Napoli Film Festival 2015 Day 3: Giancarlo Siani e Fortapàsc

Fortapasc

Verità e non verosimiglianza.

Nell’incontro di ieri al Metropolitan “Ricordando Giancarlo Siani” Marco Risi, Andrea Purgatori e Libero De Rienzo, rispettivamente regista, sceneggiatore e protagonista del film Fortapàsc, a trent’anni dalla sua morte hanno reso omaggio al giornalista ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985 a ventisei anni, con una breve intervista di Federico Monga, vicedirettore de Il Mattino, che ha anticipato la proiezione. La sottile linea di demarcazione tra verità e verosimiglianza, evidenziata da Libero De Rienzo, incarna il cuore pulsante della pellicola e della vita del giornalista partenopeo: il coraggio, la forza, l’anima di essere un giornalista “giornalista”, che si scrolla di dosso la comoda veste del giornalista “impiegato” per scegliere e raccontare la verità.

Agli altri e in primo luogo a se stesso. Andrea Purgatori, sceneggiatore insieme a Jim Carrington, ha posto l’accento più volte proprio sul tentativo di dare un’anima al film, un senso al lavoro che Giancarlo Siani cercava di fare, perché il suo obiettivo era esattamente questo. Fare bene il proprio mestiere, con la semplicità innocente di chi non desidera assurgere a guida esemplare, a eroe scolpito in parole fatte di carta, ma si propone di raccontare ciò che l’occhio vede con chiarezza, e l’anima fatica a serbare. Riconoscendo, conoscendo di nuovo con un’immagine, una parola, un titolo a caratteri cubitali, attraverso qualcosa che si depositi lì sul fondo e si accumuli, fino a diventare un mucchio polveroso che non possiamo più evitare. Perché osservandolo una seconda volta, sentiamo che ci appartiene già.

Fortapàsc è un termine riformulato da Risi a indicare il Fort Apache della tradizione western, simbolo del presidio dell’esercito americano su una collina della riserva indiana più famosa degli Stati Uniti, quella degli Apache.

Un presidio, un abuso, non a caso il film prende spunto dal libro L’abusivo di Antonio Franchini, che racconta due diverse forme di abusivismo: quello di Siani, giornalista “abusivo” presso Il Mattino di Napoli e quello della camorra, che fa abuso di ogni angolo del territorio, di ogni coscienza, di ogni stanza del potere, appropriandosene indebitamente. E il racconto di Risi è crudo e violento proprio come un abuso, desolante come la spiaggia della scena finale, con un cumulo di detriti che nessuno ha intenzione di rimuovere.

Nessuno, eccetto chi di quel mucchio polveroso fatto di parole e immagini, non vuole o non può più liberarsi.

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