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21 Grammi
(Usa 2003) di Alejandro González Iñárritu
con Sean Penn, Naomi Watts, Benicio Del Toro, Charlotte Gainsbourg
Presentato allultimo festival di Venezia
(ancorché per loccasione in una versione non ancora definitiva)
con scarso successo critico rispetto alle attese, questo melodramma depressogeno,
saturo fino alla nausea di situazioni limite, popolato da corpi abbruttiti
dal male di vivere, solcato da primi piani deformati dal pianto e dal
dolore, immerso in luci dilavate e granulari, vissuto in ambienti sciatti
e anonimi, mescola con troppa disinvoltura temi alti e problematiche esistenziali
(pervertibilità del caso e numerologia, dicotomia mente-corpo e
caducità identitaria), indulge in scene madri e istrionismi recitativi
(assecondato in questo da uno straordinario trio dattori che tenzonano
alla pari), si pavoneggia grazie ad una patina fotografica tra vezzo sperimentalistico
e ghiribizzo indie (con il fedele operatore Rodrigo Prieto che
gira il tutto con attacchi sullasse, panoramiche a schiaffo e macchina
a mano) ma cattura primariamente lattenzione dello spettatore grazie
ad un ordito narratologico che gioca con eccessivo compiacimento a confondere
lo sviluppo lineare del racconto.
Il regista messicano Iñárritu replica le giustapposizioni
sincroniche, le interferenze della fabula già sperimentate con
ben altro spessore nel suo precedente, fortunato lungometraggio (Amores
Perros). Ma se in quel film le aritmie, i singulti e gli strappi
del racconto erano funzionali alla descrizione ferina e dolente di una
umanità immersa nel caos metropolitano, qui il meccanismo si intoppa
in una serie di non sequitur e di sintagmi scollati e inefficaci.
Ne esce un puzzle cervellotico e svagato, unopera compromessa da
un dispositivo di perturbamento diegetico che gioca troppo sulle attese,
un thriller sbagliato, un reiterato e sterile adynaton che mal si confronta
con la materia melodrammatica di base e che per questo puzza di formalismo
derivativo.
(Marco Rambaldi)
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