L’anima del commercial – Pubblicità e pubblicitari al cinema

’anima del commercial – Pubblicità e pubblicitari al cinema

Domenica 17 maggio 2015 è andata in onda l’ultima puntata della pluripremiata serie Mad Men, creata da Matthew Weiner per la AMC, dopo otto anni e sette stagioni. Raccontare la storia americana dagli anni ’60 al 1971 (la serie finisce con Hilltop, lo spot della Coca Cola in cui per la prima volta veniva intonato, da un gruppo di hippies – come quelli con cui Don Draper fa yoga nell’ultima scena – il brano che ancora oggi cantiamo: «I’d Like To Teach the World to Sing, In Perfect Harmony…») attraverso la vita e le carriere di un gruppo di pubblicitari, non è stata una semplice trovata (lo dimostra l’insuccesso di altre serie che hanno provato a fare lo stesso con altri contesti, tipo Pan Am), ma rivela una precisa idea di America («l’amore è stato inventato da uomini come me per vendere collant»), che lucra su tutto. Poco meno di un mese prima, in Italia, il 21 aprile, andava in onda l’ultima puntata di 1992 in cui Stefano Accorsi veste i panni di un cinico pubblicitario in forza alla berlusconiana Publitalia all’esplosione di Tangentopoli. Ed il cinema?

Il futuro prossimo di Dick/Spielberg (quello di Minority Report) presenta congegni di identificazione ottica che, oltre a violare costantemente la privacy, personalizzano, eponimicamente, il messaggio pubblicitario. “Le pubblicità ti prendono di mira […] Un manifesto ti legge gli occhi a quasi 200 metri di distanza e ti proietta suoni e immagini” 1. Ecco allora che il protagonista può sentirsi dire “John Anderton avresti bisogno di una Guinness adesso” (in fondo, è quello che ora succede sui social network dove compaiono le pubblicità in base agli interessi mostrati nella tua attività). La nota stonata è che questa presa di coscienza sulla terribile deriva dell’invasività dei commercial provenga da parte di colui che ha inaugurato, se non il product placement 2, almeno la sua mise en abîme con Jurassic Park. Dicevamo degli occhi. Non è un caso che siano gli organi scelti per innescare il “personal spot”, se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ed è a questa che, stando all’immagine dei pubblicitari tramandataci dal cinema, mirano questi mefistofelici persuasori, che siano alieni o terrestri3.

I pubblicitari

A differenza di altre professioni (avvocati e medici sono spesso oggetto di spietati ritratti, ma ci sono pur sempre quelli che mettono la deontologia al primo posto), quella del pubblicitario non è mai stata dipinta in modo positivo. Come spiegare altrimenti due titoli particolarmente espliciti (almeno nella loro traduzione italiana) quali Come far carriera senza lavorare (1967, di David Swift) e Come far carriera…molto disonestamente (1990, di Jan Egleson)? Del resto, già nel 1947 un film di Jack Conway sulla redenzione di un pubblicitario (Clark Gable) si intitolava I trafficanti, traduzione non letterale di The Hucksters ovvero “i venditori ambulanti”.

La redenzione, appunto. Quando non c’è da satireggiare, il pubblicitario viene scelto quasi come paradigma del peccatore che si monda dalle sue macchie (vacuità, materialismo, costante perseguimento dell’inganno): i protagonisti di Il principe delle donne (di Reginald Hudlin, 1992) e di What Women Want (di Nancy Meyers, 2000) dovranno rivedere le loro anacronistiche posizioni maschiliste (ed il secondo grazie ad un fortuito quanto magico incidente), mentre l’altra metà del cielo, la Kate di Kate & Leopold (di James Mangold, 2001), troverà l’amore e la felicità fuggendo in un’altra epoca, meno frenetica e spietatamente ambiziosa.

