Siamo sempre orgogliosi di pubblicare un’analisi di un/una partecipante al corso di Analisi e Critica. Francesca Eboli ha analizzato uno dei film meno famosi di Howard Hawks e lo ha fatto in modo preciso e puntuale. Buona lettura.
Some men are good at hunting quail
Some like to sail
While others like to box
[…] Developing physique
Some climb a mountain peak
But let a girl appear
He’ll pursue her
And run his fingers through her curls
And that’s the way it’s been
Since the world began
The fav’rite sport of man si girls!
Il titolo della pellicola – che allude all’instancabile tensione maschile verso la più succulenta delle prede, ovvero la donna – risuona nella melodia iniziale di Johnny Mercer a marcare l’ineludibile sudditanza emotiva dell’uomo e l’inibizione sessuale verso la donna, che con la sua arguzia ed avvenenza sa vanificare persino l’autorità virile del fisico più scolpito dalla disciplina sportiva. Lo sport preferito dall’uomo (1964) di Howard Hawks ribalta gli ancestrali antagonismi tra i sessi attraverso una trama audace, dalla modernità sconcertante: smonta la narrativa classica del macho dall’agilità atletica sopraffina – trasfigurata invece in goffa inettitudine – per lasciare pieno schermo alle silhouette di procaci donne dalle gambe tornite e le curve generose, colte nello sforzo fisico degli sport più spericolati, invece che nelle provocatorie pose da cliché. Già dai primi secondi della pellicola, infatti, il regista realizza un’ambiziosa operazione di riscrittura estetico-politica: la deliziosa sigla iniziale è tutto un susseguirsi di chiome bionde laccate e schiene inarcate su fiammanti motociclette, morbide curve in bikini sospese a mezz’aria in contorsioni acrobatiche e sagome longilinee fasciate da aderenti tute da climbing, manifesto di una femminilità inedita, trasgressiva, dalla sensualità mascolina, ma non per questo meno eloquente.
Immagini, queste, che riecheggiano, per affinità visiva, i patinati poster delle sensuali pin-up, sex-symbol dagli ammiccamenti fanciulleschi e dagli abiti succinti, che hanno nutrito l’universo erotico americano tra le due guerre. Queste icone senza tempo hanno profanato l’inarrivabile olimpo dei divi hollywoodiani forgiando un canone di bellezza desacralizzato, rivoluzionario, mainstream, antesignano della coscienza femminile contemporanea. Ma, più di tutto, hanno il merito di aver alimentato un discorso tanto contraddittorio quanto sovversivo: seppur attraverso l’erotizzazione del corpo – esplicitamente ridotto a oggetto del desiderio – mostrano la consapevolezza femminile delle proprie potenzialità seduttive e liberano i ruoli di genere dalla rigidità di luoghi comuni svilenti, abbracciando un mindset in linea con il radicalismo femminista da suffragette.
