Era l’aprile 2004 e la rivista Nocturno pubblicava uno speciale dal titolo Sangre Y Deseo: Il cinema fantastico spagnolo. Lo faceva a ragion veduta: era la stagione d’oro dell’horror e del fantastico spagnolo, rivitalizzato dalla Filmax di Julio Fernández che l’aveva acquisita nel 1987 rilanciandola grazie al supporto iniziale di Brian Yuzna e Stuart Gordon in quella costola che fu la Fantastic Factory. La Filmax negli anni zero del XXI secolo è stata una vera e proprio fucina in grado di scoprire talenti nel genere horror e fantastico (Jaume Balagueró e Paco Plaza su tutti) nonché di costituire il ponte tra questa nuova generazione e la precedente grazie alla serie Películas para no dormir che, se da un lato sfruttava l’onda lunga dell’analoga Masters of Horror americana, dall’altra si agganciava alle Historias para no dormir il cui autore, Narciso Ibáñez Serrador (anche regista dell’episodio delle Películas intitolato La culpa e unico della vecchia generazione), è senza ombra di dubbio il regista spagnolo horror maggiormente di culto del secolo scorso, al pari di Amando de Ossorio (quello dei resuscitati ciechi) e forse più dell’eclettico e bulimico Jesús Franco, sebbene con soli due film all’attivo ovvero Gli orrori del liceo femminile e soprattutto Ma come si può uccidere un bambino? Quell’ondata, però, non ha proliferato, se si escludono Juan Antonio Bayona e Juan Carlos Fresnadillo, ma si può dire che l’industria cinematografica spagnola abbia trovato un rimedio, impiegando forze creative e maestranze in un altro genere: il thriller, categoria nella quale ricomprendiamo anche il crime, il noir ed il giallo classico. Genere che, tuttavia, è riuscito anche ad elevarsi oltre le convenzioni, perseguendo una qualità invidiabile, dimostrata dal fatto che dal 2010 al 2017, su otto premi Goya assegnati, 5 lo sono stati a film ascrivibili al genere. Non c’è un autore che sporadicamente vi si dedica (come l’Alejandro Amenábar di metà anni ’90, quello di Tesis e Apri gli occhi), ma un vero e proprio filone, un movimento, una tendenza. In questa playlist abbiamo deciso di considerare pellicole della seconda decade del XXI secolo e di sola produzione spagnola, escludendo coproduzioni con altri paesi europei (il pregevole El guardián invisible coprodotto con la Germania o La propera pell che vede una partecipazione della Svizzera) o più frequentemente, per motivi di lingua, con paesi dell’America Latina (Il Clan o Al final del túnel, coproduzioni con l’Argentina) a voler rimarcare ancora di più l’attuale florida condizione della produzione iberica nel genere in questione.
1 – La vendetta di un uomo tranquillo di Raúl Arévalo
Raúl Arévalo è un attore (protagonista di La isla minima e Ghost Academy) e, al suo debutto dietro la mdp, si è aggiudicato il Premio Goya per il miglior esordio alla regia e per la miglior sceneggiatura. Su questa, forse, ci sarebbe da discutere (perché, dopo un inizio magistrale, la storia accusa un cambio di registro piuttosto repentino ed alcune battute d’arresto, per riprendersi alla grande nell’epilogo), ma quello per la regia è più che meritato perché Arévalo mostra una sicurezza da veterano. Antonio de la Torre, negli ultimi anni, è uno dei volti più ricorrenti del genere (è anche in Che Dio ci perdoni e Cannibal).
2 – La isla minima di Alberto Rodríguez
Ad un primo impatto, il film di Rodríguez ricorda davvero tanto Le paludi della morte di Ami Canaan Mann, ma la collocazione storica, a pochi anni dalla morte di Francisco Franco, tradisce l’intenzione di raccontare, dietro le convenzioni del genere (il serial killer, la provincia, la diffidenza verso i due poliziotti, di età ed estrazione diversa, che giungono dalla città), lo smarrimento di un paese che pure ha conquistato la democrazia, ma non ci si ritrova, dopo aver vissuto tanto sotto una dittatura. 10 premi Goya, meritati dal primo all’ultimo.