Il lavoro di pubblicitario è fatto sostanzialmente di fumo (ed è quello che, in fondo, vende), ma, come se non bastasse, non richiede neanche queste grosse qualità. Anche un gruppo di ospiti di una casa di cura, guidati da un pubblicitario, rinchiusovi perché deciso a dire la verità sui prodotti, può sfondare nel mondo della pubblicità (Pubblifollia di Tony Bill, 1990, ed il claim, come potete vedere nella scena linkata, riguarda proprio una marca di sigarette, vendono fumo); così come la cuoca di un creativo può letteralmente salvargli il posto, con un efficace slogan su un pollo (La casa dei nostri sogni di H.C. Potter, 1948), e finanche un lavavetri scaltro ha la possibilità di giungere al vertice di una società (ancora Come far carriera senza lavorare). Anche i creativi italiani non fanno una gran figura sul grande schermo se pensiamo al Gianfranco Pedone (un clone grottesco di Gavino Sanna) interpretato da Ivano Marescotti in Consigli per gli acquisti di Sandro Baldoni ed al Tommaso/Fabio Volo di Casomai diretto da Alessandro D’Alatri 4.

La pubblicità

Molto più complesso è il discorso relativo alla presenza di spot all’interno di opere cinematografiche. Qui la forma scelta è, pressocché esclusivamente, la parodia e, sebbene le tipologie di inclusione siano diverse, tutte concorrono ad una sorta di analisi metatestuale della pubblicità. Del resto, la parodia, sostiene Roy Menarini 5, “ha dalla sua una tendenza autoriflessiva in grado di gettare luce sul testo preso a bersaglio, e al contempo la possibilità di spiegare perché il testo in questione viene parodiato”. Con la parodia, quindi, il cinema arriverebbe all’anima del messaggio pubblicitario, con tre differenti modalità:

La citazione parodiegetica

Il modello di riferimento viene richiamato da un elemento intradiegetico (una battuta o una gag visiva) per strizzare l’occhio ad uno spettatore nel cui bagaglio culturale quell’input è già presente. In tal caso più che una presa in giro o un’operazione di decostruzione della pubblicità, abbiamo una spallata complice ad un pubblico/target già noto e, indirettamente, una testimonianza dell’influenza enorme della pubblicità che finisce coll’invadere anche altri spazi dell’immaginario: Enrico Montesano/Petronio Arbitro, in Nerone di Castellacci e Pingitore (1977), dichiara di fidarsi di Galba e dei suoi uomini perché “Galbani vuol dire fiducia”; in Arrapaho (1984) di Ciro Ippolito, quando il protagonista conquista lo scalpo del nemico, dall’acqua emerge Cesare Ragazzi che pronuncia il suo famoso slogan “Salve sono Cesare Ragazzi ed ho una magnifica idea in testa” porgendo al malcapitato un parrucchino; Jerry Calà/Gianni, in Rimini Rimini di Sergio Corbucci (1987), mostra la sua soddisfazione per un affare appena concluso accennando “E’ tanto che aspettavo un’occasione così”, motivetto preso in prestito da una popolare campagna promozionale degli anni ‘80 della Opel, campagna denominata Operazione Itaca; in Scary Movie 2 di Keenen Ivory Wayans (2001), la classica misteriosa palla, che cade giù dalle scale, viene raccolta da uno dei protagonisti il quale comincia a palleggiare ed a passarla agli altri, trasformando la sequenza in una copia di uno spot Nike.