Hawks si sintonizza sulla stessa frequenza comunicativa dell’immaginario pin-up, tratteggiando una cinica “cacciatrice di uomini” – impersonata nel film dalla vulcanica Abigail Page (Paula Prentiss), la versione a colori di Susan Vance – una donna factotum capace di eclissare il contraltare fisico ed emotivo maschile attraverso risolutezza ed incontenibile intraprendenza, che prende possesso dell’amore in modo sfacciato e a tratti patetico. Il malcapitato invece, perfetto alter ego dell’imbranato paleontologo/nerd David Huxley, è Roger Willoughby (Rock Hudson), stimato responsabile del reparto sportivo di un grosso emporio nonché autore di un manuale sulla pesca, best-seller che ha reso popolare la sua immagine negli Stati Uniti come pescatore per eccellenza. La vivace dialettica tra i protagonisti si innesca e si sviluppa in circostanze estremamente simili al precedente capolavoro hawksiano Susanna: si pensi alla prima interazione tra Abby e Roger – una discussione per questioni di precedenza nel parcheggio dei magazzini Abercrombie&Fitch – in parallelo allo scambio di auto nel parcheggio del campo da golf dove Susan e David si incontrano per la prima volta. A distanza di quasi 30 anni lo scenario è lo stesso: il personaggio femminile semina catastrofi con indicibile noncuranza mentre sullo sfondo l’uomo protesta indispettito e incredulo, tentando di far valere le proprie ragioni. E quando il suo capo, per motivi promozionali, decide di farlo partecipare ad una gara di pesca locale, su feroce insistenza delle due addette alle pubbliche relazioni – Abigail ed Easy – e in virtù della sua presunta competenza in materia, si ripete lo stesso spasmodico meccanismo di sgretolamento dell’autorevolezza virile e di cinica ridicolizzazione del maschio: sarà proprio la controparte femminile a sbugiardare le menzogne di Willoughby, facendo vacillare fino al crollo definitivo la fraudolenta auto-narrativa dell’uomo, fabbricata faticosamente per apparire infallibile agli occhi degli altri. Il protagonista – del tutto inesperto in questo sport, poiché ha attinto conoscenze da racconti altrui – tenta di rivelare la sua verità nei luoghi più assurdi, mentre una serie di intoppi sembrano minacciarne la segretezza e preannunciarne il futuro smascheramento: tra gli occhi indiscreti di un bar girevole – in cui la velocità di rotazione della tavola calda suggerisce metaforicamente il vortice inarrestabile da cui Roger verrà travolto e che lui cerca di contrastare affannosamente – e i ripetuti blackout in un museo di strumenti musicali d’epoca, accesi in sincronia con il volume spinto al massimo e ammutoliti puntualmente sul più bello. Esasperato dalle continue provocazioni della donna, che cerca di indurlo alla confessione con accuse infondate e compromettenti per il prestigio di cui gode – prima insinuando in modo plateale che si sia indebitato, in un ascensore affollato da uomini distinti, e poi che sia un inguaribile alcolista, incapace di tenere a bada il vizio e per questo timoroso di allontanarsi da casa per competizioni sportive – afferma:
« Senta io veramente non la capisco Miss Page, o lei non sa quello che dice oppure non le importa niente. Non voglio entrare in confidenza, anche come conoscenza superficiale lei è già un disagio. Lo sa che può rovinare la reputazione di un uomo? Lei non può credere sul serio che io abbia commesso un furto come ha fatto credere a tutta quella gente! Prima che la incontrassi la mia vita era normalissima, pacifica, ero felice, non avevo guai e anche questo accendisigari mi funzionava benissimo. Ce l’ha come abitudine quella di rovinare la vita degli uomini?»
Nel definire la donna calamità naturale e causa di ogni disastro risulta immediato il rimando alle nevrotiche dinamiche di corteggiamento tra Susan e David. Così come la ricca ereditiera, che con l’appropriarsi della pallina da golf del paleontologo irrompe a gamba tesa nella sua vita, anche Abigail si serve di una schiera di oggetti per intrappolare un uomo compromesso, sfruttando in modo subdolo la sua fallibilità, ormai emersa e “paternalisticamente” compresa dalla donna. Portacenere che sfuggono dalle mani, bacinelle che si incollano ai piedi, tende che imprigionano il corpo, sacchi a pelo con chiusure lampo difettose, tute-salvagente che si gonfiano all’inverosimile e nei momenti più inopportuni, lo fanno apparire come un manipolabile fantoccio prima e durante il torneo di pesca, sotto lo sguardo divertito delle due donne-mascotte. L’uomo hawksiano sembra così condannato ad un eterno supplizio di Tantalo: si sforza di ottenere ciò che non riesce a maneggiare con destrezza e innesca forze repulsive verso tutti gli oggetti che lo attraggono.
