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Signs
(Usa 2002) di M. Night Shyamalan
con Mel Gibson, Joaquin Phoenix, Cherry Jones, Rory Culkin
Shyamalan mi ha fregato
di nuovo. A visione appena ultimata sono uscito dalla sala con la sensazione
di aver visto il film di un grande regista (forse l'ultimo hollywoodiano
ad utilizzare, in tempi di iperscopia, l'estetica del fuori campo),
ma terribilmente deluso dal (non) colpo di scena conclusivo. Più
o meno la stessa cosa provata dopo Unbreakable. Il fatto
è che Il sesto senso (sua prima opera ad essere distribuita
in Italia) ha fatto terra bruciata della sorpresa finale, anche
se, a pensarci bene, magari ha il plot più scontato. E sì,
a pensarci bene. Perché le storie di questo Indoamericano cresciuto
a pane e cinema classico (ed in Signs il pensiero va alla
fantascienza fifties, a Gli uccelli fino a sconfinare
nei '70 con l'evidente link - nella sequenza della notte in cantina
- a La notte dei morti viventi) non si esauriscono una volta
spento il proiettore. Ti trovi a rimuginarci su ed alla fine scopri (sempre)
una chiave di lettura altra. Ecco il fascino di questi prodotti: sono
sempre qualcosa di diverso da quello che appaiono. In questo caso, senza
voler svelare particolari importanti, i signs del titolo non sono
i cerchi nei campi (gli interessano talmente poco che li mostra fin dalla
prima sequenza), piuttosto quelli di cui è costellata la nostra
vita e di cui non ci rendiamo conto o che non interpretiamo nel modo giusto.
Più o meno ciò che ci succede durante la proiezione: a
posteriori ci accorgiamo che non c'è stata inquadratura, angolazione,
scelta scenografica che non abbia avuto un senso. Del resto, il personaggio
dell'assassino involontario della moglie del protagonista (avvenimento
tutt'altro che superfluo ai fini dello sviluppo della trama) è
interpretato dal regista (quasi a volersi legittimare come responsabile
dei fatti narrati). Vorrà dire qualcosa.
(Rosario
Gallone)
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