“Pensavo che la mia vita fosse una tragedia, ma ora ho capito che è una commedia” afferma Arthur Fleck un attimo prima di soffocare la madre in un letto d’ospedale. Analogamente si potrebbe dire che Todd Phillips sia passato dal comico (di Road Trip, Old School e soprattutto della trilogia di Una notte da leoni) al tragico di Joker.
O forse ha semplicemente deciso di inquadrare la vita in modo diverso. Sosteneva Charlie Chaplin: “La vita è una tragedia se vista in primo piano, ma una commedia in campo lungo” e Phillips fa questo, mette in primo piano la miserevole vita di un uomo che “ha solo pensieri negativi” e che nessuno ascolta o degna di attenzione. Quello del confine sottile tra comico e tragico è un leit motiv della narrazione sui clown, ma anche un dato inequivocabile del teatro (e del cinema) come della vita. A un certo punto della storia, Arthur entra travestito da maschera (si traveste da maschera prima di diventare maschera) in un cinema dove i notabili del paese stanno assistendo a Tempi moderni (ancora Chaplin) e vediamo in particolare la scena in cui Charlot pattina in un Grande magazzino in prossimità di una voragine sul pavimento senza mai accorgersene. Charlot ci va vicino, sfiora il precipizio, ma si allontana in tempo. E scatta la risata liberatoria del pubblico, per lo scampato pericolo, per la scampata tragedia.
Nel 1998 Todd Phillips diresse un documentario intitolato Frat House in cui raccontava delle violenze, dei soprusi perpetrati all’interno delle confraternite universitarie (documentario finanziato dall’HBO e poi ritirato perché Phillips e gli altri autori furono accusati di aver pagato gli studenti ripresi nel film per simulare cerimonie di iniziazione e atti di violenza). Da questa esperienza nacque la sua seconda regia, quella da cui prende nome il Frat Pack, ovvero Old School con Vince Vaughn, Luke Wilson e Will Ferrell. Basta cambiare prospettiva e la tragedia diventa commedia o viceversa.
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Secondo il filosofo Kierkegaard “Se due persone che si amano non si capiscono, è tragico. Se due persone che non si capiscono si amano, è comico”. Quella di Arthur Fleck è una vita tragica perché il suo amore per gli altri che vuole aiutare con un sorriso non è ricambiato, ma de/riso (deviato dal riso), umiliato. Solo quando il suo gesto (l’omicidio di tre yuppie, siamo negli anni ’80 di Gordon Gekko) verrà frainteso, quindi non capito, scambiato per eversione, per lotta di classe, scatterà l’amore. Ma sarà comico. Anche perché il comico è di per sé contro il potere, sia esso economico, sia politico, sia istituzionale. Lo è da sempre, lo era anche nello slapstick (cui le fughe, le corse di Arthur/Joker sono palesemente ispirate fino alla fine, nel corridoio dell’ospedale) dove ci si prendeva beffe, tra gli altri, dei poliziotti (i Keystone Cops di Mack Sennett). Il comico, quando si integra, si chiami esso Beppe Grillo, si chiami Waldo o Vladimir Zelensky, non fa più ridere, anzi quel ruolo da fustigatore di costumi, in questa nuova veste, lo trasforma addirittura in un reazionario. Questa ambivalenza è ben chiara a Todd Phillips (e anche ad Adam McKay, un altro che dalle commedie demenziali è passato a raccontare la politica e l’economia meglio di chiunque altro) che non cambia registro, sposta solo il parallasse, consapevole che, come diceva Karl Marx, “I fenomeni storici accadono sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Se il sonno della ragione genera mostri, quello del Welfare genera Joker.
Ho scoperto questo post e conseguentemente il blog di appartenenza, solo per caso, mentre leggevo i commenti ad un post su Facebook dello stimato Giuseppe Marino ed ora sono felicissimo di questa meravigliosa scoperta.
Ho respirato finalmente, dopo giorni di parole al vento, specie su testate blasonate e sulle loro pagine social acchiappalike, la passione per la settima arte ed un pensiero di più ampio respiro. Perciò grazie di cuore
Ti ringrazio tanto. In fondo questo blog è un’appendice della nostra attività di formazione che, da sempre, è volta sì a crescere persone competenti e professionali, ma prima di tutto a fornire uno sguardo alternativo. E siccome si scrive per essere letti (ed apprezzati, se non nelle conclusioni quanto meno nelle argomentazioni, checché se ne dica), un complimento come il tuo mi incoraggia e mi lusinga.