Le 10 imprescindibili soggettive della storia del cinema

La soggettiva è “l’inquadratura che mutua lo sguardo di un personaggio”. Solo per questo le altre inquadrature possono chiamarsi oggettive. In realtà anche queste tradiscono un punto di vista, quello del regista. Christian Metz, infatti, sostiene che, come in psicanalisi, anche al cinema, per lo spettatore, sia possibile individuare un’identificazione primaria (con il dispositivo ovvero con la macchina da presa) ed un’identificazione secondaria (con un personaggio). A differenza di quanto si potrebbe erroneamente pensare, però, l’identificazione dello spettatore coi personaggi non passa per la soggettiva, anzi questa, lasciando fuori campo il soggetto possessore dello sguardo, ottiene l’effetto opposto ed infatti è l’inquadratura ideale per mantenere il mistero sull’assassino, sul mostro, sul pericolo. Ecco le 10 imprescindibili soggettive della storia del cinema, quelle che, indipendentemente dalla qualità del film in cui compaiono, hanno significato qualcosa di importante nell’evoluzione di questa particolare figura retorica della settima arte.

1 – Vampyr di Carl Theodor Dreyer

E’ il 1932, il regista danese realizza un adattamento liberissimo da Carmilla di George Le Fanu e in una famosissima scena azzarda l’inazzardabile, per l’epoca: la soggettiva di un morto dall’interno di una bara o, perlomeno, fino ad un certo punto. Poi scompare il mascherino/finestrella del coperchio della bara e la soggettiva quasi diventa della bara stessa.

Vampyr
Vampyr

2 – La scala a chiocciola di Robert Siodmak

Uno dei primi serial killer della storia del cinema uccide donne menomate. Attraverso un’invenzione visiva geniale, per quanto nella resa, oggi che anche i bambini usano discretamente Photoshop, faccia sorridere, Siodmak ci mostra come l’assassino veda nella sua mente una giovane cameriera muta: con la bocca cancellata. Soggettiva mentale.

La scala a chiocciola
La scala a chiocciola

3 – Una donna nel lago di Robert Montgomery

Robert Montgomery, attore di seconda fila dello star system hollywoodiano, nel 1947 pensa di fare il botto al botteghino dirigendo un noir (genere sulla cresta dell’onda all’epoca) con protagonista il detective Philip Marlowe (creato da Raymond Chandler e già interpretato da Humphrey Bogart nel successo Il grande sonno di Howard Hawks) e girandolo interamente in soggettiva affinché il pubblico possa vedere la storia dal punto di vista dell’eroe. Ma si sbaglia di grosso. Il film è un flop, la scelta è fallimentare per motivi tecnici (le carrellate non riescono a simulare la camminata, le mani di Marlowe escono da lati dell’inquadratura improbabili) e linguistici (tutti i personaggi guardano in macchina, perché la macchina è il protagonista, e così si rompe l’illusione dello spettatore di spiare la vita di qualcuno).

Una donna nel lago
Una donna nel lago

4 – La fuga di Delmer Daves

Stesso anno di Una donna nel lago, ma tecnica decisamente migliore e, soprattutto, una motivazione consona alla natura della soggettiva: avere il possessore dello sguardo fuori campo. Qui serve, oltre ad altri espedienti, per mantenere segreta l’identità di un evaso da San Quintino che a metà film diventerà, dopo un’operazione di chirurgia facciale, Humphrey Bogart. Un capolavoro, come tutti i film del sottovalutato Delmer Daves.

la fuga
La fuga

5 – La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock

Il film teorico per antonomasia sullo spettatore cinematografico. A rivederlo oggi, Hitchcock pare quasi presagire lo spettatore televisivo che fa lo zapping tra vari generi (il melodramma, la commedia romantica, il film musicale) e si ferma, ovvio, sul giallo. Lo spettatore (James Stewart) vive la frustrazione del mancato intervento, vede un crimine, vorrebbe fare qualcosa, ma tutt’al più può suggerire al personaggio (Grace Kelly) cosa fare. Fino a non spingersi troppo oltre.

La finestra sul cortile
La finestra sul cortile

6 – 8 e 1/2 di Federico Fellini

L’incubo iniziale. In senso strettamente tecnico abbiamo una serie di soggettive (famosa quella di lui dall’alto, tenuto con una corda come se fosse un aquilone) che si affiancano a semisoggettive (il personaggio è in campo, ma noi siamo posizionati immediatamente dietro di lui e seguiamo l’asse del suo sguardo) e ad oggettive. Ma, in fondo, anche quelle in cui ci viene mostrato il protagonista, sono soggettive oniriche, il regista che vede sé stesso. E, va da sé, in quasi tutto Fellini, ma sicuramente da questo film in poi, la stessa differenza tra identificazione primaria colla m.d.p. e identificazione secondaria col personaggio finisce con l’essere meno netta, più labile.

8 e 1/2
8 e 1/2

7 – Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni

Daria va via dalla villa, ferma l’auto, scende, guarda la villa. Soggettiva: la villa esplode. Torniamo su Daria. Il suo punto di vista ora si frammenta in tante angolazioni che (ri)vedono la (ri)esplosione e poi l’esplosione emblematica di simboli del consumismo capitalistico. Torniamo su Daria ed il fragore delle esplosioni cessa improvvisamente. Ha immaginato tutto? Era anche questa una soggettiva mentale? Non lo sapremo perché il film finisce.

Zabriskie Point
Zabriskie Point

8 – Profondo Rosso di Dario Argento

La soggettiva di David Hemmings che entra nella casa del primo delitto. Vede l’assassino riflesso in uno specchio (e noi con lui), ma non ci fa caso (e noi con lui). Soggettiva, fase dello specchio e scena primaria che viene rimossa. Freud e Lacan in pochi secondi.

Profondo rosso
Profondo rosso

9 – Guy di Michael Lindsay-Hogg

Pellicola poco nota al grande pubblico, ma è quella in cui il film in soggettiva si scinde dando vita al POV movie (film in cui il punto di vista è filtrato da una videocamera e quindi dispositivo e sguardo si confondono: The Blair Witch Project, Cloverfield, REC, Paranormal Activity). Una regista sceglie un uomo qualunque per seguirlo con una videocamera (pedinarlo zavattinianamente) e raccontarne l’ordinarietà. Quando questi scomparirà, la regista e noi scopriremo che anche il demiurgo, anche il burattinaio non può resistere al carattere centrifugo dell’arte cinematografica, alla tensione continua verso il fuori campo.

Guy
Guy

10 – Strange Days di Kathryn Bigelow

La tecnica migliorata e soggettive più realistiche non possono ovviare ad una difficoltà intrinseca. Per identificarsi, lo spettatore ha bisogno di vedere il personaggio. Quest’ultimo non può rimanere fuori campo. Ed allora, metalinguisticamente, la soggettiva, nel leggendario film della Bigelow, diventa qualcosa di proibito. Una droga. Lo squid.

Strange Days
Strange Days

Fuori lista: la soggettiva della pallottola in Nikita di Luc Besson. Da quel momento anche le cose, gli oggetti, nel cinema barocco, hanno cominciato ad avere uno sguardo.

Nikita
Nikita

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