Di cosa parliamo quando parliamo di cinema scandinavo? Fino a qualche anno fa solo e unicamente di cinema d’autore. Victor Sjöström, Carl Theodor Dreyer, Ingmar Bergman, Lars Von Trier (che un po’ exploitation, a volte, lo è: Antichrist, The Kingdom). Anche Bille August e Lasse Hallström, in un modo molto calligrafico, rappresentano il cinema d’essai, sia pur quello deteriore, da cineclub per anziane giocatrici di burraco. Di recente, grazie al Leone d’oro a Venezia 2014 per il suo Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, abbiamo scoperto Roy Andersson ed ora la RHV distribuisce il dittico I Am Curious, Blue & Yellow di Vilgot Sjöman. Poi è esploso il nordic noir letterario che ha generato il boom di un nordic noir audiovisivo, cinematografico e televisivo (Millennium, The Killing, Wallander, In ordine di sparizione) il quale si attesta su una medietà professionalmente ineccepibile (ne avessimo in Italia di simili prodotti medi). E si farebbe torto alla enorme qualità del film se si liquidasse Lasciami entrare di Tomas Alfredson come exploitation. In passato qualche sporadica distribuzione in sala di pellicole “eccessive” (Il guardiano di notte di Ole Bornedal, Drowning ghost – Oscure presenze di Mikael Håfström) non ha certo fatto gridare al fenomeno. Ora il fenomeno c’è, anche se in Italia fingiamo di non accorgercene. Il caso Kung Fury dello svedese David Sandberg è figlio di un gusto per l’eccesso, per lo splatter, per le visioni da drive in e da videonoleggi che conta molti aedi in Scandinavia nell’ultimo decennio. Nella maggior parte dei casi siamo in piena zona Grindhouse (un’exploitation omaggiata, parodiata, postmodernamente ricalcata), ma più dalla parte del superficiale Robert Rodriguez che dell’auteur Quentin Tarantino (al quale può essere accostato, per caratura autoriale, Nicolas Winding Refn), tuttavia, in quanto fenomeno, secondo noi, va indagato. Dall’analisi si ricava che i due paesi che più hanno dato alla Settima Arte, quasi per pudore, non riescono ad avere una produzione “bassa” altrettanto forte (la Danimarca è del tutto assente dalla playlist), mentre a farla da padrona è la Norvegia. L’Islanda non ha, in generale, una produzione così ricca, ma il suo regista di punta, Baltasar Kormákur, è ormai un action director hollywoodiano che, addirittura, aprirà, il 2 settembre prossimo, il Festival di Venezia con il blockbuster, catastrofico e all stars come se ne facevano un tempo, Everest.
1 – Død snø/Dead Snow di Tommy Wirkola
Schema slasher di partenza ovvero gruppo di ragazzi in vacanza, per fare sesso e…sesso, viene decimato da una minaccia inaspettata. Solo che qui si tratta di zombi nazisti che neanche sono una novità (basti pensare alle “Walking SS Dead” di L’occhio del triangolo), però in una pellicola norvegese hanno un senso particolare (l’ossessione scandinava per il peccato di collaborazionismo viene fuori anche in Uomini che odiano le donne). Wirkola fa un po’ di caciara, però la partecipazione al Sundance gli fa guadagnare un pass per Hollywood dove, gli va riconosciuto, non perde punto il gusto exploitation e realizza un improbabile (e poco divertente) Hansel & Gretel cacciatori di streghe. Nel 2014 ha diretto Dead Snow 2 (con Martin Starr direttamente dalla serie Silicon Valley) mostrando maggior padronanza del mezzo.
2 – Iron Sky di Timo Vuorensola
Dicevamo dell’ossessione scandinava per il nazismo (in Kung Fury c’è un Hitler redivivo ed esperto di arti marziali: Kung Führer). In Iron Sky del finlandese Timo Vuorensola i nazisti si sono rifugiati sul lato oscuro della luna e…Tornano! Realizzato anche con capitali tedeschi ed australiani, Iron Sky ha avuto addirittura l’onore della vetrina a Berlino 2012 nella sezione Panorama. Alcune trovate sono riuscite (The Great Dictator rimontato ed utilizzato come filmato di propaganda per la gioventù nazista), ma in generale l’umorismo, teutonico, è di grana grossa e la Presidentessa Usa à la Sarah Palin è una caricatura da Bagaglino. Niente, tuttavia, può superare l’orrido sottotitolo italiano Saranno Nazi vostri. Attualmente è in corso il crowfunding per il sequel Iron Sky – The Coming Race.
3 – Snabba Cash/Easy Money di Daniel Espinosa
Snabba Cash è exploitation perché insegue un modello, la trilogia Pusher di Winding Refn (anche questo ha due sequel), ma restando solo alla superficie (droga, sparatorie, fughe). È bastato per aprire le porte di Hollywood al regista (ha diretto Safe House con Denzel Washington e Child 44 con Tom Hardy e Gary Oldman), ma soprattutto al Joel Kinnaman affermatosi con The Killing, remake made in Usa della serie svedese Forbrydelsen.
