In Sole, di Carlo Sironi, Ermanno trascorre le sue giornate a giocare alle slot machine e tenta di guadagnare con piccoli furti. È solo e senza alcuna direzione. Lena è una sua coetanea di origine polacca, è incinta ed è intenzionata a vendere il suo bambino. Gli acquirenti sono lo zio di Ermanno e sua moglie, entrambi sterili: sono stati loro a convincerlo a riconoscere la bambina e a concedere poi l’affidamento.
Poteva essere la solita storia di giovani di periferia, che si barcamenano tra furti e forme di dipendenze (in questo caso, il gioco), senza alcuna prospettiva futura né un punto di riferimento familiare, come se ne vedono tante negli ultimi tempi. Nel primo lungometraggio del trentasettenne Carlo Sironi, però, c’è altro: l’intenzione di descrivere, attraverso il linguaggio, i personaggi e le ambientazioni, i tratti tipici dei quartieri suburbani è evidente; il nucleo della storia, però, sono i due giovani, orfani e smarriti, che non avvertono un senso di appartenenza al mondo e che scoprono insieme l’importanza di prendersi cura di qualcuno. Sono entrambi estranei alle forme di affetto: è proprio quando nasce Sole che scoprono l’importanza dei piccoli gesti quotidiani, di come venga spontaneo affezionarsi, diventare apprensivi e responsabili, di come si possa trovare un modo di redimersi e un’alternativa ad una vita priva di valori e sostanza. Ermanno inizia a guardare il mondo, non si era mai reso conto che esistesse qualcosa attorno a lui, come se non gli fosse permesso di apprezzare e godere della bellezza. Lena, invece, si è ritenuta fin troppo cinica rispetto a quello che è in realtà: ha pensato di poter vendere suo figlio mantenendo lucidità e fermezza. In loro nasce un legittimo desiderio di rivincita: l’ipotesi di una relazione, di una paternità -seppure non biologica- e di una maternità rifiutata perché ritenuta non meritevole.
Sironi affronta con estremo pudore una tematica così delicata che è stata già raccontata al cinema, ma decide di presentarla in una maniera nuova: descrivendo con accuratezza la sensazione di claustrofobia, il senso di disorientamento e di disagio dovuto alla mancanza di radici.
Le inquadrature dei protagonisti delineati contro lo sfondo possono risultare a lungo andare un po’ pedanti e ripetitive, ma il potenziale c’è: Sole è un film in cui ci sono molti silenzi in attesa di essere riempiti. Al vuoto che caratterizza la vita di Ermanno e Lena segue la pienezza della vita che potrebbe essere. Il cinismo allora assume un’altra connotazione: più che apatia, è attesa e speranza; più che cupezza, è malinconia e pudore. Sironi ha incentrato la sua opera sui personaggi, prediligendo un cinema mesto e rigoroso. Il contesto è profondamente realistico e i drammi dei protagonisti sono sviscerati a fondo. In Sole Carlo Sironi racconta (dimostrando di voler puntare in alto, verso modelli ambiziosi) un incontro fra due solitudini senza eccedere, mantenendo un tono formale ed equilibrato. La fiducia, realistica non banalmente semplicistica, che un destino diverso per Ermanno e Lena possa esserci, si avverte ed è incoraggiante.