L’albergo, solitamente, è un luogo di passaggio. Se non siete di quei ricconi che vivono in hotel lussuosi a New York, la camera d’albergo è luogo provvisorio della vostra vita. Ed in quanto provvisorio, spesso è luogo in cui vi sentite più liberi di uscire allo scoperto perché magari siete poco conosciuti. Ve lo diciamo subito chiaro e tondo: in questa playlist non troverete gli hotel in cui “albergano” incubi (nessun Overlook o Bates Motel né motel vicini alla palude o Yankee Pedlar Inn, protagonista architettonico dell’horror The Innkeepers di Ty West), ma residenze temporanee per le vacanze, in cui scoprire sé stessi, vivere favole, amori, avventure o semplicemente divertirsi. Buona permanenza.
1 – Grand Hotel di Edmund Goulding
Il prototipo dell’all star movie (quello che negli anni ’70 avrebbe fatto la fortuna del genere catastrofico), tratto dal romanzo Menschen im Hotel di Vicki Baum. Oggi lo si definirebbe dramedy per la sua fusione (perfetta come quasi mai accade) tra commedia e dramma e, di sicuro, a Edmund Goulding non sarebbe riuscito più di girare un’opera impeccabile come questa.
2 – Hotel Paradiso di Peter Glenville
Una delle poche riduzioni cinematografiche (la maggior parte delle trasposizioni è per la TV) del maestro della pochade, George Feydeau (oltre a questa ci sono La pulce nell’orecchio di Jacques Charon e Per favore, occupati di Amelia di Flavio Mogherini). Ad aver maggior spazio, naturalmente, è il secondo atto con equivoci, porte che si aprono e chiudono, personaggi che si nascondono o che nascondono, ma la trovata è quella di inserire l’autore, Feydeau, come personaggio che, in crisi creativa, trae ispirazione dall’osservazione della vita dei personaggi che poi finiranno nel suo testo.
3 – Intrighi al Grand Hotel di Richard Quine
Tratto da un romanzo di Arthur Hailey (da cui, poi, fu tratto anche uno dei successi televisivi del produttore Aaron Spelling, Hotel, con James Brolin e Connie Sellecca) è una sorta di remake apocrifo (sia letterario che cinematografico) di Grand Hotel quanto meno nella struttura sostanzialmente a episodi, legati da un’unica location.
4 – Ragazzo tuttofare di Jerry Lewis
Prima regia di Jerry Lewis e primo moloch americano ad essere distrutto dal suo personaggio (poi toccherà spesso a Hollywood e agli Studios nonché alla piscoanalisi in 3 sul divano) che qui veste i panni di un lift dall’inequivocabile nome Stanley (come Stan Laurel)taciturno fino alla fine quando rivelerà il motivo del suo silenzio: “Nessuno mi ha mai chiesto niente“.
5 – Appartamento al Plaza di Arthur Hiller
Tour de force recitativo per Walter Matthau che interpreta ben tre ruoli. L’albergo, in questa trasposizione da Neil Simon, è il luogo in cui ambientare tre “scene da tre matrimoni”: quello fallito, quello tradito e quello temuto della figlia sicché i tre atti di Syd Filed diventano (nel testo teatrale ed in quello derivato per il grande schermo) letteralmente tre atti di una Comédie humaine che, in fondo, ci riguarda tutti. Neil Simon ritornerà sul luogo del delitto (plot a episodi ambientati in un albergo di lusso) con California Suite (il titolo originale di Appartamento al Plaza è Plaza Suite) che frutterà un Oscar a Maggie Smith e vedrà anche, tra gli interpreti, l’ormai famigerato Bill Cosby.
6 – Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino
A Sorrentino piacciono i non-luoghi. Lo sono, in fondo, anche le terrazze romane di La grande bellezza e la provincia di Latina di L’amico di famiglia per non parlare dell’America di This Must Be the Place, luogo dell’anima (l’anima di un cinefilo, anche se meno sentita dell’America del Kusturica di Arizona Dream) più che fisico. Ma l’hotel di Le conseguenze dell’amore e questo (entrambi a Ginevra, cioè in quella Svizzera autoproclamatasi, in nome della neutralità, non luogo geografico per eccellenza) lo sono fisicamente. Il non luogo per Sorrentino è un buco nero in cui ci può finire di tutto (l’attore che deve interpretare Hitler, il direttore d’orchestra in crisi come il suo amico regista, la prostituta bruttina, Maradona) o meglio tutto il suo immaginario che, come ha rivelato il discorso di ringraziamento alla premiazione degli Oscar, è estremamente composito ed eterogeneo. Ma, forse per la prima volta, appassionato.
7 – Pretty Woman di Garry Marshall
L’albergo come castello/magione in cui la Cenerentola (o Eliza Doolittle) trova il suo principe (professor Higgins) con l’aiuto di una fatina buona nelle vesti di concierge. Mai prima, né dopo, Garry Marshall è stato così inattaccabile.
8 – Grand Hotel Excelsior di Castellano e Pipolo
Qui l’albergo è luogo cimiteriale (più dei successivi Grandi magazzini che sono quasi una seduta spiritica) in cui si celebra l’estrema (f)unzione comica di registi e interpreti degli anni ’80. Castellano, Pipolo, Celentano, Montesano, Verdone, Abatantuono sono fantasmi di una comicità che non può più essere (Abatantuono dovrà modificarsi geneticamente, mentre Verdone tornerà raramente alle macchiette).
9 – Grand Budapest Hotel di Wes Anderson
Nel cinema di Wes Anderson in fondo alberga un tema ricorrente: la paternità. Padri assenti e ricercati e, più di tutti, padri putativi (Gustave H non lo è forse di Zero Moustafa?). Ad un livello metacinematografico il tema della paternità opera nell’ispirazione, nell’omaggio ai propri padri artistici. Che in Grand Budapest Hotel sono Ernst Lubitsch e Billy Wilder, ma anche l’espressionismo (nella scena dell’agguato a Kovacs) e certa animazione cecoslovacca (Karel Zeman?) nei campi lunghi disegnati. Trattasi della seconda volta di Wes Anderson in un hotel dopo il corto Hotel Chevalier.
10 – Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? di Billy Wilder
Wendell Armbruster Jr. è forse davvero figlio del Bud Baxter di L’appartamento (sono praticamente uguali!). Ma quello è luogo del Super Io e dell’happy end artato (happy perché socialmente accettabile e accettato), mentre la camera d’albergo è luogo dell’Es in cui riprendere abitudini paterne pur essendo lì per seppellirle. Di commedie così si è perso lo stampo. O forse è stato sotterrato insieme con Billy Wilder.