Giornata faticosa il 9 ottobre per Ugo Gregoretti. Ed anche per noi. Per me un po’ di più, essendo in piedi dalle 6,00 per motivi familiari (figlie piccole che si svegliano!), ma ho 40 anni in meno del maestro e di cosa mi lamento? Alle 13,00 consegna della targa a Palazzo S.Giacomo alla presenza del Sindaco, di 4 assessori, di numerosi ammiratori, amici ed ex compagni di lavoro di Gregoretti, nonché dei giornalisti e dei cameraman di 9 televisioni, tutti disposti a rinunciare alla conferenza stampa di presentazione del Prologo del Festival Teatro Italia, in programma alla stazione marittima, per rendere omaggio ad un maestro del cinema e soprattutto della televisone italiani.
Nel pomeriggio, dopo la proiezione del documentario di Luigi Barletta, Il favoloso mondo di G., ha avuto inizio l’ultimo appuntamento del secondo ciclo de I film della mia vita e ancora una volta una folla di appassionati ha occupato ogni centimetro della sala video del Palazzo delle arti di Napoli, restando anche in piedi pur di assistere alla serata.
Un bilancio estremamente positivo se si tiene conto che in quattro appuntamenti, l’inziativa della Mediateca S.Sofia del Comune di Napoli e della Scuola di Cinema e Televisione Pigrecoemme ha portato al PAN un numero di visitatori pari a quello che la struttura riesce ad attirare, con la sua normale programmazione, in due mesi.
Ugo Gregoretti si è confermato l’affabulatore di sempre ed ha letteralmente inchiodato alle poltrone il pubblico con i suoi aneddoti legati ai ricordi della sua prima volta al Lido di Venezia, per la proiezione in Arena de Il tesoro della Sierra Madre e della seconda, come giornalista Rai, per la proiezione di Ordet (con una gustosa appendice al cospetto di Ettore Bernabei, mogul della rete pubblica di allora, che gli mostrò la classifica degli indici di gradimento dove il suo televisivo Il circolo Picwick figurava al penultimo posto appena prima proprio di Ordet, sentendosi rispondere che forse l’aveva letto al contrario) fino alla visita sul set di Una giornata particolare del quale ha rivelato il trucco del lungo piano-sequenza iniziale che dal cortile di un condominio entra attraverso la finestra in casa della Loren proseguendo, senza stacchi, lungo le stanze.
Alla fine, da buon conduttore della serata, mi sono appropriato della chiusura rendendo omaggio al maestro mostrando alcuni estratti de Le uova fatali, sceneggiato Tv del ’77 da lui diretto, a confronto con il noto corto Steps di Zbig Rybczynski: in entrambi i personaggi interagiscono con scene tratte da capolvaori del formalismo russo, solo che Gregoretti ci aveva pensato dieci anni prima e lo aveva proposto in una produzione per la Tv di Stato. Un omaggio a lui ed alla mia infanzia di teledipendente, nell’eventualità che nessuno dovesse mai pensare di invitarmi ad un ciclo di I film della mia vita. Io, però, in silenzio, ci spero: mi divertirei davvero parecchio! 🙂
Mi ha divertito il tuo ricordo de “le uova fatali”.
Forse siamo quasi coetanei.
Anche io ricordo il “making of” trasmesso solo per tranqulizzare i telespettatori e la lega protezione animali circa le sorti di alcuni polli che gregoretti preciso’ essere stati uccisi dal beccaio e non dalla rai..
Ricordo anche che le uova fatali mi spavento’ almeno quanto belfagor.
Buon lavoro.
Io anche (sono del 1974) rimasi spaventato a morte quando, da piccolissimo, vidi “le uova fatali”. Non dormii per notti e notti. L’ho rivisto solo pochi giorni fa e, con meraviglia, ho scoperto che lo stile con cui è girato è, in fondo, quello della commedia.
P.S. Fringe, grazie di essere passato 😉
prego…
dove e come l’avrai (ri) visto?
Mediateca Santa Sofia Has It.