https://www.youtube.com/watch?v=IGJ09FMOPqo

https://www.youtube.com/watch?v=1i-4rn5xCnU

La caricatura non diegetica

Mutuando la denominazione da quella di uno degli “inserti” metziani 6, si tratta di una parodia che ha come modello di riferimento uno spot od un manifesto, realmente esistenti, di cui si “carica” una componente a fini, più che altro, dissacratori. E’ una tipologia rara da vedersi sul grande schermo (e più frequente sul piccolo, in trasmissioni satiriche, da Un, due, tre fino a Mai dire domenica, passando, Oltreoceano, per il Saturday Night Live) anche perché necessita, nel caso degli spot, di una struttura particolare che è quella a sketches o episodi: in Anni ’90 (1992) di Enrico Oldoini ad essere prese di mira sono le campagne di sensibilizzazione (ribattezzate “pubblicità regresso”) sull’ AIDS (ricordate lo spot in cui il sieropositivo è indicato da un alone viola?) e sull’uso del preservativo (quella del professore che raccoglie un profilattico in classe e chiede di chi è sentendosi rispondere “è mio” da tutta la classe); in L’aereo più pazzo del mondo…sempre più pazzo (1982) di Ken Finkleman, possiamo vedere in un futuro piuttosto lontano, alle spalle di una commessa dello store di un aereoporto, il manifesto di un ennesimo sequel di Rocky raffigurante un vecchio ricurvo in calzoncini e guantoni da boxe; in Uccelli d’Italia (1985) di Ciro Ippolito sono gli spot di un noto detersivo e quello di un’altrettanto nota carne in scatola ad essere bersaglio della parossisticamente volgare presa in giro del gruppo degli Squallor.

La spotificated parody
A questa tipologia appartengono veri e propri spot che reclamizzano prodotti immaginari spesso assurdi), sono inclusi nella fabula (e non estranei ad essa come nella “caricatura non diegetica”) e ciò che parodizzano è, più in generale, la “pubblicitarietà” o “spottitudine” (slogan improbabili quasi quanto gli articoli pubblicizzati, regia camp): nel geniale Ladri di saponette (1989) di Maurizio Nichetti, la visione distratta di un film trasmesso in TV che spesso porta a percepire le immagini in un flusso continuo (senza distinguere, in altri termini, tra il lungometraggio ed i brevi audiovisivi che sono gli spot) si concretizza in una continua e reciproca invasione. Dei protagonisti delle pubblicità nell’opera neorealista (una modella si tuffa in piscina e si ritrova nel fiume lungo il quale cammina Antonio, il protagonista del film) e viceversa (Maria, la moglie di Antonio, si suicida nello stesso fiume per emergere nella lavatrice di una reclame di detersivi; Bruno, loro figlio, è attratto dalla merendina pubblicizzata in uno spot). In Consigli per gli acquisti vengono mostrati gli spot commissionati da un truffaldino imprenditore allo scopo di riciclare carne in scatola andata a male come cibo per cani; in Casomai, Tommaso vince un premio con uno spot che riprende gli stilemi patinati delle pubblicità di oggetti di lusso; in Ridere per ridere (1977), di John Landis, viene ricostruito un palinsesto televisivo nel quale sono ricompresi anche spot (un’azienda, la Argon, che ricava energia riciclando l’acne giovanile, la brillantina dai pettini degli italiani e l’olio dei cibi in plastica statunitensi; Nytex notte, un tranquillante troppo efficace; la birra Willer con degli Are Krishna come testimonial al solo scopo di poter recitare “Valeva la pena reincarnarsi sei o sette volte per gustarsi una birra Willer”; il gioco da tavola Farla franca sulla falsariga del Monopoli; un’esilarante associazione, Amici della morte, volta a combattere la discriminazione contro i cadaveri).

https://www.youtube.com/watch?v=0OSFpufJqpI

In Donne amazzoni sulla luna (1987), di A.A.V.V. (tra cui ancora Landis e Joe Dante), presenta lo stesso spunto di partenza del precedente (Joe Pantoliano reclamizza Hairlooming, una cura alla calvizie consistente nel trapianto di moquette; B.B. King sollecita una raccolta fondi per l’Associazione Blacks Without Soul; una noiosa festa può essere rallegrata da ScioccoPatè che, oltre ad essere mangiato, può diventare un gioco divertente e copiare i fumetti preferiti).

