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Spider (Gb/Francia/Canada 2002) di David Cronenberg con Ralph Fiennes, Gabriel Byrne, Miranda Richardson, Lynn Redgrave, John Neville

Ennesima riflessione epistemologica sulla deriva immanente della percezione nonché sofferta, fosca meditazione sulla “passione” della elaborazione artistica, Spider (dall’omonimo romanzo di Patrick McGrath, anche autore della sceneggiatura) rappresenta una solida e coerente estensione teoretica dell’universo espressivo cronenberghiano nonostante le condizioni produttive di committenza (la malleveria da parte di Fiennes al progetto e il confronto spersonalizzante con l’ombra ingombrante del best-seller).
Accusato da più parti di banalizzare il sostrato freudiano del testo ricorrendo alla piattezza illustrativa di un caso limite, Cronenberg evita in realtà la trappola dello psico-dramma tenendosi lontano dai cascami eziologici usualmente associati alla descrizione della schizofrenia. Per far questo riduce i totem concettuali del padre della psicanalisi a veri e propri red herring (le dinamiche del complesso edipico che si rovesciano e si problematizzano, la reiterazione destrutturante e disgregata della scena primaria, il rocchetto di filo del “fort-da” che si tramuta espressionisticamente in ragnatela, la stordente sovrapposizione plurima delle focalizzazioni che favorisce il presunto gioco della suspense, la strizzata d’occhio alle macchie di Rorschach nei titoli di testa).
Il complesso delle figurazioni scenico-visive che ruotano attorno al protagonista del racconto (un Ralph Fiennes febbricitante e atrabiliare) rimandano a Beckett (la sospensione biascicante, i monologhi sconclusionati, l’emarginazione tormentosa di Spider) e a Kafka (quella pensione piena di personaggi in perenne attesa, l’alienazione preternaturale e la sordida mestizia del nucleo familiare, l’orizzonte metropolitano soffocante e squallido, la simbologia greve e una certa patina di squallore suburbano).
Spider fa il paio con Il Pasto nudo nello portare allo scoperto, con partecipe patimento ed emozionante pietas, la luttuosa solitudine e la lacerante estraniazione insite in ogni elaborazione creativa (come dimostrano la grafomania maniacale quanto catartica del personaggio eponimo e la manipolazione e ricombinazione interpretativa delle coordinate spazio-temporali alla ricerca di una verità “interiore”), suggerendoci così la vera dimensione interpretativa dell’ultimo Cronenberg, di certo più vicino a Lacan che a Freud.
Fedele solo alle sue ossessioni dell’indicibile e del rimosso, Cronenberg insegue i concreti fantasmi del doppio, scandaglia i crocicchi mefitici e vertiginosi della mente con insospettabile pudore e sobrietà, aiutato dal montaggio di Ronald Sanders (ellittico e condensativo più del solito) e dal suo operatore di fiducia Peter Suschitzky (persino virtuosistico nella ricerca di tonalità marcescenti, putride, vissute); se anche rinuncia al suo usuale deliquio visionario e alla sue parossistiche figurazioni, persegue, immarcescibile, nella sua radicale recherche gnoseologica, mantenendo intatta la sua eversiva alterità di sguardo.

(Marco Rambaldi)

Ralph Fiennes

Cronenberg e Fiennes

La tela di Spider

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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