Si può parlare di fondamentalismo, di terrorismo, evitando di esserlo a propria volta? Perché, senza per questo essere tacciati di buonismo, siamo convinti, con Kant, che la dialettica sia necessaria anche per giungere al trascendentale. Decostruendo. E come decostruire se non attraverso l’analisi? Una lista di film perché si problematizzi l’argomento fondamentalismo, perché si capisca che i fondamentalismi sono tanti e spesso ad un attacco fondamentalista segue una risposta fondamentalista. Buona lettura e, ci auguriamo, buona discussione.
1 – …e l’uomo creò Satana di Stanley Donen
Quando (il film è ispirato ad un famoso caso giudiziario svoltosi a Dayton, nel Tennessee, nel 1925) insegnare ai ragazzi l’esistenza di altre teorie (l’evoluzionismo darwiniano), oltre a quella cristiana, sull’origine dell’uomo, era considerato reato di corruzione dei minorenni. Un classico del cinema civile americano, forse un po’ dimenticato, ma che andrebbe recuperato e mostrato nelle scuole, forse al posto di Kung Fu Panda 3.
https://www.youtube.com/watch?v=qWmRSfg2PZM
2 – United 93 di Paul Greengrass
Atteso che la verità sul volo 93 mai la sapremo, da apprezzare, nel film di Paul Greengrass, è il tentativo di mantenersi equidistante e di raccontare, senza giudicare, le azioni di tutti, terroristi e passeggeri. Nessun eroe, solo uomini, forse nell’uno e nell’altro caso vittime. Di altri uomini.
3 – The Village di m. Night Shyamalan
Il regno del terrore. Uno dei film più metaforici, ma anche maggiormente lucidi nell’individuare le conseguenze dell’11 settembre. La chiusura della comunità genera paranoia. Solo la spinta verso l’oltre può salvarci. Rompere gli argini, scavalcare le recinzioni.
https://www.youtube.com/watch?v=Kq_B_ukrGKo
4 – London River di Rachid Bouchareb
Magari è uno di quei film da Cineforum del pomeriggio. Una di quelle pellicole che tanto piacciono a vecchie signore prima del bridge. Ma è anche un’opera che, senza enfasi e con somma discrezione, entra nel dolore delle persone. E, di fronte al dolore, siamo tutti uguali. E vicini.
5 – Paradise Now di Hany Abu-Hassad
Nella mente del kamikaze. Il racconto dei motivi che possono spingere qualcuno a morire per una causa (o per un premio divino) è svolto con grande perizia cinematografica. Vinse il Golden Globe per il miglior film straniero e fu candidato all’Oscar, battendo bandiera palestinese, in una nazione, gli USA, che non riconosce la Palestina come Stato. Quando la comunità è qualcosa di diverso, e di più, di un territorio circoscritto da confini fissati politicamente.
https://www.youtube.com/watch?v=Xi9yiGePxKw
6 – Four Lions di Chris Morris
Castigat ridendo mores. E, quindi, ridendo si può anche colpire la morale, spesso ambigua, di fondamentalisti. Il meccanismo comico è, proprio come la dialettica trascendentale in Kant, la pars destruens di un’analisi, quella che smonta il fenomeno analizzato, osservato e consente, in questo modo, di comprenderlo.
7 – Timbuktu di Abderrahmane Sissako
“Una coppia di due trentenni, genitori di due figli, sono morti lapidati. La loro unica colpa era di non essere sposati. Il video del loro assassinio, che è stato pubblicato sul web, è mostruoso. La donna muore colpita dalla prima pietra, mentre l’uomo butta fuori un urlo disperato. Poi silenzio. Aguelok non è Damasco o Tehran. Non è trapelato niente di questa storia“. Chi denuncia la totale indifferenza dei media occidentali è il regista Sissako. Timbuctu fu ostaggio di un regime jihadista dal 2012 al 2013, periodo durante il quale, tra le altre cose, fu assassinata la coppia di cui si parla, colpevole di essere coppia di fatto. Potremmo lanciarci in una considerazione tra diversi fondamentalismi, quelli che ammazzano materialmente e quelli che ammazzano attraverso la mancanza di tutele legali, ma verremmo meno all’intento principale di questo lucidissimo racconto morale: un monito all’Occidente, che i primi ad essere vittime del fondamentalismo sono gli abitanti dei paesi in cui il fondamentalismo nasce o attecchisce.
8 – Malala di Davis Guggenheim
Davis Guggenheim dà il suo meglio nel documentario (tra i suoi film a soggetto ricordiamo, ed è un ossimoro, il thriller Gossip). Già premiato con l’Oscar per Una scomoda verità, ora lo ritroviamo alla regia di un documentario la cui necessarietà fa passare in secondo piano qualsiasi giudizio estetico. E seppur qualche critico potrebbe storcere la bocca di fronte ad un impianto agiografico, quale obiettività ci potrebbe mai essere nel racconto di una quindicenne, vittima di un vile agguato talebano solo per l’ostinazione con la quale si batteva per l’istruzione femminile? Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace, avrà tempo di diventar peccatrice, ma, per ora, è la persona più vicina alla santità che sia dato conoscere.
9 – Red State di Kevin Smith
Inopinatamente, per chi scrive (visto che, dopo Clerks, la carriera di Kevin Smith pareva costellata da una lunga serie di regie deludenti), un pugno nello stomaco al pensiero comune ed un lucido attacco ad ogni tipo di fondamentalismo (religioso e militare, quello che si usa per combattere il fondamentalismo religioso). Stavolta Smith non fa sconti a nessuno, ma non solo per gusto dell’eccesso, bensì per una precisa idea (per nulla conciliante) della società in cui ci muoviamo.
10 – Private di Saverio Costanzo
La convivenza è difficile, non solo tra persone di credo e di origine diversa, ma anche tra persone della stessa famiglia, gruppo sociale, etnìa. Una casa al confine come teatro metaforico di un conflitto interiore ed esteriore. Un kammerspiel già maturo e coraggioso, girato da un (all’epoca) esordiente Saverio Costanzo, figlio di arte, ma ben diversa da quella paterna.