Suburra non è Gomorra

suburra non e gomorra

La premessa è che il cinema italiano ha bisogno oggi di Stefano Sollima perché siamo orfani di chi sia in grado di maneggiare un genere, come il noir/polizi(ott)esco, con tanta perizia ed attenzione allo spettacolo. Detto questo, tuttavia, all’uscita dalla sala, non siamo riusciti a liberarci dalla sensazione di esserci trovati di fronte ad un’occasione persa (sensazione, ahinoi, provata anche di fronte ad A.C.A.B., il suo esordio al cinema, e ricorrente ogni qual volta registi, dimostratisi in grado di reggere la dura sfida della lunga serialità di qualità in Italia – lo stesso vale per Ciarrapico, TorreVendruscolo ed il loro Ogni maledetto Natale -, si confrontano con le misure più grandi, dello schermo, ma più limitate, quanto a durata, dello sviluppo della storia, dei caratteri e dell’intreccio. Ed, in virtù dei pressoché unanimi consensi letti in giro sulla seconda regia cinematografica del figlio di Sergio Sollima (scomparso da poco ed al quale il film è dedicato), proveremo a spiegare questa sensazione (vi assicuriamo spiacevole perché avevamo voglia anche noi di gridare al capolavoro) rimodulando in tre contestualizzazioni diverse la frase con cui abbiamo intitolato questo articolo: “Suburra non è Gomorra“.

1 –Suburra (libro) non è Gomorra (libro)

Perché l’ormai seminale best seller di Roberto Saviano appartiene alla non-fiction mentre quello di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, per quanto ispirato a fatti reali, è romanzo puro. Anzi, azzarderemmo che, come esiste un Grande Romanzo Americano, l’ambizione di De Cataldo, sia con Romanzo criminale che con Suburra, potrebbe essere quella di gettare le basi di un Grande Romanzo Italiano. Nonostante Saviano ci tenga alla sua prosa (che non è fenomenale), è ormai certo che Gomorra (polemiche e cause di plagio a parte) valga più per quel che racconta che per come lo racconti, mentre Suburra è un romanzo ben scritto, da quattro mani, che racconta sì di una Roma che poi sarebbe diventata quella di “mafia capitale” e quindi di una città fortemente vicina a quella che oggi viene raccontata dalla cronaca, ma mai perdendo di vista la potenza della narrazione, della descrizione dei personaggi, dei meccanismi della suspense e quindi dell’intrattenimento. Si sa che Sollima è intervenuto anche sull’adattamento (degli autori del libro e della premiata ditta RulliPetraglia) operando tagli non così ovvi quanto si potrebbe pensare. Perché, se è vero che il passaggio dalla pagina scritta ai 24 fotogrammi al secondo comporta sempre un sacrificio della prima, cancellare dalla sceneggiatura i personaggi del colonnello Marco Malatesta, di Brandolin, di Alice Savelli e del PM Michelangelo De Candia, ovvero i buoni, è scelta radicale dettata da un obiettivo preciso (raccontare il male senza lo scontro col bene) e non da un’esigenza di condensare in due ore un intreccio più lungo. Scelta che, a noi sembra, meno nichilista di quanto la si dipinga perché uno Stato (come istituzione e come società civile) assente (fuori campo) è pur sempre meno inquietante di uno Stato connivente (il maresciallo RapisardaTerenzi o il PM Setola del racconto) ed, in fondo, la morale del film (addirittura rassicurante) pare quasi essere “il male, anche quello radicato nelle istituzioni, si annulla da solo”. Lo stesso chiudere la vicenda tra due apparizioni del Pontefice dimissionario, a mo’ di parentesi, ci è sembrata soluzione (inesistente nel libro) stonata, quasi a voler limitare il coinvolgimento del Vaticano (che ci sia lo zampino di RaiCinema che cofinanzia?) alla comparsata, per motivi di coproduzione francese, di Jean-Hughes Anglade nelle vesti di una sorta di Marcinkus degli anni ’10 del XXI secolo.

2 – Suburra (film) non è Gomorra (film)

Perché l’autore (ché di autore stiamo parlando) Garrone, nello scegliere radicalmente di sottrarre l’epica ad una storia di criminalità (abolendo del tutto la colonna sonora musicale extradiegetica, ad esempio, o sporcando volutamente l’immagin/ario del genere gangster con inquadrature sovraesposte, ambienti sciatti, riprese a spalla) ha finito col costruire, da esteta qual è, un’epica dell’immaginario di cui anche Sollima pare tener conto nella scena del Centro massaggi. Quest’ultimo, invece, che è artigiano nel senso nobile del termine (ma non autore), punta alla mitopoiesi, all’enfasi dell’epos (il countdown verso l’Apocalisse, la pioggia costante, una musica fin troppo invadente e non così a fuoco rispetto alle immagini), ma in questo fallisce perché non lascia il segno. Anche la celebratissima scena della sparatoria nel centro commerciale, girata davvero molto bene, non ha, tuttavia, la stessa forza iconica  non diciamo di una scena quale quella di MarcoPisellino che sparano in riva al lago, ma anche di un’analoga sequenza presente nel film Mani sporche sulla città (Busting in originale) diretto, nel 1973, dall’ottimo mestierante Peter Hyams e che potete vedere sotto.

3 – Suburra (film) non è Gomorra (la serie)

Ma neanche Romanzo criminale – La serie. E qui entra in gioco, forse, il limite di Sollima che, per riuscire ad incidere sull’immaginario, ha bisogno dell’ampio respiro che concede la lunga serialità. Nessuno dei personaggi di Suburra resta impresso come il Libanese, il Dandy, il FreddoCiro l’immortaleSalvatore ConteSavastano. Lo scarto maggiore, tra libro e film, è nel personaggio del Samurai di cui emerge, tra le righe del racconto scritto, il carisma e l’enorme ascendente che esercita sugli altri (un tempo anche su Marco Malatesta che, in fondo, si ribella a lui, padre/mentore, arruolandosi e passando dall’altro lato della barricata con tanto di “epico”, qui sì, scontro finale) mentre sul grande schermo, per indicazioni date a Claudio Amendola ed ai costumisti, il Samurai sembra un impiegato in pensione di cui si fa fatica ad avere paura. Nel libro è invisibile perché è un ninja, nel film è invisibile perché è ordinario. Anche in questo caso si tratta di una scelta, legittima, ma che, per noi, non paga in termini di formazione dell’immaginario. Intendiamoci: gli attori sono tutti bravi e ci rinfranca l’idea che anche in Italia ci possano essere volti granitici come possono essere quelli di un Tommy Lee JonesScott Glenn, ma i personaggi sono abbozzati. L’unico che viene fuori un po’ meglio è quello, parzialmente inventato (perché nel romanzo ha una storia diversa, e più marginale di quanto lo sia sul grande schermo), di Sebastiano interpretato da Elio Germano. Tuttavia, pure nel suo caso, l’Apocalisse finale finisce coll’essere una faccenda di vendetta privata (come lo è la diffusione nel cloud di foto compromettenti di Malgradi e l’occhio per occhio della Morgana romanzesca che diventa Viola nella pellicola). Non ci resta che attendere Suburra – La serie.

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