si vuol continuare a chiamare mente - in Kubrick, dal fiume risalito controcorrente al nativo americano che, sparendo, torna a far parte del mondo selvaggio di cui è sempre stato una molecola, fino ai giardini geometrici, alle siepi confezionate a mo' di labirinto, torna, nuovo e unheimlich, in questo film. Un film che è sintesi di un'intera arte, un capolavoro che travalica il cinema e fonde finalmente le istanze di destrutturazione e discontinuità di certa nouvelle vague al classicismo dello sguardo fordiano.
Basti come esempio la scena della morte del fratello di Pocahontas, in cui la continuità temporale è negata da jump-cut che, annullando il valore del flashback e del flashforward, cercano, nel fare cinema, di negare il tempo aspirando alla descrizione degli accadimenti come entità monadiche, date ed ineluttabili, che una regia, lottando contro il suo essere morte al lavoro, lavora per raggruppare nel disperato tentativo di conservare la vita, non con tecniche da tassidermista, quanto con furia prometeica ed amore infinito.

Il montaggio, in The New World , non ha nulla del découpage classico, ma la regia è comunque quasi "invisibile" al servizio di un afflato poetico che nulla ha di simile nel cinema mainstream. Il tutto fa da struttura portante ad una passione poetica il cui senso si può anche non cogliere o condividere, ma di cui non si può negare la veemenza.

(Giacomo Fabbrocino)

 

Pocahontas

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