10 Neopolar da vedere prima di French Connection

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Sbirri, gangster, teppisti, femme fatale, banditi, innocenti, colpevoli, scrittori, registi, attori, attrici. Facce, ancora una volta. Quelle del cinema poliziesco francese, il polar, così unico, inimitabile, inossidabile. In questo dossier si parla quasi esclusivamente di film usciti nelle sale negli ultimi 48 mesi, e quasi tutti inediti in Italia. Qualcosa vorrà dire. Cosa?“. Era il gennaio del 2010 e la rivista Nocturno pubblicava un dossier dal titolo Le cercle noir – Guida al Neopolar francese, curato da Mauro Gervasini, probabilmente, oggi, il massimo esperto del genere. A parte Olivier MarchalJacques Audiard e il biopic in due parti su Jacques Mesrine, interpretato dalla star Vincent Cassel, il neopolar non trovava strada distributiva. Dopo cosa è successo? Che Rai 4, grazie alla lungimiranza di Carlo Freccero, ha programmato molte delle pellicole comprese in quel dossier (il bellissimo Ne le dit à personne di Guillaume Canet, Secret DéfenseLe Dernier GangCette femme-là) oltre alla serie tv Braquo, ma la distribuzione cinematografica ha continuato ad ignorare il poliziesco francese, come se il pubblico si aspettasse dai cugini d’Oltralpe solo commedie da remakare e cinema d’autore. Ed è quello che intendiamo dimostrare con questa playlist con la quale proviamo a porci in continuità al dossier nocturniano, esaminando le più significative produzioni dal 2010 in poi, quasi sempre rimaste inedite. French Connection (titolo fuorviante rispetto all’originale La French perché The French Connection è il titolo americano di Il braccio violento della legge), lanciato in pompa magna da Medusa, rappresenta, da questo punto di vista, la proverbiale eccezione alla regola.

1 – Les Lyonnais di Olivier Marchal

Cominciamo dal caso più eclatante ovvero quell’Olivier Marchal che sembra personaggio di altri tempi (debutta come attore, ma dopo aver prestato servizio nella Brigade Criminelle di Versailles nel 1980 e poi nella sezione antiterrorismo, ragion per cui conosce bene l’argomento di cui scrive) e che comunque, nel decennio precedente, ha goduto in Italia di un certo seguito, nonché di favore critico (36 Quai Des Orfèvres L’ultima missione sono due solidissimi polar). La sua quarta prova dietro la m.d.p. viene del tutto ignorata. A onor del vero, non si tratta della sua regia più convincente, in quanto pare adagiarsi sì nella convenzione del genere, ma come rivisitata da altre cinematografie (ci sono echi di Carlito’s Way, ma anche di Romanzo criminale di Michele Placido), sebbene l’ispirazione, come spesso accade, sia la cronaca (la sceneggiatura è adattata dal libro di Edmond Vidal, membro della gang des Lyonnais che imperversò dal 1967 al 1977 nella regione omonima). Resta un racconto godibilissimo di amicizia virile e di codice d’onore, sia pur criminale, e andrebbe visto anche solo per ristabilire le coordinate geografiche di una certa tipologia di narrazione.

2 – Blood Ties di Guillaume Canet

Altro caso emblematico e stavolta non si tratta neanche di un film francese. Spieghiamo: Blood Ties è il remake americano di Les Liens du sang, polar del 2008 diretto da Jacques Maillot. Questa storia di due fratelli, uno poliziotto e l’altro criminale, trova, negli USA, l’interesse di James Gray (e di chi altri?) che ne scrive il remake insieme con uno dei due attori protagonisti dell’originale ovvero Guillaume Canet che lo dirige anche. Echi scorsesiani (il cruento agguato di Chris nel bar con in sottofondo In ginocchio da te di Gianni Morandi), Clive OwenBilly Cudrup e l’Oscar Marion Cotillard (che si prodiga nel ruolo di una prostituta di origine italiana, recitando anche, in alcune scene, nella nostra lingua) non bastano a convincere un distributore italiano a dare una chance al film, che resta tuttora inedito sia in sala che in home video.

