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A tempo pieno (Francia 2001) di Laurent Cantet, con Aurelien Recoing, Karin Viard

Vincent, consulente finanziario sulla quarantina, perde il lavoro. Anziché dirlo alla famiglia millanta una nuova occupazione come funzionario ONU a Ginevra; il suo tempo, invece, lo impiega a viaggiare in macchina e a spillar soldi agli amici ai quali propone inesistenti investimenti sicuri.
In epoca di nuove divisioni tra il cinema neosimbolista à la page (Von Trier e tutto il dogma, Ruiz, Ripstein, Kusturica, Spielberg) e il premiatissimo, ai festival, cinema minimalista e della sottrazione (Tsai Ming-Liang, Haneke, Wong Kar-Wai, gli Iraniani), la seconda regia di Cantet, dopo il notevole Risorse umane, cerca una terza via ed inganna lo spettatore mostrandosi dapprima come un film di impegno sociale à la Ken Loach e in seguito, irreparabilmente nell'ultima illuminante inquadratura, rivelando la sua vera essenza di opera di poesia. Cantet mantiene magistralmente il controllo di un film che sembra dover implodere da un momento all'altro e lo guida atraverso un percorso di riflessione esistenzialista intorno all'aver cura (in senso heideggeriano) e al dasein in Occidente, nel XXI secolo.
Recoing è bravissimo.
Primo Leone dell'anno a Venezia 2001.

 

(G.F.)

Aurelien Recoing

























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