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Spider-Man 2 (Usa 2004) di Sam Raimi con Tobey Maguire, Kirsten Dunst, James Franco, Alfred Molina
Il vero scontro di civiltà?
Quello che ognuno combatte nel proprio cuore. Quel battagliare senza tregua
tra il bene ed il male (ovvero tra l'essere ligi e disponibili e quel
paraculo non compromettersi che poi ti compromette, eccome, su un piano
morale, e pure irrimediabilmente), nel quale il motto amletico diventa,
alfine, "essere o non esserci". Spider-Man 2
porta al centro della discussione contemporanea, e nella piazza centrale
dell'intrattenimento di massa, tali tematiche. E questo, visti i tempi
che corrono, fatti di condoni spirituali, prescrizioni morali e guerre
agli infedeli, è già un gigantesco merito. Infatti, il lavoro
di Sam Raimi trova le sue ragioni proprio quando insiste
sulla necessità della responsabilità individuale quale momento
più alto dell'humanitas all'interno della Res Publica
(e prima dell'artato pasticcio dell'inesistente post-human).
Ma tanti sono gli altri meriti della pellicola tra i quali quello epocale
di aver restituito, dopo l'11 settembre, e per la prima volta, il cinematograficissimo
volo tra i grattacieli di New York City ad una dinamica
(e ad uno sguardo) innocente.
Peter Parker, in questo secondo atto, dopo tribolazioni
e somatizzazioni, smetterà i panni del supereroe convinto che l'antinomia
che gli pesa in cuore sia tra la sua missione sociale (datagli dalle potenzialità
dell'ultraumanità) e l'amore domestico (l'innamorata Mary
Jane). Peter, però, capirà che
il segreto per vivere decentemente è prendersi sempre le proprie
responsabilità: è per questo che avrà la forza di
autodenunciare le sue colpe nella morte dello zio all'amata zia, sebbene
il suo più alto atto eroico resti (prima del salvataggio dei passeggeri
della metropolitana a volto scoperto, prima di impedire la distruzione
dell'intera città e prima della definitiva rivincita del nerd,
quando bacerà Mary Jane) la maieutica con cui
costringerà Doc Ock (suo doppio legittimo: il
ragno è pur sempre un aracnide a otto zampe quanti cioè
sono gli arti mutati del nostro dottor Otto - wow! -
Octavius) a ritrovare il senno. E ad occuparsi così
degli altri. Perché - è questo il punto - la vera rivoluzione
oggi è scoprire che l'unica cosa che conti veramente è "essere
onesti". The Importance of Being Earnest,
la commedia che Mary Jane recita con successo a teatro
(e che proprio sulla doppia identità è imperniata) è,
allora, più che un dotto fondale alle vicenda, la vera chiave di
lettura del film. E, Peter, umano, troppo umano per essere
solo un superuomo, come nel testo wildiano, proprio grazie all'amore,
ritroverà, nella coincidenza tra la sfera pubblica e quella privata,
la determinazione del suo destino. Ed è così che la dicotomia,
calata la maschera, è infine sciolta.
Raimi cala la vicenda in un Mondo Cinematografico
(ovvero fatto di topoi cinematografici) tra citazioni da B-movies
dell'edenico drive-in, fino all'energia del prototipo King
Kong, ma non cade mai nell'afasia dell'autoreferenzialità.
Aggancia, inoltre, la causalità del conflitto ad un'eziologia endogena
alle società del connsumo (il Male è una degenerazione delle
ricerche scientifiche di una grande azienda statunitense, per capirci)
riportando alla luce una delle funzioni rimosse del fantastico, il timore
non per l'ìaltro da sé, ma per noi stessi. La sociologia,
infatti, insiste spesso su come, dietro alle smilze fattezze degli alieni
del racconto fantastico degli anni Cinquanta-Sessanta, si legga la paura
atomica del demone sovietico, dimentica quanto l'altro grande motivo di
instabilità di quella poietica sia data dalla figura dello "scienziato
pazzo" perfettamente aderente all'organizzazione interna del Capitale.
Resta un solo rammarico, quello che anche in questo secondo episodio il
regista non abbia capito le potenzialità della chiave psichedelica
di Spider-Man (Goblin, ad esempio, e
il suo mondo follemente colorato è puro acido lisergico direttamente
dagli anni Sessanta) che avrebbe fornito un'ermeneutica definitiva del
personaggio decisamente più pertinente e magica (e a dispetto della
sopravvalutata virata gotica che, alla creatura di Lee
e Ditko, ha imposto McFarlane).
Storia sulla scissione interiore dell'uomo contemporaneo, insomma, ma
anche sulla Politica a noi coeva, in grado di reggere
il confronto - nell'ambito dell'immaginario fumettistico, e non solo in
quello - addirittura con il Batman The Killing Joke,
la straordinaria graphic novel dell'88 di Moore-Bolland,
che nel rapporto antifonico dell'ilarità disperata tra l'Oscuro
cavaliere e il giocondo demone dell'ultima tavola ci diceva, una volta
per tutte, quanto Bene e Male siano riconducibili ad un'unica, indivisibile
natura, ambiguamente complice. Troppo per un eroe dei comics? Eppure è
proprio nella preservata struttura mitica della fabula del fumetto che
noi ignobili contemporanei possiamo ancora trovare - Vico
volendo - le ragioni più profonde sulla nostra mortificata umanità
e senza per questo apparire inadeguati ed ingenui; ed è, velatamente,
tra le pieghe dell'habitus mainstream che ancora possiamo scovare
le tracce di una struttura mistica, di uno sdegno non rassegnato cioè
nei confronti della ragnatela opprimente dell'omo-logazione che, prefisso
permettendo, nulla spartisce mai con la potente mansione dell'homo. Che
è prima di tutto quella di essere onesti e, solo così, il
cerchio si chiude.
Vincitore dell'Oscar per i
migliori effetti speciali
(Corrado Morra) |
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Scuola di Cinema Pigrecoemme
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