3 – À bout portant di Fred Cavayé

Secondo film di Cavayé, dopo quel Pour Elle (rifatto da Paul Haggis, con Russell Crowe e col titolo di The Next Three Days) che ha goduto anche di una limitata distribuzione in home video, è un concitatissimo thriller, di durata essenziale, che sfrutta il cliché dell’uomo ordinario in una situazione straordinaria (col corollario di flic corrotti, ingrediente tipico del polar). Si tratta di un intreccio che sconta fisiologicamente alcuni passaggi decisamente improbabili, ma la tenuta spettacolare fa sì che ci si passi sopra.
Il titolo internazionale, Point Blank, è lo stesso del celebre film di John Boorman, noto in Italia come Senza un attimo di tregua. Ha goduto di passaggi televisivi su Rai 4.

4 – Il cecchino di Michele Placido

Grazie a Romanzo criminale e a Vallanzasca, gli angeli del male, il nostro Michele Placido viene reclutato in Francia per un polar, genere di cui i Francesi sono molto gelosi. Placido mostra di saper girare anche in un contesto diverso da quello nostrano, di avere una mano buona per l’azione (l’incipit è davvero efficace), ma quel che c’è di buono, in regia, si perde a causa di una sceneggiatura che mette tanta, troppa carne al fuoco sì da perdere di vista la giusta cottura. Nonostante regista e cast in parte italiano (Violante PlacidoLuca Argentero), il film è stato un flop. Forse, però, per un passaparola giustamente non lusinghiero.

5 – L’Immortel di Richard Berry

Il marchio Europacorp di Luc Besson è spesso un marchio di infamia (si è perso il conto delle ciofeche prodotte), per cui sarebbe del tutto logico apprestarsi alla visione di questo film pieni di pregiudizi. Che cadono, perché Berry, da attore, riesce a dirigere bene il suo cast (e Jean Reno è un gangster dolente come, forse, solo volti granitici del passato sono stati, tipo VenturaGabin, ma qui c’è un Venantino Venantini che ricordiamo volto italiano di classici polar quali C’era una volta un commissario…Poliziotto o canaglia). Resta il fatto che anche questo, come altri, nonostante la distribuzione, sia stato ignorato. Curiosamente, nel film, uscito in sala nel periodo in cui la situazione dell’immondizia a Napoli era gravissima, si vede una Marsiglia invasa dai rifiuti a causa di uno sciopero dei netturbini.

6 – L’assaut di Julien Leclercq

Nel dicembre del 1994 (il 24 dicembre, per la precisione) quattro terroristi algerini della CIA sequestrarono, ad Algeri, un volo diretto a Parigi, con l’intenzione, accertata successivamente dall’inchiesta degli inquirenti, di farne un ordigno volante da abbattere sulla Torre Eiffel. L’attentato fallì (e se fosse riuscito, inutile dirlo, avrebbe anticipato l’11 settembre 2001), in quanto, durante un atterraggio a Marsiglia per rifornirsi di carburante, un commando delle forze speciali francesi, la GIGN, fece irruzione nell’aereo ed uccise i quattro terroristi. Tre passeggeri erano già morti ad Algeri, prima del decollo. Julien Leclerq, che ricordiamo regista del cyberthriller Chrysalis, sceglie questa volta (scrivendo anche la sceneggiatura insieme con Simon Moutaïrou) una storia vera, da raccontare in maniera realistica. E quando diciamo realistica, intendiamo realistica sia dal punto di vista storiografico (l’unico personaggio inventato è quello dell’impiegata ministeriale Carole Jeanton, in bilico tra ambizione ed incoscienza, che intuirà comunque per prima le intenzioni degli Algerini, facendo in modo che le Alte Sfere decidano di non consentire la partenza da Marsiglia del volo) sia dal punto di vista psicologico. Insomma, una vicenda che in mano a gente come Menahem Golan si sarebbe trasformata in un nuovo capitolo della saga di Delta Force, diventa, nelle mani di un Francese non ossessionato dall’emulazione dell’action americano (come sempre più spesso ci capita di vedere di recente, anche con risultati non disprezzabili), un film che poco concede all’azione (se non negli ultimi tesissimi 15 minuti), attento come è alle motivazioni ed alle emozioni di tutti (dal protagonista, Thierry, ovvero l’antitesi di un Chuck Norris, alla moglie di lui, Claire, che sembra convivere in costante compagnia di un presagio di morte, fino ai terroristi), sebbene, quasi a mantenere le distanze per evitare patetismi melò, la fotografia sia desaturata al massimo. Potremmo avanzare qualche riserva sullo stile adottato, fatto di macchina a mano, zoom a vista e sfocature, come se il Greengrass style fosse l’unico utilizzabile per operazioni del genere (è evidente che la pellicola di riferimento sia United 93), ma va riconosciuta a Leclerq l’intelligente scelta di utilizzare le vere immagini dell’assalto finale (che in Francia furono trasmesse in diretta e seguite da circa 21 milioni di telespettatori), facendo sì che quanto da lui girato all’interno del velivolo finisca con l’essere il “Fuori Campo della Storia”, e che lo sia più esplicitamente di quanto avvenga quando ad essere ricostruito è un intero episodio di cronaca. Venti minuti finali che ricordano, per intuizione, l’inquadratura di Munich di Steven Spielberg in cui nella finzione vediamo (sfocato e di spalle) un membro di Settembre Nero uscire fuori dal balcone dell’Hotel dove tengono in ostaggio gli atleti, mentre la TV rimanda l’immagine vera, storica, di quel momento. La pellicola ha comunque beneficiato di una programmazione su Rai 4.