E, a meno che non sia stato replicato qualche anno dopo, lo vidi in TV nel ’77. Ero già teledipendente allora 🙂
Grande successo ieri al PAN di Napoli per la serata conclusiva della rassegna “I film della mia vita” in compagnia di Ugo Gregoretti. Questi quattro incontri hanno avuto una costante secondo me: “l’enorme interesse del pubblico” (me compreso). Ogni serata è stata seguita da una platea attenta e per tutta la durata quasi in religioso silenzio, vivendo questo evento come un fatto innovativo, almeno per Napoli. La cultura attraverso il cinema come fonte di conoscenza… è stata proposta questa volta in maniera intelligente, i suggestivi momenti che sono scaturiti dai racconti e dalle esperienze degli “addetti ai lavori” invitati, hanno fatto da stupenda cornice alla visione dei vari stralci dei loro film prescelti. Una bella idea che ha riscosso nei fatti un meritato successo… Una stretta di mano anche ai conduttori che sono stati molto bravi nel presentare e gestire gli ospiti con discrezione e professionalità. Il muro dell’indifferenza si può abbattere quando l’impegno e la passione sono tali da permetterci di raggiungere risultati del genere…(anche con molta fatica… me ne rendo conto). Mi auguro che sulla scia di questo importante risultato la cultura cinematografica abbia una quotidianità nella nostra Napoli con opportunità e spazi, penso per esempio alla Città della Scienza magari con le idee e le risorse di Pigrecoemme.
Grazie a tutti e alla prossima!
Cordialmente
ziogiafo
Anche io ieri ero lì, ed è stato molto interessante.
Lo rifarete?
Ciao a tutti.
Un aneddoto ce l’ho pure io. Appena prima dell’incontro col pubblico del Pan, gli amici della Mediateca,insieme alla nuova direttrice artistica di Palazzo delle arti, la tedesca Julia Draganovic, e alla dirigente Marina Vergiani, mi chiedono di accompagnare Gregoretti in una breve visita alla mostra in atto al Pan, Bellezza pericolosa. Ennesima esposizione in franchising, come amo dire, nata vecchia e portata a Napoli già in agonia (e poi finita a randellate dai pochi innesti nuovi rispetto al pacchetto chiuso: un paio di cose, per esempio, scontate e debolissime di Anna Fusco che era meglio lasciare nell’iperuranio dei lavoretti da saggio finale di Educazione tecnica di terza media, quelli solo immaginati, sia chiaro, perché, pure lì, ti fermeresti un attimo e, dall’alto dei tuoi bei dodici anni, ti saresti detto: va’ be’, l’ho pensata, ma ora che la faccio a fare ‘sta scemata?) e che sciorina senza talento e ancor meno ironia il solito temino su quanto è mistificatoria e perigliosa l’idea di bellezza ai tempi del consumismo massmediologico. La banalità da dove si muove da anni Oliviero Toscani per intenderci. Ma con ben altra forza di comunicazione. Qualche eccezione c’è. Come due bellissimi busti in cera dell’artista newyorchese Beth Bee ( http://www.bethbee.com ). Così chiedo a Ludovica Muscettola del Pan, che con garbo e competenza ci accompagna fino in fondo nel percorso espositivo, se possiamo accompagnarvi Gregoretti saltando i soliti video da dilettanti disseminati qui e lì per ogni mostra e una ridicola animazione in 3d. Prima, però – e, abbiate pazienza, eccolo l’aneddoto – Gregoretti viene accompagnato davanti alla solita necrofila installazione della solita mortifera e ultranoiosa Orlan (probabilmente l’artista che, a dispetto delle apparenze, ha le tracce più basse di ironia di ogni tempo): la solita sequenza di foto tessere prima, dopo e durante le operazioni di bruttezza, innesti ossei e morphing digitali dove si osa l’orrorifica crasi di dissolvenze con il leggiadro
Botticelli.
Siamo tutti intorno a Gregoretti come uno stuolo di assistenti à la dottor Guido Tersilli medico della mutua, quando il silenzio della contemplazione è rotto da una voce che osa: “Le piace Orlan, maestro?” Come fosse Chopin. La tentazione di rispondere con la perplessità di un altro Alberto Sordi, quello sordo ai richiami delle mirabilia del ceontemporaneo è
forte, ma Gregoretti – perfettamente compìto nel suo perfetto blazer blu a quadri ampi e una delle sue duecento cravatte di un tocco di rosso ruggine e losanghe bianche, trattiene il commento e rotea gli occhi, leggermente all’insù. Nel gesto di chi, non dicendo, dice tutto.
Intanto, come l’Ansa ha ripreso e come lo stesso Gegoretti aveva prima dichiarato ad Alessandro Chetta del “Corriere del Mezzogiorno” e poi ripetuto in sala Giunta davanti al sindaco, il regista romano, in risposta al “notevole e necessario lavoro di investigazione di Saviano” (sono parole sue), vorrebbe girare un documentario su Napoli, ma, “seppure in
maniera faziosa”, solo sulle cose belle e buone della città. Utopia? Un’operazione gratuita? Peggio, Pericolosa? O necessaria?
E voi che cosa ne pensate?
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