Il parallelo tra le due pellicole è reso ancora più realistico dall’onnipresenza del mondo animale in entrambi i film: leopardi, cani e reperti di dinosauri vengono qui rimpiazzati da pesci e orsi in motorino, costruendo gustose scene dalla comicità paradossale. E come dimenticare, inoltre, lo strappo dei vestiti seguito dalla spassosa camminata sincronizzata nella hall d’albergo – messo in scena, oltre che nelle due pellicole di Hawks, anche da George Marshall in Cominciò con un bacio – o la persuasiva sentenza pronunciata sia da Susan che da Easy su quanto « Talvolta, come dicono gli psichiatri, l’impulso amoroso, specialmente nel maschio, si rivela dapprima sotto forma di conflitto » per giustificare le continue liti tra i due protagonisti e convincere l’uomo a sviscerare i propri sentimenti. In una funambolica successione di equivoci ed eventi fortuiti, che gli costeranno malintesi e rottura della relazione con Tex – perfetta controfigura di Miss Swallow, la frigida fidanzata di David – l’impostore riuscirà a conquistare il primo posto nella gara, baciato dalla classica fortuna dei principianti. Ma di lì a poco, spinto dalla propria coscienza oltre che da Abigail, confesserà pubblicamente di aver imbrogliato e consegnerà il trofeo al secondo classificato, poiché roso dalla consapevolezza di aver usato – seppur inconsapevolmente – mezzi truffaldini. Licenziato e diviso dal travaglio interiore di un amore contrastato, Willoughby finisce per essere sradicato dal solo ambiente che gli ha procurato fama – seppur usurpata – e la sua umiliazione viene formalizzata dal moltiplicarsi delle donne – ben tre questa volta – che, in una coalizione matriarcale senza accenni di rivalità, sanciscono la rivincita sull’uomo. Così come nella pesca miracolosa che gli ha procurato una vittoria insperata, Roger diventa preda di una metaforica cattura, messa in atto dalla donna-cacciatrice nell’esercizio del suo sport preferito – nello stesso modo in cui David Huxley viene intrappolato da Susan Vance nel retino acchiappafarfalle. Per quanto inesorabilmente cedevole ai sentimenti, nella commedia hawksiana il personaggio femminile riesce a neutralizzare lo scarto tra i due sessi colmando anche il divario dell’agilità sportiva – che da sempre relega la donna ad una posizione subordinata – e acquisendo così una capacità di agency totalizzante.
Howard Hawks riesuma brillantemente la tradizione shakespeariana del girl-into-boy disguise, una tecnica narrativa sperimentale che attraversa tutta la sua immortale opera, concepita per far provare alle sue creature di finzione declinazioni emotive e paradigmi di pensiero che prescindano dalle qualità umane squisitamente femminili o maschili. L’obiettivo è quello di abbattere le barriere di genere che limitano la crescita individuale e di liberare l’umanità da etichette claustrofobiche, mettendo in scena gli esiti distruttivi delle polarizzazioni sociali. Da qui il desiderio di Juliet di esprimersi senza remore sulla complessa materia amorosa – prerogativa convenzionalmente concessa all’uomo – o la supplica di Lady Macbeth – rivolta ai murdering ministers – «to masculate herself», ossia di annientare l’umana compassione che osteggia il “bloody business” e sostituirla con la spietata risolutezza che si confà ad un vero uomo. Proprio in Macbeth infatti, la “smarginatura” delle categorie uomo/donna viene spinta alle estreme conseguenze , mettendo in crisi drammaticamente, e anticipatamente, le nozioni di genere radicate nella cultura moderna e post-moderna: la donna, tradizionalmente associata a qualità come obbedienza e affabilità, viene trasformata in una soggettività spregevole e impietosa, mentre l’uomo, da dominante e risoluto, è trasfigurato in un fantoccio, manipolato dalla sua più potente controparte femminile.
Quello di Shakespeare è dunque un sinistramente attuale incoraggiamento ad abbracciare la completezza di una mente androgina – in quanto sintesi proficua di tutta la gamma delle umane emozioni, prescindendo da qualsiasi distinzione di sesso o genere – un invito accolto dal genio di Hawks che, a distanza di secoli e sul grande schermo, ne mostra gli spettacolari, parodistici esiti in una commedia imperdibile.
Francesca Eboli