HOME-PAGE
A cura di Corrado Morra
Fotografie: Giulio Arcopinto
Comunicazione web: Giacomo Fabbrocino
Scarica la rassegna stampa
Accedi alla galleria di Salvatore Morra-Supino

 

La cultura della pittura
L’arte di Salvatore Morra-Supino vive di una pittura coltissima che, guardando con indelebile passione ad una certa figurazione napoletana, capitalizza, come meglio non si può, la lezione dei due grandi maestri della pittura moderna: da una parte l’empatica capacità analitica di Cézanne, dall’altra la natura sensibile eppure terribile di Francis Bacon. Una pittura, la sua, che, seppure abbia conosciuto la potenza del gesto e dell'evidenza materica (soprattutto in una fruttuosa serie di dipinti dell’inizio degli anni Ottanta, quando, abbandonata un’iconografia e un simbolismo di notevole impianto al servizio di un discorso cui non erano aliene le istanze sociali e politiche di quegli anni, ritrovava il segno libero di un certo informale), è perennemente tesa a velare, se non a cancellare del tutto, nel suo segno, qualsiasi indicatore deittico, ovvero qualsiasi traccia dell’umano, convinto com’è che l’arte sia sempre faccenda più dello spirito piuttosto che avvilita ombra del mondano. È questa tensione spirituale, del resto, che gli ha permesso di costruire, in oltre cinquant'anni di attività, un corpus pittorico di grande suggestione animato, contemporaneamente, da una straordinaria potenza espressiva e da un raro impegno etico e, tout court, filosofico.
Presentiamo, in questa mosta, undici dipinti: sette tele di grandi dimensioni della prima metà degli anni Novanta e quattro lavori più recenti nei quali – ancora più urgente lo spirito critico in questi mala tempora di lutto e ipocondria universale e forse, proprio per questo, più struggente la necessità della fabula – l'impianto si fa più figurativo presentando temi e suggestioni di maggior afflato drammatico. È il caso di Quo vadis, in cui il vessillo dell'incubo di füssliana memoria è sostituito dall'imperio di un irrisolvibile e definitivo memento mori, o di La chiave un autoritratto del 2002 nel quale, tra rifiuti, grumi e grovigli, un'enigmatica chiave appesa ad un muro alle spalle dell'artista, consegna allo spettatore la dolorosa illusione che possa almeno l'Ermeneutica essere il passepartout giocondo per la Felicità o il pietoso analgesico per l'insanabile certezza dell'uomo dell’oblio, di non potersi dire, cioè, eterno. E quello della memoria è un'altra costante di Morra-Supino evidente in un bell'olio del '92 dal programmatico titolo Come i biscotti per Proust, opera dove le teorie bergsoniane della rimembranza trovano, attraverso una pittura di fattura squisita e la costante della linea circolare, in eteree dissolvenze cromatiche, brandelli felici delle immagini di un onirico passato.
Segnaliamo qui, infine, un ultimo dipinto, quel Vesuvio, lavoro del '92, che, attraverso toni di straordinaria sensibilità e un impianto decisamente monumentale, si prefiggeva, citando le campiture gentili di un Piero della Francesca, di stemperare gli esiziali miasmi dello “Sterminator Vesevo” in eruzione con la dolce antinomia di un ironico intrecciarsi di forme leggiadre lievi per l'aere, colorate dei tre primari appena ingentiliti da tenui bianchi, lampi di luce nella promessa algida e mantenuta del terrore della morte quasi a ricordarci come, in un convinto neoplatonismo, fa lo stesso artista, come “la morte e la vita, lo sterminio e il brulicare inossidabile dell’esistenza, il male, il bene, l'ombra, la luce... appartengono, in fondo, sempre ad una medesima, imperscrutabile Unità. Che qualcuno chiama Dio, altri Destino, e altri ancora Ragione. Ma c'è chi, ed io con loro, si ferma un attimo prima di pronunciarne il Nome. Qualsiasi nome. Bastandogli, per sognare l'eterno, l'incanto dell'instancabile e necessaria Ricerca del Senso. Ovvero – questo sì – del Divino.”

Corrado Morra

 

 

Nota biografica
Nato a Napoli nel 1934, dove vive e lavora, Salvatore Morra, che firma Morra-Supino dall'87 in omaggio alla madre scomparsa, esordisce a sedici anni in una collettiva al Parnaso, galleria, non più attiva, della Riviera di Chiaia. È del '57 la sua prima personale. Tra gli anni Sessanta e Settanta è particolarmente attivo tra la costiera sorrentina e il salernitano, dove firma una serie di interessanti esposizioni.
Nel '76 espone a Milano e poi a Foggia mentre tra il '79 e l'83 è legato all'esperienza breve, ma affatto interessante della Bilancia, una galleria nel cuore dell'area flegrea. Sempre nell'83 è in Svizzera, a Meisterschwanden, per una mostra alla Del Mese-Fischer e, nello stesso anno, a Los Angeles, per la prima personale oltreoceano. Ancora dell'83, prodotta dal Comune di Ercolano, è la sua unica esposizione d'impianto decisamente concettuale (le geometrie de I cerchi della vita), e dell'anno successivo una mostra presso la Vilar di Bruxelles. Nel giugno dell'85, infine, partecipa a Seetal, una complessa collettiva ancora a Meisterschwanden.
Tranne apparizioni sparute, da quel momento seguono vent'anni di silenzio espositivo, ma di non meno costante e sofferta ricerca artistica che sfocia oggi in questa retrospettiva napoletana.

 

Le Pieghe: un ciclo di mostre “nascoste”
Comincia, con questa esposizione, Le Pieghe, il primo ciclo espositivo prodotto all'interno del nuovo spazio di Pigrecoemme a Piazza Portanova (Napoli), che presenterà, con cadenza bimestrale, una serie di eventi di comunicazione visiva che, di volta in volta, si preoccuperanno di dar luce ad artisti, temi, suggestioni, fantasmi, rimandi, persi tra le pieghe del franchising culturale cittadino o, ancor peggio, non ancora svelati.

 

L'esposizione è visitabile dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 16, fino all'11 marzo
Info: info@pigrecoemme.com --------- tel. 081 5635188

© 2005 Pigrecoemme