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Il cartaio (Italia
2004) di Dario Argento con Stefania Rocca, Liam Cunningham, Silvio Muccino,
Claudio Santamaria
C'è, nella cinecritica attuale, una tendenza
che potrei definire "cinefilia de-genere", nata dalla
legittima opposizione ad un'imbalsatissima équipe di recensori
per i quali (un po' come accade nelle gare di pattinaggio sul ghiaccio),
una volta ottenuta la patente d'autore, un regista resta tale e realizza
sempre dei capolavori (così Antonioni ci delizia con Al
di là delle nuvole, la fatica annuale di Woody Allen
è sempre divertente anche se non fa ridere da tempo, Kiarostami
e gli iraniani sfornano cult movie a prescindere da ogni considerazione
sul manierismo da festival). Questa "cinefilia de-genere"
pare affetta dagli stessi tic di quella ufficiale, sia pur con riferimento
a soggetti di studio diversi. Capita, pertanto, di leggere che i Vanzina
hanno una poetica, Neri Parenti non si discute e, per il passato,
Nando Cicero, Mariano Laurenti, Giuliano Carmineo...
Ho paura che lo stesso stia accadendo per Dario Argento. Intendiamoci:
io sono tra quelli che amano Argento e per i quali il buon Dario
è effettivamente un autore che ha fatto con il thriller e l'horror
ciò che fece Leone con il western. Proprio in virtù
di questo amore, ecco il punctum dolens, non posso che lamentare
l'involuzione del regista da Opera in poi, involuzione che
con Il cartaio tocca davvero il fondo. Alcuni dicono che
il merito dell'ultimo Argento è fare a pezzi un cinema che
non gli interessa più in ogni suo aspetto. A me sembra un alibi.
La logica, la plausibilità dell'intreccio non hanno mai goduto
della sua attenzione, ma la scenografia, l'inquadratura, la costruzione
della suspense....Qui non c'è niente di tutto questo, salvo le
immagini che scorrono durante i titoli di testa e la morte del poliziotto
britannico. Poco, non vi pare? Un paio di sequenze accettabili si trovano
pure in un film di P.J.Pesce.
(Rosario Gallone)
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