Stilare questa playlist non è stato semplice come quella sugli Oscar inspiegabili, perché significherà pure qualcosa Festival d’Arte cinematografica. E di sicuro, nel corso degli anni e delle edizioni, autori e capolavori scoperti sono maggiori rispetto ai “bidoni”. Ma ci sono state, tra Leoni d’oro e Coppe Volpi, assegnazioni discutibili e noi, per divertimento e provocazione, vi parliamo di quelle.
1 – Somewhere di Sofia Coppola
Dobbiamo solo essere contenti che Mira Sorvino non abbia pensato finora di dirigere film, altrimenti ci ritroveremmo probabilmente a discutere improvvidamente di un’autrice che non è. Il fatto è noto: Quentin Tarantino, un tempo fidanzato di Sofia Coppola e presidente di giuria del 67mo Festival del Cinema di Venezia, impone il suo giudizio nell’assegnazione del premio maggiore. Uno dei Leoni d’oro più scandalosi della storia, per un film pigro, quasi un home movie di privilegiati (Sofia racconta praticamente di quando si recò in Italia col padre che doveva ritirare un Telegatto – e su questo si gioca una delle scene più ridicole del film nella quale, come da copione, si sono lanciati senza porsi il problema attori e starlette italiane – con la colonna sonora dei Phoenix, il gruppo del marito), inguardabile, figurarsi premiabile.
2 – Monsoon Wedding di Mira Nair
Avremmo dovuto capirlo fin da Salaam Bombay, nel lontano 1988, che Mira Nair era regista furbetta, priva di un autentico sguardo autoriale, ma capace di confezionare prodotti ad hoc per cineforum del pomeriggio, pre-canasta, ad uso e consumo di signore bene. Ma anche il successivo Mississipi Masala avrebbe potuto darci seri indizi, per non parlare di La famiglia Perez e Kamasutra. Niente da fare, il terzomondismo tanto caro ai “democratici di sinistra” fece sì che la giuria del 58mo Festival, pure presieduta da Nanni Moretti, assegnasse il Leone d’Oro a questa pellicola in cui si affrontano, in salsa bollywoodiana, diversi temi (abuso, ricchi/poveri, matrimoni combinati Vs. matrimoni d’amore) da dibattito salottiero.
3 – Lussuria di Ang Lee
Come sopra. Difficilmente Ang Lee confeziona film d’autore (intendendo per film d’autore, opere che lascino trasparire una qualche Weltanschauung del realizzatore), ma è bravo, o lo è quasi sempre, a dare al pubblico quel che vuole. Storia omosessuale tra cowboy? Bel corto circuito e grande professionalità nella realizzazione, sebbene senza guizzi particolari, ma Leone d’oro condivisibile. Lo stesso non può dirsi per il bis due anni dopo con questo melodramma spionistico di cui si intuisce difficilmente il carisma se non un certo wongkarwaismo di rimando. Ma c’era Zhāng Yìmóu presidente di giuria.
4 – Giulietta e Romeo di Renato Castellani
Nel 1954 concorrevano Senso, La strada, Fronte del porto eppure ebbe la meglio questa trasposizione shakespeariana del nostro Castellani, uno dei registi italiani più calligrafici di sempre (iniziatore del neorealismo rosa con Due soldi di speranza), che impiegò sei anni nel tentativo di restituire il dramma ai suoi luoghi originari (tanto che si parlò di neorealismo rinascimentale), ma poi cadendo nella contraddizione (probabilmente causa quota produttiva britannica della Rank) di affidare i ruoli ad attori inglesi non professionisti (salvo lo shakespeariano John Gielguld). La sinistra accusò il Festival di aver fatto giungere in tutta fretta il film dalla terra d’Albione per opporlo alla visione critica del Risorgimento del film di Visconti.