7 – Poupoupidou di Gérald Hustache-Mathieu

È sempre dalla fine che le cose comincianoNon è sempre vero per i noir? Perché nel caso di Poupoupidou siamo più dalle parti del noir (con spruzzate polar, tranquilli!), di quello postmoderno, simpaticamente consapevole e metalinguistico (il protagonista è lo scrittore Rousseau che ha inventato un investigatore di nome Voltaire e che pensa di utilizzare, per il romanzo in fieri, l’inequivocabile, per il mercato, pseudonimo di Magnus Hørn) che riesce ad omaggiare un immaginario eterogeneo, da Billy Wilder al thriller scandinavo, passando il Fellini di Amarcord.

8 – Nuit Blanche di Frédéric Jardin

Un polar da camera, un into the night crime movie, tutto chiuso nell’unità di tempo di una notte, nell’unità di spazio di una discoteca e nell’unità di azione consistente, per il poliziotto protagonista, nel recuperare il figlio rapito dalla banda di Corsi cui ha rubato la droga. Adrenalinico e tesissimo, con una scena di lotta in cucina da applausi. Passato su Rai 4.

9 – Switch di Frédéric Schoendoerffer

Se dicessimo che Switch figura in questa playlist per meriti artistici, mentiremmo. Si tratta del solito pasticcio di Jean-Christophe Grangé (sì, quello di I fiumi di porporaL’elettoL’impero dei lupi con un Jean Reno ossigenato), autore decisamente sopravvalutato che, come è solito fare, mescola maldestramente diversi temi (lo spunto iniziale, già risibile di suo, viene superato dalle motivazioni del killer che definire improbabili è dir poco). Nulla può un regista capace come Schoendoerffer (il suo Agents secrets del 2004 era davvero un buon film) salvo dirigere ottime sequenze d’azione (come il lungo inseguimento che ricalca quello di Point Break della Bigelow). Eppure, nonostante (o forse proprio in ragione del) la qualità non eccelsa, in Italia è stato distribuito in DVD.

10 – La Prochaine fois je viserai le coeur di Cédric Anger

Ultimo (strano) caso in ordine di tempo. La Prochaine fois je viserai le coeur viene presentato all’ultimo Festival del Cinema di Roma, riscuote un certo interesse, nonostante siano tutti concordi nel ritenere che le ottime premesse dell’incipit non siano mantenute nello sviluppo successivo, ed è ispirato ad un fatto di cronaca di quelli che piacciono all’inconscio morboso di ogni spettatore (un gendarme serial killer che indaga sui suoi stessi omicidi). Ma il film di Cédric Anger non ha ancora trovato una distribuzione.

https://youtu.be/Mu67Kjzsi5o

 

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