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L'uomo in
più (Italia 2001) di Paolo
Sorrentino con Andrea Renzi, Toni Servillo.
La vita di Antonio Pisapia,
mediano di una squadra di calcio degli anni 80, che si intreccia a quella
del suo omonimo cantante di night.
Il primo, ispirato al mitico capitano della Roma Agostino di Bartolomei,
è schivo e riservato; il secondo, dietro cui scorgiamola figura
di Franco Califano è fin troppo estroverso. Il legame tra
i due nonè solo nel nome, per entrambi il destino prepara una sconfitta
senza appello: il calciatore finirà suicida il cantante ergastolano.
Entrambi hanno in sè la possibilità del riscatto, ma ciò
che manca loro è il coraggio: sia quello personale (di trasformare
in atti reali le proprie ambizioni); sia quello di chi è intorno
a te (di darti fiducia); la possibilità che può trasformare
la partita della vita in una vittoria o in una sconfitta.
Basterebbe credere nella possibilità di giocare con quattro attaccanti,
un uomo in più, appunto, e che ci ci sta intorno non la considerasse
una mera assurdità.
L'uomo in più è ognuno di noi: allo stesso tempo una possibilità
di vittoria (per noi e gli altri ) o una vita sprecata. E' lo stato d'animo
di ogni giovane che sogna di fare l'artista; è il plot che
tutti hanno scritto, come prima sceneggiatura, nel buio delle proprie
stanze, ma che Sorrentino, con intelligenza, cala in una storia
intensa che solo tangenzialmente diventa metacritica, senza mai accennare
al mondo del cinema.
A parte le lungaggini nel finale, tipiche delle opere prime, il film è
ben scritto e ben girato (molto bella la sequenza sui titoli d'apertura)
e dimostra che non tutte le opere prime napoletane sono condannate a diventare
Autunno. Gli attori sono bravi, straordinario Servillo e molto convincente
anche Renzi, per la prima volta impegnato in un ruolo intimo e dimesso.
Per finire una divagazione politica sulla tagline, il pareggio non esiste,
con tutti questi venti di guerra, se ogni tanto pareggiassimo, non sarebbe
male.
Ma sarebbe anche un altro film.
(G.A.)
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