5 – Wesley Snipes per Complice la notte
Ancor più dell’Oscar a Nicolas Cage per Via da Las Vegas il grande mistero della vita e delle opere di Mike Figgis è come abbia fatto a turlupinare addetti ai lavori al punto da far vincere un premio a Wesley Snipes (attore migliore di quanto questo film e le produzioni straight to video cui si è votato di recente, facciano credere). Film dimenticabile e, infatti, dimenticato.
6 – Ben Affleck per Hollywoodland
Assegnare un premio, che non sia per sceneggiatura e/o per regia, a Ben Affleck è di per sé improbabile. Per un filmetto da prime time di Rai Due del sabato sera lo è due volte di più.
7 – Sean Penn per Bugie, baci, bambole & bastardi
La logorrea paga. Ci sarà un motivo se Anthony Drazan è scomparso dalle scene, no? Forse perché questo lavoro post tarantiniano, post altmaniano, postumo, non aggiungeva nulla di nuovo allo scenario dell’epoca? Sta di fatto che le chiacchiere infinite inebriarono la giuria che premiarono il gigioneggiare insopportabile di Sean Penn.
8 – Giovanna Mezzogiorno per La bestia nel cuore
Ciò che anima i dibattiti post festival spesso è la lesa maestà degli Italiani in concorso, quasi sempre vittima (secondo gli interessati e la gran parte dei critici che animano il salotto di Marzullo) di ingiustizie. Non si può dire lo stesso per le interpretazioni ché nel corso degli anni si sono viste discutibilissime Coppe Volpi (quella a Stefano Accorsi per Un viaggio chiamato amore grida ancora vendetta). La bestia nel cuore è uno dei peggiori film visti al Festival (uno degli ultimi italiani, prima di Sorrentino, a rientrare nella cinquina dell’Academy per il film straniero!) con una miracolata Giovanna Mezzogiorno.
9 – Ksenia Rappaport per La doppia ora
La Indigo Film, forte del successo riscosso l’anno precedente con La ragazza del lago, ci riprova nel 2009 con La doppia ora di Giuseppe Capotondi (regista di videoclip italiani e, soprattutto, internazionali, suo anche il celebre Crystal Ball dei Keane). Film piuttosto deludente e Coppa Volpi regalata a Ksenia Rappaport.
10 – Annabella per Vigilia d’armi
Nonostante la regia di Marcel L’Herbier un melodramma bellico poco interessante di cui non si ricorda più nessuno. Anche Annabella dirà poco, forse perché dopo una brillante carriera in Francia che la vide attrice anche per Abel Gance e Renè Clair, in America non ebbe il successo sperato (anche perché, a seguito del matrimonio con Tyrone Power, Zanuck impedì che venisse scritturata anche da altri studi) e, tra le pellicole girate, si ricorda forse Il 13 non risponde di Henry Hathaway.
bambole, bugie ecc è una grande commedia, la logorrea di cui parla l’insipiente critico è la conseguenza dell’uso incontinente di droga dei protagonisti, che per questo straparlano essendo la loro vita nel mondo hollywoodiano costituita di una simulazione di attività tra festini, cenette con abbondante contorno di cocaina, flirt con donne eleganti ma parimenti disperate, e reciproci dispetti. Sceneggiatura di ferro, dialoghi imperdibili tra ubriachi e drogati, per la migliore commedia Usa degli ultimi 20 anni. Ma Rosario Gallone, per una volta che il festival veneziano c’azzecca, arrivi tu a inserire il film tra le bufale! ma dico scherzerai.
La ringrazio per l’insipiente, io non mi spingerei mai a tanto nei suoi confronti pur dissentendo dalla sua opinione. Detto questo, non scherzo affatto e mi sembra di essere stato chiaro, quel film era post tutto, arrivava (neanche tanto buon) ultimo rispetto ad autori che avevano fatto lo stesso e meglio (I protagonisti di Altman le ricorda qualcosa?). E per quanto lei sia sicuramente più sapiente di me, ci andrei cauto col parlare di sceneggiatura di ferro, ci sono sceneggiatori della Hollywood classica che potrebbero aversene a male nell’aldilà.