4 – Kommandør Treholt & Ninjatroppen/Norwegian Ninja di Thomas Cappelen Malling
L’exploitation più delirante, comunque, resta quella norvegese. Qui prendono una figura storica controversa come quella di Arne Treholt, politico condannato nel 1984 a 20 anni di prigione per spionaggio a favore dei Sovietici durante la guerra fredda (ne ha scontati solo 8 prima di essere perdonato dal governo) e gli imbastiscono intorno un’apologia cinematografica (i cattivi sono quelli che compiono stragi in giro per il mondo – Italia compresa – addossandone la colpa al terrorismo rosso per alimentare la paura per il comunismo) a base di Feng Shui, addestramento ninja, scambi di persona (quello arrestato non sarebbe il vero Treholt) e ricostruzioni pacchiane con modellini in scala che fanno sembrare il film un episodio sotto acido dei Thunderbirds.
5 – Trolljegeren/Trollhunter di André Øvredal
L’espediente del mockumentary ha mostrato la corda già da un po’, ma l’intelligenza di questa operazione (da poco distribuita in DVD anche in Italia) sta tutta nel fatto di prendere spunto da miti e leggende nordiche: i troll, appunto. Senza inseguire licantropi, vampiri, zombi ed altri immaginari. Certo, l’espediente fa sì anche che, tra un’apparizione e l’altra dei Troll, prevalga la noia, ma il personaggio di Hans, una sorta di Van Helsing addetto (addirittura dal governo, che sa, ma mette a tacere per non scoraggiare il turismo) alla caccia di queste creature appartenenti alla mitologia norrena, è di quelli che resta.
https://www.youtube.com/watch?v=TLEo7H9tqSM
6 – Skjult/Hidden di Pål Øie
Se qualcuno ci rimproverasse l’inserimento di questo titolo nella playlist, forse non avrebbe tutti i torti. Perché Skjult è un horror di qualità. Siamo, per intenderci, dalle parti di The Babadook, per parlare di un titolo recente, mentre nell’albergo si respira aria del dimenticato Hotel di Jessica Hausner. Nei momenti più forti, comunque, Pål Øie non lesina in effettacci splatter (il palo di legno conficcato in un occhio del malcapitato) e tradisce un certo mood argentiano (le apparizioni della bambola)
7 – Fritt Vilt/Cold Prey di Roar Uthaug
Slasher puro, senza contaminazioni, Fritt Vilt ha il suo referente principale (ai limiti del plagio) in Halloween (ed il sequel si svolge in un ospedale come Halloween II, mentre il terzo capitolo è un prequel) con la scream queen Ingrid Bolsø Berdal che si trasforma in eroina alla Sigourney Weaver/Ellen Ripley ed un villain/baubau armato di piccone.
8 – Mýrin/Jar City di Baltasar Kormákur
Dove non ci sono i nazisti esplicitamente, c’è l’eugenetica come ossessione di rincalzo. Per chi lo ricorda, era alla base del bestseller anni ’90 Il senso di Smilla per la neve del danese Peter Høeg e della anodina pellicola che ne fu tratta per la regia di Bille August, e lo è del racconto omonimo di Arnaldur Indriðason di cui questo film è la trasposizione per il grande schermo. Kormàkur si sforza di approfondire psicologicamente, ma non ci riesce. Due anni dopo recita da protagonista in Reykjavík Rotterdam di
Óskar Jónasson di cui poi dirige il remake americano prodotto ed interpretato da Mark Whalberg (Contraband), che rappresenta il suo pass per Hollywood.
9 – Blood Runs Cold di Sonny Laguna
Quasi un plagio di Fritt Vilt con una premessa che fa pensare a Non violentate Jennifer. La sciagurata factory responsabile di questa pellicola exploitation pura (c’è sangue, un po’ di sesso e poco più se non si tiene conto della sciatteria) si fa chiamare Stockholm Syndrome ed è formata da tre giovanotti. Il regista ha un nome (vero o d’arte che sia) che suona come ulteriore complemento exploitation: Sonny Laguna.
10 – Rare Export: A Christmas Tale di Jalmari Helander
Un colpo basso alla mitologia nordica di Babbo Natale. Un po’ come nell’olandese Sint di Dick Maas, qui Santa Claus è un demone ed i vecchi col costume rosso gli elfi. Jalmari Helander orchestra (partendo da due suoi corti precedenti: Rare Exports Inc. del 2003 e The Official Rare Exports Inc. Safety Instructions del 2005) un plot che guarda allo Spielberg cupo, produttore dei Gremlins, dei Goonies e di Poltergeist. Il piccolo Onni Tommila è tornato protagonista, stavolta al fianco di Samuel L. Jackson, nel nuovo film di Helander, Big Game prodotto dalla Europa Corp di Luc Besson.
https://www.youtube.com/watch?v=2pH9IyqTk1E