La parodia trasversale

L’uso della forma pubblicità è utilizzato ad altri scopi: in Signore e signori, buonanotte (1976), pellicola prodotta dalla coooperativa 15 maggio e diretta collettivamente da, tra gli altri, Mario Monicelli, Luigi Comencini, Luigi Magni, Nanni Loy, Ettore Scola, il finto palinsesto televisivo serve a colpire la solita italica mostritudine 7. A questo obiettivo finale non sfuggono le pubblicità chiuse, a mo’ di parentesi, dal disegno animato di un pagliaccio giocoliere che, prima, si abbassa la cerniera dei pantaloni e ne tira due palle che volteggia come un giocoliere e al termine dello spot, rimette a posto le palle. Le interruzioni sono due: in una un papà ed un figlio attraversano felici un bosco in bicicletta intonando un motivetto di un Carosello per la Sai (“Si re, si re/ si re si mi” diventa “si fa, si fa/ si fa così” e quindi potrebbe essere inclusa anche nella “citazione parodiegetica”) mentre la voce fuori campo di Ugo Tognazzi rivela quanto sia fortunato quel bambino il cui padre ha già trasferito 5 miliardi in Svizzera (e i due protagonisti, intanto, attraversano il confine); nella seconda un giudice responsabile del sequestro di diverse opere considerate oscene, pubblicizza Orotap, i tappi che consentono di avere orecchie da mercante, da censore e da repressore.

Concludiamo con un accenno alle rappresentazioni dei set pubblicitari. Anche in questo caso, largo spazio alle gag e ad uno sguardo cinico su quel mondo. Non a caso, i due esempi riportati hanno come protagonisti un aspirante attore guitto ed un attore famoso in disarmo ed in trasferta. Il primo è Mandrake/Gigi Proietti che, in Febbre da cavallo (1976) che, vestito da vigile urbano per un carosello del whisky WAT 69, non riesce a pronunciare la battuta “E’ un whisky maschio senza rischio” storpiandola in”è un fischio maschio senza raschio… no, un caschio moschio col rischio…“.

Il secondo è Bill Murray/Bob Harris , in Lost in Translation (2003), che, per pubblicizzare il whisky Suntory, gira uno spot piuttosto anodino e posa, per il manifesto, al servizio di un fotografo che gli chiede di essere, di volta in volta, più Roger Moore, John Wayne, Dean Martin.

 

1 Dichiarazioni di Steven Spielberg ne Il mondo di Minortiy Report, contenuto speciale del DVD Fox di Minority Report

2In linea generale, si parla di product placementtutte le volte che un prodotto o un brand appare all’interno di una qualche forma di spettacolo ed è legato allo sviluppo della sua trama o della sceneggiatura. Risultano pertanto esclusi gli inserimenti pubblicitari, le promozioni, le sponsorizzazioni, ecc. Le modalità di inserimento sono sostanzialmente (in RUSSELL, C.A., Toward a framework of product placement: theoretical propositions, in “Advances in Consumer Research”, 25, pp. 357-362, 1998) tre:

• visuale (screen placement);

• verbale (script placement);

• integrato (plot placement).

In Daniele Dalli, Il product placement cinematografico: oltre la pubblicità?, relazione al Convegno “Le tendenze del marketing in Europa”, Università Ca’ Foscari , Venezia 28-29 novembre 2003

3 In Essi vivono (di John Carpenter, 1988) la conquista del pianeta viene effettuata attraverso induzione subliminale celata dietro messaggi pubblicitari. L’identità degli extraterrestri è svelata proprio da un paio di occhiali. In Un volto nella folla (di Elia Kazan, 1957) il malcapitato Faust è un cantante folk inopinatamente baciato dal successo mediatico.

4Sarà un caso, ma entrambi i registi vengono proprio dal mondo della pubblicità. Baldoni come autore, tra l’altro, della fortunata campagna per Il manifesto, “La rivoluzione non russa”, mentre D’Alatri, dopo un trascorso di baby-attore in alcuni Carosello, è diventato apprezzato regista di spot nonché di cinema (suoi sono Americano Rosso, Senza pelle, I giardini dell’Eden).

5 in La parodia nel cinema italiano, p. IX, ed hybris, Bologna 2001

6 Cfr. Christian Metz, Semiologia del cinema

7 Tra gli autori, infatti, si annoverano i padri della commedia all’italiana: Luigi Comencini, Ruggero Maccari, Age & Scarpelli, Ugo Pirro, Benvenuti & De Bernardi, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli

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