3 – Desconocido – Resa dei conti di Dani de la Torre
Alberto Marini è un torinese, classe 1972, trasferitosi a Barcellona nel 1999 dove ha cominciato a lavorare per la Filmax lavorando come direttore dello sviluppo, tra gli altri, a Rec di Balaguerò/Plaza, e scrivendo Bed Time. Successivamente, con la società da lui fondata nel 2011 (Rebelión Terrestre Films), ha prodotto l’esordio alla regia dei fratelli Pastor, il fantascientifico The Last Days. Per la sceneggiatura di Desconocido (un incrocio tra i film-trappola, tipo Buried o In linea con l’assassino, e Speed, il classico di Jan De Bont), affidata al debuttante Dani de la Torre, è stato candidato ai Goya. Nel frattempo ha esordito alla regia coll’horror in lingua inglese Summer Camp, uno slasher/virus movie in piena regola. Insomma, è un italiano ed ha decisamente contribuito alla rinascita del cinema di genere. Ma di quello spagnolo. Su Netflix.
4 – Bed Time di Jaume Balagueró
C’è una curiosa analogia diegetica tra questo film ed il contemporaneo The Resident, girato negli USA, per la Hammer, dal finlandese Antti Jokinen. Basta, finisce qui. Per riuscita, regia, tensione, recitazione (Luis Tosar ormai è una presenza necessaria del cinema spagnolo ed in particolare del thriller e del poliziesco), tra le due pellicole c’è un abisso.
5 – Che Dio ci perdoni di Rodrigo Sorogoyen
Premiato col Goya, meritatissimo, a Roberto Álamo, Che Dio ci perdoni, terza regia di Sorogoyen, per quanto mostri debiti con Fincher e con il Campanella di Il segreto dei suoi occhi (quel pianosequenza in cui la mdp scavalca il balcone rimanendo sospesa in aria e poi precipitando giù insieme coll’assassino), si ritaglia uno spazio tutto suo, soprattutto nel disegno psicologico dei due protagonisti e nel riuscito equilibrio tra profondità dei personaggi (compreso il serial killer) e tensione, sempre altissima.
6 – Contratiempo di Oriol Paulo
Hitchcock (letteralmente con quell’auto gettata nella palude), Bryan Singer, l’Anthony Shaffer di Gli insospettabili, l’enigma della camera chiusa. Troppa carne al fuoco? Forse, ma Oriol Paulo mostra una certa sicurezza nel tenere avvinto lo spettatore, nonostante alcuni passaggi narrativi, razionalmente, risultino un po’ implausibili. Su Netflix.
7 – No habrá paz para los malvados di Enrique Urbizu
Un cattivo tenente e la sua discesa all’inferno. Urbizu sceglie un registro, però, che fa pensare a Melville, a Joseph H. Lewis, a Michael Mann e un po’ alla casualità dell’Ulmer di U-Turn (in fondo tutto ha inizio da una rissa accidentale) più che alla parabola cristologica messa in scena da Abel Ferrara. Anche questo film è stato premiato col Goya nel 2012.
8 – Secuestro di Mar Targarona
Nel 1998 Oriol Paulo esordì alla sceneggiatura e alla regia con un mediometraggio dall’inequivocabile titolo McGuffin. Che la sua ispirazione sia costantemente hitchcockiana lo dimostrano le sue regie e i suoi copioni, anche quelli diretti da altri. Con gli occhi dell’assassino è uno di questi, così come Secuestro diretto da Mar Targarona, più nota come producer (di Con gli occhi dell’assassino, Paranormal Xperience 3D, The Orphanage). Se qualcosa si può rimproverare a Paulo è l’accumulo di situazioni. C’è il mcguffin, c’è l’heist movie, c’è la detection. La Targarona, però, riesce a dirigere in modo equilibrato, tirandone fuori quasi due ore di intrattenimento sicuro.
9 – Plan de fuga di Iñaki Dorronsoro
Plan de Fuga non è riuscitissimo, ma pecca di generosità: nei temi (il passato che incombe, l’amicizia virile, la doppia vita dell’infiltrato, la criminalità organizzata che si ricicla nelle imprese legali) e nei generi di riferimento (l’heist movie, il poliziesco). con tutti i suoi difetti reca comunque testimonianza (come il coevo, e ancora più impacciato, Box 314: La rapina di Valencia di Daniel Calparsoro) di un’industria vitale e di un filone cinematografico che non si sta esaurendo. Lo trovate su Netflix.
10 – Toro di Kike Maíllo
Kike Maillo è noto anche in Italia per il suo debutto registico del 2011, il fantascientifico Eva, che gli valse il Goya come miglior regista esordiente. Toro è un gangster movie con accenti malinconici alla francese e quell’ineluttabilità che se, da un lato, è scontata, dall’altro è anche piacevole ritrovare perché, in fondo, l’appartenenza ad un genere significa far sentire lo spettatore a casa. L’elemento eccentrico, volendo, è il personaggio del boss Romano che presenta i crismi del serial killer con un’ossessione per gli occhi. Nei due ruoli principali troviamo due volti ricorrenti del cinema spagnolo: Mario Casas e l’iperattivo Luis Tosar.